
I camerieri sono ex reclusi, o detenuti che hanno ottenuto la libertà condizionale. Hanno storie simili e differenti allo stesso tempo. Nonostante il mio portoghese sia ancora rudimentale, nei momenti di calma ci facciamo delle gran chiacchierate, durante le quali mi raccontano un po' la loro vita. Chi si sta faticosamente costruendo una famiglia; chi non riesce a trovare una donna che non lo pianti in asso rubandogli tutto, soldi, telefono, vestiti, sedie; chi è finito in carcere perché tradito da quelli che credeva amici e ora non vuole più avere nessun amico, sceglie di stare solo, si lascia andare ad una risata con i colleghi, trascorre le domeniche con la famiglia, ma niente più amici. "Com'è la vita in carcere mi chiedi? Vai a vedere".
In carcere hanno scoperto la poesia, la danza, il teatro, la scultura, il desiderio di coltivare quest'arte fino a farla diventare un giorno una professione.
Al ristorante si gestiscono i turni e le spese. Vivono tutti in periferia, chi lavora di sera spesso non torna a casa, dorme lì, aspetta l'alba. Abitano in zone pericolose, non di rado violente dopo una certa ora, quindi si fermano al Prato Feliz e tornano a casa a riposare quando è già giorno. Sono stati responsabilizzati, è stato loro insegnato, e tutt'ora si insiste su questo tema, che non stanno lavorando nel ristorante degli italiani, ma nel loro ristorante, è la loro vita, la loro seconda chance per evitare la strada e di conseguenza anche la delinquenza. Mi è parso fin da subito chiaro come il ristorante rappresenti la loro alternativa, una possibilità concreta per il futuro. E la sensazione che ho è che ci tengano.

Francesca Grego
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal
Progetto Vita Dentro, Mozambico
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