
Anche a Beni Mellal, nella cittadina dove io e Arianna siamo arrivati da solo quattro giorni, è stato organizzato un corteo. La fibrillazione per l’evento era palpabile già il giorno prima, quando un signore ci ha fermati nel mercato della medina per avvisarci du grève in programma, invitandoci a rimanere a casa per sicurezza. L’indomani, consapevolmente incuranti delle raccomandazioni ricevute, usciamo lo stesso nel primo pomeriggio dalla nostra nuova casa per incontrare degli amici conosciuti qui a Beni Mellal, per bere qualcosa al caffè e osservare “da lontano” questa giornata di straordinaria mobilitazione cittadina.

Non riusciamo a scorgere immediatamente il corteo, che è nascosto dietro una curva, ma la percezione è subito che ci siano tante persone per strada. Ci accorgiamo invece che il traffico è fermo lungo questa arteria principale, la polizia stradale ha bloccato le macchine e le ha deviate verso altre direzioni. Giriamo l’angolo che ci impediva di scorgere i manifestanti e proviamo immediatamente una sorta di brivido, un po’ di emozione forse, perché ci sembra di assistere a qualcosa che fino ad allora avevamo visto solo in tv, nei primi titoli dei telegiornali.
È davvero emozionante vivere così da vicino un momento come questo per il Nord Africa.
I dimostranti sono pochi, non più di 200-300 persone: scandiscono slogan, brandiscono cartelli contro il Makhzen (l’élite, i notabili marocchini al potere) e a favore della libertà di stampa e espressione. È una massa composita, di giovani, bambini, adulti, donne e uomini. Alcuni sventolano la bandiera marocchina, altri invece srotolano e innalzano la coloratissima bandiera degli Amazigh, gli uomini liberi, i berberi.
Il corteo sembra capitanato da un giovane portato a spalle che, coperto da un una bandiera raffigurante il Che, scandisce frasi riprese da tutti i manifestanti. Ci accorgiamo anche che è presente un buon numero di donne ma, la cosa che ci incuriosisce di più, è che sfilano tutte insieme nel lato destro del corteo. Non ne scorgi altre nel mezzo, sono tutte lì: alcune tengono per mano i loro bambini, altre scandiscono gli slogan.
Rimaniamo a guardare al lato della strada, insieme ad altri marocchini che osservano il corteo senza prendervi parte. I dimostranti ci passano accanto, qualcuno ci guarda, forse un po’ stupito di vederci lì, in quella situazione. Tutto finisce nel giro di venti minuti, poco più; la manifestazione prosegue verso la piazza della medina dove terminerà senza incidenti di alcun tipo.
Un mese dopo il 20 febbraio, il Marocco sembra, al momento, ancora distinguersi dal resto del Maghreb, e del mondo arabo in generale: in queste settimane le manifestazioni si sono svolte in un clima, il più delle volte, tranquillo (a parte qualche violenza un paio di settimane fa a Casablanca) e il re, Sua Maestà Muhammad VI, il 9 marzo ha lanciato un vasto programma di riforme costituzionali, con un discorso definito “storico” da esponenti politici marocchini e internazionali.
Il vento delle riforme sembra soffiare anche qui, in questo Paese ai margini dell’attualità più violenta ma comunque sotto i riflettori del mondo intero.
Resta ora da scoprire se il cambiamento manterrà un approccio tranquillo, e se il popolo si riterrà soddisfatto delle concessioni reali; le rivendicazioni sono molteplici e provenienti da diverse categorie sociali (islamisti, amazigh, intellettuali, giovani…) e accontentarle tutte potrebbe rivelarsi una sfida complicata per il potere.
Antonino Ferrara,
casco bianco ProgettoMondo Mlal Beni Mellal, Marocco
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