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Prima di diventare possibile, un’idea, deve poter essere pensabile: deve girare senza freni nella mente del suo creatore, essere plasmata e modificata, fino a quando non trova la forma desiderata, capace di potersi trasformare in realtà.
È da questo principio che nasce il nuovo, con cui la società va avanti e indietro”.
È a partire da questa riflessione che
Marco Maccarrone, educatore di ACMOS e Libera Piemonte descrive lo stato della
Giustizia Minorile in Bolivia, dopo l’esperienza concreta nata dalla partecipazione al primo seminario sulla Giustizia Minorile Restaurativa a La Paz, organizzato da ProgettoMondo Mlal lo scorso novembre.

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La realtà boliviana – scrive nella sua relazione -
sembra profondamente solcata da contraddizioni e disuguaglianze incredibili. Il Carcere di San Pedro, a La Paz, è ancora oggi la rappresentazione esplicita di un’assenza:
assenza di diritti, di pensiero democratico, di reale possibilità di cambiamento.
Il primo dato allarmante è che, di fatto,
l'ingresso in carcere di ogni detenuto è soggetto al pagamento di una quota. Questo implica una diversità del servizio, a seconda della disponibilità economica di chi è incarcerato: i criminali più abbienti posso ottenere trattamenti privilegiati, mentre i più disperati vivono in condizioni disumane, a metà strada tra un campo di concentramento e una sistemazione cimiteriale, a partire dal posto letto che somiglia a un loculo.
Una scala gerarchica ben evidente anche
all’esterno, dove viene tollerata una sorta di
giustizia privata, chiamata “comunitaria”, fatta di pratiche macabre e bestiali, come quella di impiccare fantocci ai pali della luce in segno di avvertimento per i potenziali delinquenti, soprattutto i minori, e come promessa di vendetta privata qualora il monito venisse ignorato.
A queste considerazioni va aggiunto che il
carcere di San Pedro, fino a qualche anno fa, era considerato una
meta molto apprezzata dai turisti stranieri, addirittura inserita nei percorsi di visita della Lonely Planet. Accessibile con una quota di ingresso pagata direttamente alla guardia carceraria di turno. L’assurdità di questo fenomeno si amplifica se si pensa al fatto che in questo modo è possibile ottenere somme molto consistenti (l’ingresso al carcere può valere circa un quarto della paga di un sorvegliante), senza curarsi dell'aspetto vergognoso che questa operazione rappresenta.
Inserito in questo scenario, il seminario sulla Giustizia Giovanile Restaurativa che si è svolto di recente a La Paz rappresenta la volontà di fermarsi a pensare il possibile, a dare più ampio respiro a quelle riflessioni che portano il seme del cambiamento sociale. Società civile, associazioni socio-educative, esperti e istituzioni boliviane si sono incontrate per ripensare la realtà.
In Bolivia, ad oggi, non esiste un programma effettivo e differenziato per i giovani che delinquono, e il sistema penitenziario nel suo insieme rappresenta ancora una realtà complessa, incapace di garantire il reale recupero della persona. Eppure c’è chi, per un’alternativa, si adopera per costruire il cambiamento.
ProgettoMondo Mlal lavora infatti da anni al
progetto Qalauma, il
primo centro di recupero per i minori in conflitto con la legge.
Attualmente sono
oltre 600, i minori tra il 16 e i 21 anni che scontano una pena nelle carceri per adulti, in Bolivia. La legge penitenziaria boliviana (n. 2298) in realtà proibisce che i minori siano detenuti insieme agli adulti, tuttavia non esistono le strutture necessarie per permettere questa divisione effettiva. Se a questo dato si somma il fatto che moltissimi di questi ragazzi si trovano a ricevere pene detentive enormi, senza possibilità di revisione o indulto, la situazione diventa insostenibile. Da qui il dramma dell’immutabilità di pene estremamente severe che, se imposte a giovani boliviani arrestati, si trasformano nella negazione del futuro di questi giovani, nell’impossibilità di riabilitarli, o addirittura nel fattore di degenerazione e peggioramento dei loro comportamenti.
