Una tre giorni di grandi attese in grado di aprire, pur se con qualche delusione, a insoliti scorci su piccoli ma fondamentali cambiamenti in tema di reclusione in Mozambico.
Il gruppo culturale Anamavenchiwa (che in lingua macua significa “rigenerati”), per la seconda volta dopo il festival di Pemba è andato in trasferta nell'antica capitale coloniale del paese, Ilha de Moçambique, per partecipare a un altro festival culturale: Omuhipiti.
Per problemi organizzativi, il gruppo culturale costituitosi nella Penitenziaria Industriale di Nampula accompagnato dal noto musicista locale Warila, non ha però potuto suonare, per lo meno non su un palco attrezzato come avrebbe voluto.
I componenti di Anamavenchiwa sono stati accolti molto bene nel carcere di Ilha e lasciati semiliberi dentro il cortile della struttura: nessuna sbarra e nessuna cella per loro, come invece è per i “colleghi” dell'isola. Secondo il vicedirettore mozambicano del nostro progetto “Vita Dentro”, che ben conosce la tematica della reclusione, una simile accoglienza denota un nuovo approccio nelle dinamiche detentive. La cultura in questo caso ha rotto le rigide regole e si è fatta via per lasciare il passo al cambiamento.
Il gruppo culturale rimane un gruppo di reclusi, che hanno trascorso due giorni in carcere, ma è stata concessa loro una certa libertà e fiducia: entravano e uscivano per fare qualche chiacchiera o vendere il loro artigianato davanti alla porta del carcere, sono stati liberi di provare il loro repertorio una notte intera prima del giorno previsto per l'esibizione, hanno cucinato da soli nel cortile, e non i soliti fagioli con chima, ma pesce fresco dell'isola, una vera rarità.
L'ultimo giorno, ancora con l'amaro in bocca per la mancata esibizione al festival, il gruppo ha improvvisato un piccolo concerto davanti alle porte del carcere allietando i passanti che si fermavano per ascoltare le canzoni tipiche della loro cultura macua. Oltre agli applausi sono arrivate anche le scuse per la mancata esibizione al festival da parte dei rappresentati politici degli organismi governativi della zona, anche loro intervenuti ad ascoltare l'improvvisato concerto.
“Ma questi reclusi non scappano?” si chiedevano i passanti all’esterno del carcere.
Tra teatro itinerante nelle carceri dei distretti vicini e spettacoli nei festival, i reclusi avrebbero molte possibilità di fuggire, anche perché il trasporto non è ad alta sicurezza: non ci sono manette né tantomeno sbarre, sono tutti nel rimorchio aperto del camion a suonare e cantare.
Eppure no, non scappano. Questi eventi culturali danno loro la possibilità di presentare il lavoro quotidiano dentro al carcere, insieme a quella di far conoscere una realtà che può essere da stimolo per altri reclusi e rappresenta inoltre una forma di riscatto nella società civile. In queste occasioni infatti oltre a presentarsi come detenuti si esibiscono in qualità di artisti, sfuggendo – anche se solo per un breve tempo – alla dura e poco elastica etichetta di criminali.
L'esibizione, sia che avvenga tra i detenuti nelle carceri dei distretti circostanti o sul palco dei festival, regala momenti preziosi in cui i componenti del gruppo dimostrano di essere anche altro che semplici reclusi, e che anche in un luogo così difficile come il carcere può nascere qualcosa di buono e valido. Nuovi orizzonti e nuove chiavi di lettura tanto per i detenuti che arricchiscono i loro vissuti, quanto per la società civile che in queste occasioni va oltre ai luoghi comuni che lasciano poco spazio al riscatto.
Laura Calderini,
casco bianco ProgettoMondo Mlal Mozambico
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