Se non si trattasse di una tragedia immane, scorrere le notizie che arrivano dai continui aggiornamenti dagli organi di stampa televisivi, radiofonici e multimediali di tutto il mondo, indurrebbe un sorriso amaro. Haiti e gli haitiani convivono, quasi da sempre, in uno scenario di perenne emergenza e di povertà estrema, in cui il dolore e i drammi s’intrecciano con l’allegria e la speranza.
La mancanza di luce elettrica anche nella capitale Port-au-Prince non “fa” certo “notizia” per chi conosce Haiti, ma lo stupore e l’allarme che tale fatto suscita a noi europei è una reazione che ben descrive l’emarginazione e l’isolamento, non solo geografico, in cui si trova Haiti. Un Paese che nell’immaginario collettivo è un più vicino ad un “paradiso” caraibico che al reale “inferno”, situato giusto a due passi dall’abbagliante Miami.
Ho vissuto a Dajabòn, nella frontiera nord dominico-haitiana, per quasi tre anni, in Repubblica Dominicana. E quasi ogni giorno mi recavo nella vicina Ouanaminthe, ad Haiti, per svolgere il mio lavoro nel progetto “Terra di Mezzo” ( per la difesa dei Diritti Umani e lo sviluppo sostenibile della Frontiera), assieme ad un’equipe haitiana. Sono stato varie volte a Port-au-Prince ed ho lasciato tanti amici ad Haiti. Ma non posso certo dire di conoscere bene il Paese. Né penso che riuscirei a farlo, profondamente, anche se ci vivessi tutti i giorni della mia vita. Haiti è un Paese davvero speciale, interessante. Drammaticamente interessante. E difficilissimo da capire, perlomeno ricorrendo ai parametri e alle logiche che la nostra logica “cartesiana” ci impone e che la nostra cultura ci suggerisce.
Ho appreso la notizia del terremoto di Haiti, ieri notte, dal telegiornale RAI delle 23.30. Ero già a letto, in procinto di addormentarmi e lì per lì, complice lo stato di incipiente torpore, non ho realizzato bene cose fosse accaduto. In mancanza di ulteriori informazioni ho cercato di riprendere sonno, nella speranza che si trattasse dell’ennesima esagerazione mediatica e che, soprattutto, nulla fosse accaduto ai miei amici che vivono nell’Isola. L’indomani mattina, attraverso internet, ho avuto conferma dell’estrema gravità dell’evento occorso. E del fatto che, per fortuna, nessuno dei miei amici ne sia rimasto gravemente coinvolto. Il mio primo pensiero è stato per Nicolas, stimato amico e collega che ho avuto il piacere di “accogliere” nell’Isola, al suo arrivo circa 2 anni fa. Mi hanno colpito molto le sue laconiche parole in una fugace e (immagino) concitata telefonata con Martino (altro amico e collega del ProgettoMondo Mlal che coordina dal Nicaragua tutti i progetti dell’ONG nell’area Centro America e Caraibi): “..è un disastro. Non sapete, è un disastro!”. Ripetendo la sua frase è come se in un attimo potessi vedere e toccare quasi con mano la tremenda tragedia che, ancora una volta, ha colpito Haiti e gli haitiani.

Le infrastrutture della città sono (o forse sarebbe meglio dire “erano”) a dir poco fragili e fatiscenti, e i servizi pubblici (in primis acqua potabile e corrente elettrica) totalmente precari e insufficienti.
La struttura urbanistica della città, ristretta tra la montagna deforestata e il mare (usato come pattumiera principale delle città) e assolutamente avulsa da una minima pianificazione, è fatta di edifici a più piani innalzati (utilizzando spesso materiali scadenti e senza di misure di sicurezza) a fianco di baracche assemblate con legno marcescente e con lamiere arrugginite, assiepati disordinatamente dal livello del mare sino alle cime delle montagne che circondano la baia di Port-au-Prince. L’immagine che ne deriva è di una sorta di “universo dantesco” che dai gironi infernali dei livelli più bassi, sovrappopolati e maleodoranti, porta ai cerchi più alti della città, fino ai quartieri residenziali ultraprotetti dei “ricchi” (sede di tutte le agenzie ed istituzioni internazionali). Immaginare Port-au-Prince dopo il terremoto mi fa venire i brividi. Sia per le dimensioni delle perdite umane causate dagli effetti immediati del sisma, sia per le preoccupanti conseguenze che questo cataclisma, inesorabilmente, trarrà con sé: epidemie, piccoli orfani destinati all’abbandono, assenza di servizi essenziali, scarsità di alimenti, insicurezza sociale, instabilità politica, violenze e soprusi. Fenomeni già tristemente noti e presenti ad Haiti, ma che, con tutta probabilità, saranno enfatizzati e ulteriormente aggravati da questo devastante terremoto.

Sono convinto che la Società Civile Organizzata italiana saprà rispondere e andare incontro al disperato appello del popolo haitiano, con la grande solidarietà e le capacità professionali che la caratterizzano. Le nostre ONG presenti ad Haiti potranno offrire un valido contributo al tamponamento della grave emergenza e al lungo percorso di “ricostruzione” (?) di Haiti. Soprattutto se riusciranno a mettere a disposizione, senza condizioni, il loro privilegiato rapporto con il territorio e con gli attori locali, valorizzandone la loro conoscenza e visione della realtà; se si sommeranno, senza sovrapporsi, agli altri operatori internazionali, contribuendo, con l’esempio ed il lavoro incessante, a coordinare ed integrare gli aiuti esterni con gli sforzi delle organizzazioni locali. Questo non è il momento delle parole. E’ il momento di agire, tutti assieme. Allez mes amis!
Sassari, 13/01/2010
Enrico Vagnoni
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