giovedì 28 novembre 2013

Dialogo a La Paz sulla giustizia riparativa per giovani detenuti

Organizzato dal Ministero della Giustizia boliviano, con la partecipazione dell’ong ProgettomondoMlal e dell’organizzazione CDC (Capacitación Y Derechos Ciudadanos), si è svolto a La Paz giovedì 14 novembre un incontro-dialogo sul tema della giustizia penale giovanile riparativa.
Insieme al vice ministro della Giustizia e dei Diritti Fondamentali Érika Chávez, hanno preso parte all'evento anche due esperti italiani, già ospiti il mercoledì precedente al Seminario sulla Giustizia Riparativa a Santa Cruz.
Si tratta del mediatore penale Carlo Riccardi e del criminologo e docente di criminologia Adolfo Ceretti, autore di vari testi sul concetto di giustizia riparativa, entrambi sostenitori di questo modo innovativo di intendere la giustizia penale.
L’obiettivo di questo incontro, come sottolineato nell’introduzione del viceministro Chávez, era quello di proporre la condivisione dell’esperienza di un modello alternativo di giustizia minorile che preveda mezzi alternativi alla semplice proporzionalità della pena consistente il più delle volte nella privazione della libertà. L’importanza del tema trattato si fa particolarmente potente in un Paese come la Bolivia, la cui pena massima per i giovani che hanno superato i 16 anni può arrivare ai 30 anni di carcere e in cui, secondo i dati a disposizione e presentati nel “Plan de acción inmediata para adolescentes y jóvenes en situación de privación de libertad”, i giovani privati di libertà nel 2012 erano 2.034 per la maggior parte ancora in attesa di giudizio definitivo, e, ancora, perlopiù per reati derivati da un malessere socio-economico, come il furto e la rapina.
All’inizio del suo intervento Adolfo Ceretti ha proposto una breve ricostruzione storica sul problema della giustizia minorile in Italia, evidenziando come la nuova legge per la giustizia penale italiana del 1988 sia all’avanguardia in quanto “non accantona le istanze di sicurezza e giustizia senza perciò mortificare la dignità del giovane che compie delitto”. È una legge, questa, che pone l’accento sulla dimensione socio-valoriale della pena, tentando il più possibile di accantonare l’approccio punitivo nei confronti del giovane che ha commesso reato: una visione progettuale con interventi di ampio respiro educativo viene proposta già dalla fase processuale, con l’obiettivo di stimolare la responsabilizzazione del giovane evitando così meccanismi di repressione, deterrenza, neutralizzazione, frequenti in un sistema di giustizia fondato sulla pena intesa come punizione e castigo.
"Gli articoli 28 e 29", commenta Ceretti, "si definiscono come il cuore della norma penale per i giovani in Italia, e prevedono la possibilità della sospensione del processo anche per reati particolarmente gravi e l’affidamento del giovane a un'equipe specializzata". Con il sostegno di quest'ultima, il giovane aderisce a un progetto rieducativo della durata massima di 3 anni, con la relativa possibilità dell’estinzione del reato. In gran parte grazie a questo sistema, nonostante le più di 3.0000 denunce penali nei confronti di giovani tra i 14 e i 18 anni in Italia, sono meno di 500 i ragazzi attualmente privati della libertà.
Una giustizia mite, “capace di riporre la spada e la bilancia e di mettere al centro la persona”, è questa la strada individuata da Ceretti nel concetto di giustizia riparativa. E “la persona” non è solamente colui che ha commesso il reato, infatti la questione che l’esperto criminologo ha voluto porre al centro del suo intervento è quella dell’importanza che dovrebbe arrivare ad assumere la vittima all’interno del percorso di giustizia. La giustizia tradizionale, infatti, tende all’emarginazione della persona offesa dal processo, quando invece dovrebbe essere fondamentale la presenza attiva di quest’ultima. Quello a cui si vuole puntare è un processo di mediazione tra vittima e offensore, nel quale i due soggetti possano partecipare attivamente, coadiuvati da una figura preparata e formata al mestiere di mediatore di conflitti, alla ricerca e all’individuazione della possibile soluzione delle difficoltà derivanti dal reato commesso.
Gli obiettivi che si pone questo tipo di giustizia sono molteplici e notevoli: la riparazione dell’infrazione nella sua dimensione “globale”, e quindi non soltanto materiale ma anche psicologica e sociale; la presa di coscienza da parte dell’autore del delitto della sua responsabilità, con un conseguente rinforzo dei valori morali del reo; la possibilità della partecipazione attiva da parte della società civile all’interno del percorso di giustizia; il contenimento dell’allarme sociale instaurato dal crimine commesso. Tutto questo passa principalmente attraverso il riconoscimento della vittima come persona attiva nel processo penale e la conseguente possibilità di una riconciliazione e di quella che viene chiamata “riparazione simbolica”.
Se il processo riparativo giunge a buon fine, infatti, chi compie il delitto può avere la possibilità di compiere un gesto positivo accordato con la vittima, gesto che, per quanto simbolico, possa dimostrare un cambiamento nella relazione critica tra vittima e oppressore.
Sia alcuni esempi concreti portati da Adolfo Ceretti che, poi, tutto l’intervento di Carlo Riccardi, hanno mostrato bene come l’applicazione di una giustizia riparativa abbia la possibilità di agire anzitutto sul benessere delle parti in causa, riducendo e arrivando ad annullare lo shock psichico-sociale causato dal perpetrarsi di un’azione delittuosa: l’obiettivo non dovrebbe essere più, insomma, una eventuale vendetta o una mera azione punitiva nei confronti del reo, bensì un incontro riparativo che agisca positivamente sui singoli soggetti chiamati in causa e, non ultimo, sulla stabilità delle società civile.
Questo stimolante incontro avvenuto a La Paz, durante il quale c’è stata la possibilità di condividere, tra addetti del settore, esperienze concrete riguardanti la giustizia giovanile, testimonia la volontà di seguire un percorso differente rispetto a un modo meramente punitivo di concepire la giustizia penale. Si pone inoltre un altro tassello in questa direzione in Bolivia, dove, grazie a ProgettoMondo Mlal dal 2011 esiste una struttura, il Centro diRiabilitazione Qalauma, in cui, oltre a proporre percorsi progettualiartistico-culturali-lavorativi ai giovani privati di libertà, si sta tentando di sperimentare l’efficacia di una giustizia dall’approccio riparativo. Se la strada può sembrare, ed essere, ancora lunga, ad oggi i passi in questa direzione non stanno mancando.

Mirko Olivati
Volontario Sve
ProgettoMondo Mlal

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