martedì 27 aprile 2010

Un Tribunale Climatico a livello mondiale

La “lotta al capitalismo” dell'asse socialista sudamericano, a cui fanno riferimento sia il presidente boliviano, Evo Morales, che il venezuelano Hugo Chavez, è scesa ufficialmente in campo anche sulla causa ambientale. Entrambi presenti alla prima “Conferencia mundial de los pueblos sobre el cambio climatico”, svoltasi dal 20 al 22 aprile a Tiquipaya, cittadina nei pressi di Cochabamba, sede del nostro progetto Vita Campesina, si ergono dunque paladini di una causa che, benché sacrosanta, non assolve comunque questi due Paesi da responsabilità, dal punto di vista del danno ambientale, simili a quelle riconosciute per Stati Uniti o altri Stati industrializzati.
Intento dichiarato della manifestazione era aprire un dibattito che vedesse protagonisti, diversamente da quanto accaduto per il “disastroso” summit di Copenaghen (così è stato definito da Morales e da altri relatori nel corso della tre giorni), i “popoli", ossia civili, attivisti, accademici e tutti coloro che hanno a cuore la tematica del cambiamento climatico e dell’ambiente in generale e che fossero disposti a dibattere su questi argomenti. Diciassette tavoli tematici di lavoro (diciotto considerando quello antagonista, ufficioso), relativi a debito climatico, protocollo di Kyoto, armonia con la natura, tribunale climatico ecc.., hanno avuto il compito di elaborare riflessioni e richieste che poi, nel corso dei giorni della conferenza, sono confluite nel “Acuerdo de los pueblos”, documento finale della conferenza da sottoporre all’attenzione dell’ONU e dei partecipanti del prossimo Forum governativo sul cambio climatico in programma a Cancùn, Messico, a fine anno.
Parallelamente erano state organizzate diverse conferenze ed eventi culturali che hanno visto la partecipazione di circa trentamila visitatori non ufficialmente coinvolti nell’elaborazione dei documenti finali. Tra questi partecipanti, attivisti di ogni sorta, “alternativi”, studenti, addetti ai lavori e moltissimi curiosi.
Se da un lato la Conferenza è stata indubbiamente un successo mediatico e di pubblico e, tutto sommato, anche organizzativo, giudizi più cauti sono stati espressi sulla sostanza del dibattito e sul concreto risultato dalla “cumbre”. L’impressione di molti è che l’intento fosse essenzialmente quello di promuovere Evo Morales quale difensore della causa climatica-ambientale, e in quanto testimonial naturale di quell’idea, tutta andina, che è la “pachamama”, il rapporto con la Madre terra.
Ciò nonostante la Bolivia stessa è un esempio di contraddizione tra quanto predicato (questo il termine suggerito dai toni della conferenza) e quanto accade effettivamente nel Paese. E alcuni dubbi sono stati avanzati anche sull’effettiva democraticità dei dibattiti tematici, visto che, a grandi linee, pare che le conclusioni fossero state già tratte, e promosse più dal governo locale che risultato emerso dal confronto tra i partecipanti alla Conferenza.
A ogni modo, costituisce un risultato senz'altro positivo la partecipazione “popolare” a quest'evento positiva ed entusiasta. Così com'è degna di nota l'attenzione che in questo modo viene nuovamente posta sul delicato e pressante tema dell’ambiente, dei cambiamenti climatici e degli altri effetti collaterali (i migranti climatici ad esempio).
A conclusione dell’evento sono state raccolte anche una serie di proposte, alcune delle quali interessanti, e più o meno concrete e concretizzabili, come quella dell’istituzione di un Tribunale climatico a livello mondiale o della riduzione delle immissioni di diossido di carbonio del 50% rispetto al 1990 (da parte dei Paesi “sviluppati”…).
Purtroppo il fatto che l'iniziativa abbia avuto uno smaccato “cappello bolivariano” ha finito con indebolire di fronte all'opinione pubblica internazionale la proposta popolare. Cattiva alleata, ancora una volta, una facile retorica sui diritti della madre terra, calpestata qui come altrove.

Leonardo Buffa, casco bianco ProgettoMondo Mlal Bolivia

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