Accomarca, Lucanamarca, Putis, Totos, Ucchuraccay, Socos, los Cabitos, Huanta, Chuschi, luoghi dell’orrore, luoghi del truculento risveglio dal sonno della ragione, luoghi di straordinaria follia, luoghi di ordinaria tragedia.
Il rapporto della Commissione della Verità e Riconciliazione (CVR) in Perù, nell’agosto del 2003, ha registrato 69,280 vittime del conflitto armato interno, nel periodo che va dal 1980 - giorno della prima incursione di Sendero Luminoso a un seggio elettorale di Cuschi (provincia di Cangallo, regione Ayacucho) e della dichiarazione di “Guerra Popolare” - fino al 2000, anno in cui si dichiara sconfitto militarmente il gruppo terrorista principale.
Fino a quella gelida e raccapricciante cifra, tutti gli opinionisti nazionali, compresi i movimenti di difesa dei diritti umani e i vari osservatori sulla violenza, che registravano giornalisticamente tutti gli attentati o violazioni che quotidianamente avvenivano, parlavano di una sequela di morti di 25mila vittime e 3mila desaparecidos. Il rapporto della CVR ha rappresentato un avviso di garanzia alla democrazia peruviana fallita, ricordando che il conflitto nacque e si sviluppò, tra sangue e terrore, durante governi eletti democraticamente (Belaunde, García, Fujimori), almeno fino all’autogolpe di Fujimori del 1992, poi “legittimato” nel 1995, e comunque a guerra già con parabola discendente.
“Yuyanapaq”, il programma che ProgettoMondo Mlal, grazie a un cofinanziamento dell’Unione Europea, sta realizzando nella regione di Ayacucho con i partner peruviani IPEDEHP ed EPAF, significa per ricordare, in lingua quechua. La lingua del popolo maggiormente colpito dall’insania, torturato nell’essenza intima, in permanente transito tra la modernità e l’arcaismo. Un progetto che ha come elemento fondante la memoria quindi: quella di un popolo, persone, famiglie e di un’intera nazione. Tante memorie singolari, di vedove, di orfani, di torturati, di stuprate, di sfollati e loro parenti che, tutti insieme, formano una sola memoria collettiva. Una memoria collettiva che tuttavia non è la somma delle memorie individuali, ma una grande storia.
Lo scorso agosto è stato celebrato il settimo anniversario della consegna ufficiale del rapporto della CVR, in una piazza d’armi di Huamanga pullulante di organizzazioni di vittime della violenza, giunte da ogni angolo della regione. In molti confessavano di non aver mai visto prima tanta gente radunata, con uno spirito di unità così esplicito, con un riconoscimento ufficiale di questo desiderato risarcimento, che comprende anche il fare giustizia sui casi di violazione dei diritti umani. La presenza dei tre parlamentari eletti nel collegio ayacuchano - Elizabeth León, Juana Huancahuari, José Urquizo - ha testimoniato che la richiesta di giustizia è un tema aperto e attuale. Per la prima volta il Governo Regionale ha sponsorizzato molti degli eventi commemorativi, dando un altro segnale di questa riconciliazione in cammino. La parola dei familiari delle vittime – spesso a loro volta vittime – ha lanciato segnali di ottimismo e richieste: non elemosina, ma giustizia.
Una giornata stupenda, con uno sfondo architettonico melanconico ma vivido, un paesaggio asciutto, arso, come le centinaia di volti dei presenti: paesaggio naturale e umano in piena simbiosi, con una cultura così radicata e profonda che appare quasi intangibile. Quasi, perché la cultura è in costante movimento, dinamica, calata nella realtà e da essa trasformata, gradualmente.
