venerdì 6 maggio 2011

8 maggio. UN GIORNO TRA LE MAMME DEL BURKINA

Sono le 8 quando entriamo nel ‘Reparto Maternità’ del Centro di Salute di Norkama e la sala d’attesa è già gremita di donne e di mamme, avvolte nei loro paigne (stoffe pareo) coloratissimi, con i loro bimbi in braccio o legati alla schiena: oggi è giornata di “misurazioni”!
Mi trovo in un villaggio che dista 180 km dalla prima cittadina, Banfora: la strada che porta qui non è asfaltata e, se fino a Koueré la pista è piuttosto scorrevole, per i restanti 70 km il viaggio è molto lento e scomodo. Ieri ho avuto modo di stimare, una volta di più, l’autista per la sua eccezionale capacità di evitare buche inimmaginabili e scegliere sempre il sentiero giusto a ogni bivio, ovviamente privo di qualsiasi tipo di indicazione.
All’internod el Centro mi ritrovo al centro di molti sguardi, in un misto di curiosità, stupore e, in alcuni casi, diffidenza se non proprio paura. Le mamme, alcune delle quali hanno camminato 8-10 km per raggiungere il Centro, hanno già provveduto a creare una lista d’attesa, ammonticchiando i “carnet de santé” sul tavolo.
Iniziamo la mattinata, distribuendo alle mamme le imbragature blu con cui attacchiamo poi i bimbi alla bilancia e, tra urla disperate, rileviamo e registriamo sui carnet peso e altezza.
Le mamme dovrebbero accompagnare qui i figli ogni mese per ripetere quest’operazione, permettendo così di avere un quadro sempre aggiornato e, in caso di malnutrizione, poter intervenire immediatamente. Ma, come ho modo di notare sfogliando i carnet, molte mamme non vengono con regolarità, probabilmente per la distanza da percorrere o perché non ritengono la cosa così necessaria.
Mi colpisce questa cosa dei carnet: quasi tutte le donne lo tengono con cura, avvolto in un sacchettino di plastica e lo estraggono da una tasca nascosta del paigne. Una invece viene ripresa da Salimata, l’infermiera e formatrice che sto accompagnando in questi giorni: il suo quadernetto è semidistrutto. In un momento di pausa ne approfitto per ripararlo io con colla e scotch, così, quando la proprietaria rientra, non lo riconosce e s’inquieta, poi capisce, spalanca un gran sorriso e mi ringrazia.
Finito coi bimbi, Salimata approfitta del tempo rimanente per visitare qualche futura mamma. Le donne parlano solo in dioula, ma Salimata cerca di spiegarmi brevemente i casi.
Diverse donne sono qui per controlli di routine ma arriva anche una ragazza che si è spaventata per delle perdite: ha già subito 3 aborti e dunque ha deciso di consultare il CSPS. Scopriamo che il giorno prima ha fatto 50 km in bicicletta per raggiungere un altro villaggio.
Entra un’altra ragazza che rivela sintomi di cecità notturna. Salimata decide di parlare con il marito per convincerlo ad acquistare delle medicine, spiegando che sono fondamentali per la salute della madre e del bimbo. Il ragazzo capisce e acconsente. Per spiegare il dosaggio Salimata traccia un disegno sul retro della scatola in quanto la gran parte della popolazione del villaggio, soprattutto femminile, è analfabeta.
La mattinata è volata, esco dall’ambulatorio e questa volta le occhiate sono più rilassate e quasi divertite. Balbetto un ‘INICHIE’ che in dioula vuol dire grazie e ripartiamo. Inevitabile per me, ripensare durante il viaggio di ritorno, tra gli innumerevoli scossoni e sobbalzi, all’impegno professionale e umano che ho visto in Salimata e negli altri infermieri nel sollecitare le donne affinché frequentino con regolarità i Centri di salute Pubblica e seguano con attenzione i programmi di vaccinazione e la formazione nutrizionale.
Ma più di tutto ripenso alla tenacia di queste mamme e donne, e al modo, ai miei occhi sconvolgente, di affrontare la gravidanza. Con la tutta la loro rilassatezza e naturalezza, che a noi ‘babou’ (bianchi) a volte può sembrare persino incoscienza.

Luisa Gelain
Casco Bianco Burkina Faso


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