venerdì 30 aprile 2010

La storia di Jonathan, giovane detenuto di San Pedro

Jonathan ha 25 anni. È entrato nel penitenziario di San Pedro a La Paz due anni fa e probabilmente, grazie al nuovo Centro Qalauma realizzato da ProgettoMondo Mlal per offrire un percorso alternativo di recupero ai giovani detenuti, potrà uscirne al più presto.
La sua storia assomiglia a quelle di molti altri ragazzi che, con lui, condividono gioie e dolori in questa cittadella rinchiusa in quattro mura. Jonathan si è trovato al momento sbagliato e nel luogo sbagliato. Per scherzo, e in una notte di festa, i suoi amici lo hanno portato a fare un giro fino a quando, improvvisamente e armati di coltelli, hanno deciso di assaltare un taxi. Il coraggio di Jonathan è riuscito a salvare la vita dell'autista, padre di famiglia, e a far arrestare tutti i giovani assalitori, compreso lui, reclusi ora nel penale di San Pedro. Da quel momento la vita di Jonathan ha preso una piega che mai avrebbe pensato. Se prima pensava che i detenuti fossero solo assassini, ladri, trafficanti di droga e in generale le peggiori persone del paese, in un solo attimo anche lui è diventato parte di quella schiera e, con loro, si è ritrovato a condividere tutto: costretto alla sopravvivenza e toccando con mano cosa significhino le parole cattiveria, droga, disperazione. Da quel momento tutto il mondo gli è crollato addosso.
I primi 8 mesi trascorsi in carcere non aveva un posto in cui dormire. Non aveva soldi per affittare una cella e per questo viveva nel corridoio della struttura, sotto una fredda tettoia utile almeno a ripararsi dalla pioggia. Il freddo gli mangiava le ossa. Con se aveva solo i vestiti che indossava e i primi giorni non riusciva a dire ai suoi genitori cosa realmente fosse successo.
Jonathan è l’ultimo di 8 figli, si è diplomato e, al momento dell'arresto, stava frequentando un master in gastronomia, per realizzare il sogno di diventare lo chef di un grande ristorante. Per potersi pagare gli studi faceva le pulizie in casa di una signora tedesca e questo ritardava i suoi compiti scolastici, ma era un modo per mangiare bene e per portare a casa due lire e pagarsi i libri. Da 4 anni era anche fidanzato con una ragazza che aveva conosciuto al liceo, e con lei ha trascorso i momenti più belli della sua vita. Era il suo primo amore, un amore ingenuo e puro, una relazione sana e giovane. Jonathan è un ragazzo molto dolce che porta avanti la convinzione, purtroppo non condivisa dai suoi amici, che il rispetto delle persone sia fondamentale e che il dialogo sia il modo migliore per superare le difficoltà e i conflitti. Fin da bambino si dava da fare in casa nelle faccende domestiche e aiutava il padre nella falegnameria. Proteggeva la sorella maggiore dalle cattive amicizie e degli incontri indesiderati ed era un alunno modello.
Purtroppo la vita non è stata gentile con lui. Umiliazione e frustrazione hanno caratterizzato i suoi primi mesi di permanenza in carcere. Non trovava via di uscita e intorno a lui vedeva solo violenza e abusi, soprusi da parte della polizia e degli altri detenuti. A volte faceva dei bei sogni, ma risvegliarsi a San Pedro era sempre un incubo. Non voleva aprire gli occhi e le giornate erano infinite.
La solitudine e lo sconforto erano i suoi tormenti, mescolati a malinconia, timore, angoscia e pentimento. Con le lacrime agli occhi racconta di quando il padre è andato a visitarlo per la prima volta a San Pedro: un uomo grande e d’onore costretto a piangere per la condizione del figlio.
Non riusciva a chiamare la sua ragazza e ha scelto di farlo solo dopo 8 mesi, quando un amico andato a trovarlo gli aveva fatto sapere che la ragazza non si dava pace per la sua scomparsa e camminava triste per la strada senza più sorriso sulle labbra.
Durante la telefonata la ragazza ha sentito delle voci di sottofondo: “centro penitenziario di San Pedro!”. Per un attimo Jonathan avrebbe voluto riattaccare il telefono dalla vergogna ma poi si è fatto coraggio e le ha detto che si trovava in carcere. L’umiliazione l’aveva trafitto per l’ennesima volta ma…non poteva farci nulla: era la verità. Il giorno dopo lei era andata a visitarlo. Non aveva ancora una cella per accoglierla e i suoi amici detenuti erano disposti a prestargli il loro posto per un briciolo di intimità. Ma Jonathan aveva preferito portarla sulla terrazza del penale: il sole splendeva nel cielo e l’aria era nitida. Calato il tramonto sulle baracche di San Pedro, Jonathan aveva preso il coraggio per invitarla a ricostruirsi un’altra vita. Da lì a un mese lei è partita per l’Argentina in cerca di un lavoro.
Poco a poco Jonathan si è fatto coraggio. Nel penale c’erano altri ragazzi che, condividevano la sua stessa sorte. Ha iniziato a lavorare: in lavanderia, in cucina e facendo le pulizie. Con costanza guadagnava un boliviano alla volta e trovava il modo di risparmiare qualcosa per poter prendere in affitto una cella. Si trovava impegni e si teneva le giornate occupate per non farsi divorare dai ricordi e per non rischiare di cadere nell’alcol e nella droga. Iniziò a scoprire la bellezza del pallone e del gioco del calcio: fin da bambino non aveva mai creduto nelle sue capacità fisiche, la competizione gli metteva paura e non amava il gioco di squadra.
La vita a San Pedro iniziava a prendere una piega diversa da quella iniziale. Era entrato a far parte della squadra della sua sezione (Alamos) ed era diventato il migliore giocatore. Per questo motivo il delegato di Alamos gli ha offerto una cella dove a tutt'oggi non paga affitto grazie alla sua bravura.
Iniziava a farsi coraggio e a maturare, ripensava alla sua vita e alla sua storia, si faceva nuovi amici e, finalmente, poteva personalizzare uno spazio tutto suo: la sua cella.
La sua stanza è piccola e scarna ma dentro c’è l’essenziale: un letto, la televisione, un armadio, un fornello elettrico, una pentola, un piatto e un cucchiaio. Sulle pareti ci sono 2 poster: un calendario e un poster de los Kjarkas. Un disegno sul muro, una frase scritta, numeri di telefono e una mensola dove custodisce, gelosamente, una cartellina con dentro lettere, messaggi, disegni, scritti e fotografie. Con orgoglio mostra la cartellina e racconta i suoi ricordi.
La prima cosa che farà quando uscirà dal carcere è chiedere perdono a suo padre, in ginocchio. Questo pensiero lo accompagna ogni giorno e il dolore della sua famiglia è una cosa che non riesce a dimenticare.
Adesso ha trovato il modo di vivere a San Perdo: lo cercano, ha amici, è stimato dalla squadra e aiuta i nuovi giovani che entrano nel penale. Spera di uscire presto ma questo gli fa tanta paura: cosa potrebbe pensare la gente di un ragazzo che è stato in carcere? Troverà lavoro? Si innamorerà di nuovo? Ma il suo pensiero maggiore va alla famiglia: come recuperare fiducia e rimediare alla vergogna? Di una sola cosa è certo: ha voglia di vivere e di costruirsi una nuova vita. Ha imparato ad affrontare le sue paure e l’amore dei suoi genitori continuerà a dargli forza anche nei momenti di futura solitudine.

Ester Bianchini, casco bianco ProgettoMondo Mlal in Bolivia

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