venerdì 16 aprile 2010

Cordoba ricorda i suoi desaparecidos

In Argentina, il 24 marzo 1976, un golpe militare destituì l’allora presidente Isabelle Martinez de Perón per lasciare spazio al comando del generale Videla. Ebbe così inizio una delle dittature più feroci della storia dell’America Latina, contemporanea a molte altre in quegli anni, e che si è macchiata di uno dei maggiori genocidi conosciuti. I desaparecidos (gli scomparsi) si contano oggi in 30.000 persone.
Un numero tragicamente alto, composto da oppositori politici, sindacalisti, artisti, giornalisti, e semplicemente persone comuni, che venivano trovate in possesso di una rivista o di un pezzo di giornale che testimoniasse un’idea diversa dalla dittatura.
Venivano tutti prelevati, nella maggior parte dei casi di notte, nelle loro case, sequestrati, trasportati in campi di prigionia dove venivano poi interrogati, torturati brutalmente e, infine, probabilmente, uccisi.
Dico probabilmente perché di loro non si è saputo più nulla: per i famigliari non vi è mai stata nemmeno la certezza che siano morti. La dittatura ha cercato di eliminare il futuro di un popolo, eliminare la parola come oggetto di scambio, sopprimere un’idea perché non potesse rinascere mai più.
Fu così che i bambini di molte donne incinte, partoriti nelle lugubri prigioni dei servizi segreti, vennero affidati a famiglie di militari. Ancora oggi, poco a poco, grazie all’esame del Dna, continuano a riaffiorare, ormai trentaquattrenni, questi figli dei desaparecidos, e ogni volta che se ne trova uno, come ha detto nella giornata di rievocazione lo scorso 24 marzo la presidente in carica dell’Argentina Cristina Fernandez, “è la vittoria della memoria sulla morte e sulla violenza”.
Da tre anni a questa parte il 24 Marzo è il “Giorno Nazionale della Memoria, per la Verità e la Giustizia”.
Così anche lo scorso 24 marzo, l’Argentina si è fermata. La presidente, riunitasi a Buenos Aires al cospetto dell’organizzazione delle Madri e delle Nonne di Plaza de Mayo, che da 34 anni lottano per ottenere giustizia per i propri figli e nipoti desaparecidos, ha promesso in un discorso commovente che la parola d’ordine del futuro sarà “Giustizia per giudicare e condannare fino all’ultimo coloro che si sono macchiati di questi crimini atroci, che hanno caratterizzato il periodo di dittatura dal 1976 fino al 1983, anno in cui tornò la democrazia”.
Anche Cordoba si è fermata, e per le strade, fin dalla prima mattinata, regnava un assoluto silenzio.
Anch'io, camminando in queste strade, dense di energia nuova, sono arrivato al “Museo della Memoria”, nella piazza centrale della città, raggelante documento degli eccessi della dittatura militare.
Percorrendo i corridoi di questa ex-centrale della polizia segreta, la D-2, trasformata ora in un museo per non dimenticare, mi sono scoperto commosso, assalito dai brividi davanti a ogni foto di un volto scomparso, nel leggere le scritte lasciate dai detenuti sui muri delle celle, calpestando il pavimento di queste stanze, ora silenziose ma un tempo piene delle grida dei torturati, nel guardare un oggetto appartenuto a qualcuno poi scomparso in un giorno qualsiasi… senza che nessuno abbia più saputo nulla di lui.
Una sensazione fortissima che mi ha accompagnato fino al tardo pomeriggio quando il centro è stato attraversato da oltre 20.000 persone, con passione e anche con gioia, per ricordare al mondo i propri desaparecidos, mostrando le loro foto, cantando per un futuro di democrazia, partecipazione e sopratutto di giustizia! Quella Giustizia che oggi, poco per volta, sta finalmente punendo i colpevoli di questi misfatti.
Questa è la Cordoba, questa l’Argentina, del 24 Marzo 2010.
Naturalmente non mancano i punti di vista diversi, di chi dice che “semplicemente c’è stata una guerra, e che ci furono morti da una parte e dall’altra”, dimostrando con questo la propria contrarietà a ricordare i desaparecidos, senza ricordare anche i militari che morirono, vittime allo stesso tempo della dittatura.
Difficile commentare quello che è stato e cosa ha lasciato. Ciò di cui posso parlare è l’Argentina che ho incontrato per le strade, impregnata del silenzio di chi è stato massacrato perché la pensava diversamente da chi governava, e dall’orgoglio di un popolo pronto a rompere ancora una volta questo silenzio per gridare “Mai Più”.

Nicola Bellin, cooperante ProgettoMondo Mlal in Argentina

2 commenti:

  1. Jacopo19.4.10

    Mai più!

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  2. silvia19.4.10

    Grazie Nicola, perché leggendo le tue parole il calore delle tue esperienze arriva fino a qui, a sciogliere questa nebbia di val padana.
    Nunca màs!

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