Nulla impedisce di auspicare che la società boliviana intraprenda un percorso specifico per indurre la politica nazionale a colmare le carenze e i vuoti normativi, oltre che le applicazioni degli stessi.
Una speranza che trova qualche spiraglio anche negli interventi dei rappresentanti delle Istituzioni boliviane presenti al seminario. Tra questi
Cesar Cocarico, Governatore di La Paz, che ha preso formale impegno, per conto della politica, a partecipare alla nascita e crescita del progetto per la realizzazione del primo carcere boliviano per detenuti minorenni.
Un progetto già in atto con il
programma Qalauma avviato da ProgettoMondo Mlal proprio per offrire un’alternativa psico-socio-educativa ai giovani in conflitto con la legge e che attualmente vivono mescolati agli adulti, nei quattro penintenziari di La Paz. A Qalauma si propone un modello educativo volto alla riabilitazione della persona che ha sbagliato e a un suo adeguato reinserimento sociale.
Al suo interno non è prevista la presenza di polizia; responsabilità e mutuo rispetto diventano i pilastri di questo modello. Nodo essenziale di questo progetto, vuole essere la
relazione con i genitori, dei giovani detenuti: dunque il lavoro degli educatori non sarà rivolto esclusivamente al ragazzo, ma anche alla sua famiglia.
Per permettere ciò, il progetto si articola in tre fasi. L’
accoglienza, in primis, che dura circa un mese e si rivolge agli adolescenti che entrano per la prima volta a Qalauma e ha come spazio fisico una parte separata dal resto della struttura. La seconda fase, quella
comunitaria, si caratterizza per le attività formative di laboratorio, educazione, responsabilizzazione e per un programma di visite esterne. Infine, la terza fase, cioè quella del
reinserimento: i ragazzi svolgono durante il giorno, attività professionali presso istituzioni esterne al centro; in questo modo, si punta a facilitare l’inserimento sociale e lavorativo.

Il nuovo centro occupa quattro ettari di terreno e si divide in più costruzioni. In accordo con le autorità pubbliche, la polizia penitenziaria è dislocata esclusivamente lungo il perimetro dell’area.
All’interno della struttura, sono previsti ambienti diversi, oltre alla normale divisione residenziale, tra maschi e femmine: uno spazio di infanzia,
per i bambini delle madri detenute;
l’area di lavoro (falegnameria, coltivazione, allevamento e artigianato) con l’obiettivo di creare autosufficienza economica per la collettività della struttura, oltre che una formazione rivolta al singolo;
una biblioteca, un centro informatico per la formazione scolastica superiore;
un’area polifunzionale per le attività sportive e ricreative;
un’area spirituale, per le diverse credenze religiose; infine,
un’area speciale, destinata agli adolescenti che possono presentare difficoltà di socializzazione, crisi di astinenza dovute al consumo di droga e alcool, o che esprimono qualche scompenso psicologico per cui è richiesto un accompagnamento specifico.
Un progetto di così ampio respiro sembra quasi un miraggio se si pensa alla cornice descritta in precedenza. Eppure, cambiando luoghi e tempi, anche lo scenario italiano è stato protagonista di enormi cambiamenti su questo fronte e il sistema penale ha attuato e sta attuando nuove modalità d’intervento. Ed è interessante constatare che, a distanza di tempo e di spazio, sia in Italia che in Bolivia ci siano movimenti nati con l’obiettivo da un lato di evitare, o ridurre, i rischi di una stigmatizzazione causata da un contatto con le strutture penali, dall’altro di
contribuire all’educazione del minore attraverso un’acquisizione di responsabilità e favorire percorsi di socialità.
I diritti e la reale possibilità di partecipare alla vita comunitaria devono poter partire proprio da quei luoghi che rappresentano la marginalità, per non rischiare che la democrazia venga vissuta solo da qualcuno. Per questo motivo
pensare al possibile rappresenta una sfida continua, “di impossibile c’è solo ciò che non tentiamo”.
Marco Maccarrone
Educatore di ACMOS e Libera Piemonte Per la relazione completa del seminario
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