Il progetto Yuyanapaq intende partecipare e sostenere il processo di risarcimento e riconciliazione, attraverso due grandi filoni di attività. Prima di tutto la ricostruzione della memoria dei desaparecidos, con la registrazione di schede ante mortem, che solo in Ayacucho hanno già superato la cifra dei 3200. Ciò indica una verità semplice: che le vittime sono di gran lunga superiori alle cifre già elevatissime della CVR. Forse non avremo mai una cifra definitiva, ma l’ordine di grandezza è da guerra civile. Il numero di fosse comuni, luoghi di sotterramento delle prove dell’orrore, è imprecisato: si parla di due, tre mila, nelle regioni di maggiore vittimizzazione. Ma casi emblematici, come quello di Putis, comunità rurale alto andina dove sono stati ritrovati 92 corpi, di cui almeno 58 di bambini non più grandi di 13 anni, trucidati dall’esercito nel 1984, e che fanno parte del registro che il progetto sta contribuendo ad allestire. La costruzione della memoria continua poi con la restituzione alle famiglie e comunità che hanno dato la testimonianza delle schede o degli oggetti recuperati, in cerimonie di commemorazione. Eventi di catarsi, di lutto, di dolore, ma anche di liberazione.
La seconda linea del progetto è invece rappresentata dal rafforzamento dell’azione delle organizzazione delle vittime della violenza per la partecipazione in azioni di incidenza e lobbying, per l’applicazione delle politiche di risarcimento, in base all’attuale normativa, frutto delle raccomandazioni della CVR. Ad Ayacucho la rete di organizzazioni di vittime della violenza è stata sempre frammentata, per via di piccoli opportunismi di leaders con scarsa visione di futuro, ma anche per la mancanza di una vera e propria prospettiva di riconciliazione. Questa situazione negli ultimi anni ha iniziato a modificarsi, anche grazie a un contesto normativo che, seppur pieno di limiti e con una volontà politica sottostante ambigua, sta offrendo un barlume di speranza: quella del risarcimento. Il CORAVIP è il coordinamento regionale di questa rete che vede affiliate almeno 70 organizzazioni locali, distribuite nell’intera regione di Ayacucho, e che sta riuscendo a mettere insieme volontà e idee per una partecipazione più solida e capace di mobilitare le migliori energie della società ayacuchana. Il progetto sta contribuendo sicuramente a questo consolidamento, anche grazie a un percorso formativo, sul tema dei diritti umani e della leadership democratica, che offre strumenti concreti di gestione organizzativa.
Ma uno degli aspetti più interessanti di questo lavoro è di sicuro la partecipazione a un processo che coinvolge attori ayacuchani, pubblici e privati, e che intende collocare al centro dell’agenda politica il tema della verità e riconciliazione, la difesa dei diritti umani, la costruzione della pace. Ed è questo movimento per i diritti umani in Ayacucho - per il quale nel 2010 il Governo Regionale ha finanziato l’ultimazione del censimento per il Registro Único de Víctimas (RUV) - che costituisce la base tecnica e legale per accedere ai benefici futuri delle richieste di risarcimento. PM, EPAF e IPEDEHP stanno partecipando direttamente a questo sforzo, unico nel paese per partecipazione e confluenza di interessi, e insieme a molte istituzioni e gruppi, si stanno ottenendo risultati che solo pochissimi anni fa risultavano utopistici, vista l’indifferenza, l’emarginazione e il tentativo di occultare il problema della transizione post-conflitto.
Un altro elemento nuovo in questo difficile lavoro è costituito dal coinvolgimento dei giovani: gli studenti universitari di quella prima gloriosa e poi satanizzata Universidad Nacional San Cristobal de Huamanga, ai quali i genitori non hanno mai voluto parlare della “guerra”. Per timore, per non riaprire ferite, per non trasmettere la paura – come è successo a Fausta, protagonista del film “La Teta Asustada” – e sempre avulsi dal dibattito sul post-conflitto.
Ma i ragazzi ora vogliono sapere, conoscere, ribellarsi all’omertoso silenzio, all’occultamento di una realtà che invece continua a produrre effetti. Giovani comunicatori sociali che hanno realizzato spot, cortometraggi, programmi radiofonici sulla “guerra” ma soprattutto sulla “pace”, su ciò che vogliono dopo la catarsi, dopo il lutto, dopo il pianto.
Mario Mancini,
capoprogetto ProgettoMondo Mlal in Perù
lunedì 27 settembre 2010
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