di Mario Mancini, ProgettoMondo Mlal America Latina - Il 2010 è stato un anno fatale per Haiti; una dura e tragica ovvietà, per un Paese che ha avuto, in solo un anno, un terremoto con 220mila morti, l'uragano Tomas che ha distrutto decine di villaggi, un'epidemia di colera che ha prodotto finora 3.000 morti, un primo turno elettorale di elezioni presidenziali con accuse di brogli e incidenti.
Una sorta di catastrofe abbattutasi su un Paese già avvolto da un radicato fatalismo, da una diffusa rassegnazione, da un'agonica resistenza. E tuttavia, per chi va ad Haiti, la sensazione che si prova è di “vitalità”, si sente lotta quotidiana per la sopravvivenza ma anche il desiderio delle piccole cose, lo spazio ancora per l'estetica, il gusto per una poetica passione.
Ad Haiti sembra di essere in un Paese sconvolto da un bombardamento finale. E il 2010 può considerarsi quasi il punto culmine di una crisi storica, un fenomeno che chiude un ciclo strutturale, caratterizzato dalla spoliazione di risorse e dall'alienazione sociale.
Un Paese nato per essere vittima sacrificale. Ma forse tutto ciò è solo un'illusione ottica, prodotta dai nostri occhi occidentali, dal nostro punto di vista materialista, dalla nostra cultura razionalista.
Ma, tra loro -nei discorsi in famiglia, tra amici, per strada- gli haitiani cosa pensano di tutto ciò? Cosa pensano della loro drammatica storia repubblicana? Cosa pensano dello sfruttamento delle economie mercantiliste? Cosa pensano delle miserevoli opportunità offerte dall'emigrazione, negli USA, in Dominicana? Cosa pensano della tutela delle “nazioni sviluppate”?
Di certo, molto prima del sisma, la MINUSTAH era considerata dall'haitiano come una “forza di occupazione”.
La reazione alla notizia, poi rivelatasi vera, che il colera è stato diffuso dalle truppe nepalesi dei caschi blu della MINUSTAH, ha confermato e alimentato l'idea di estraneità di questa presenza.
E cosa può pensare l'haitiano comune che, dopo il terremoto, si vede invaso di nuovo il proprio territorio da frotte di organizzazioni umanitarie, con le jeep, camion e altre diavolerie che servono principalmente ad approfondire il solco tra “noi” e “loro”, ad allargare l'asimmetria di relazioni? Prima del terremoto ad Haiti operavano poche ONG, solo alcune italiane, alcune francesi, un paio tedesche. Insomma in numero sicuramente minore rispetto ad altri Paesi dove, gli indici di povertà sono sicuramente migliori.
Forse Haiti era poco appetibile per numerose ragioni, tra cui la debolezza istituzionale, il problema della comunicazione, la logistica disagevole, alti indici di corruzione, violenza sociale latente. Eppure, dopo il sisma, è diventata all'improvviso oggetto di attenzioni da parte di tutti, provocando una serie di distorsioni proprie di una situazione eccezionale.
Dicevamo, un giorno a Port Au Prince, che ad Haiti occorre moltiplicare tutto per 4: tempi di realizzazione di un'attività, tempi per realizzare una pratica, tempi per ottenere una lettera, ma anche i costi degli affitti, gli stipendi del personale locale, gli stipendi del personale espatriato. Tutto, ma proprio tutto, viene parossisticamente esagerato da una situazione di partenza già drammatica, e da un punto di arrivo offuscato da una realtà complessa e articolata.
Le distorsioni del dopo terremoto sono evidenti: molta distribuzione di beni; molti bei documenti, reportage e rapporti; quasi zero di ricostruzione vera. Nessuna scuola è stata attualmente ricostruita, pochissime macerie raccolte, nessuna opera significativa avviata. E tutto ciò a causa di una burocrazia che blocca tutto, una sorta di confusione in cui sguazzano i potentati locali, i soliti politici corrotti in compagnia di ottimi corruttori internazionali, imprenditori o semplici affaristi.
Ad Haiti sono chiari e definiti solo i centri di potere, o almeno chi influenza il grosso volume di risorse dirette alla messa in atto del piano di ricostruzione. Per il volume di risorse da gestire e per le priorità della ricostruzione, è evidente che un grande peso ricade sulla Commissione ad interim per la ricostruzione di Haiti (IRCH sigla in inglese). E la composizione del consiglio di amministrazione riflette il peso delle differenti istanze sulle decisioni da prendere.
Il Board è composto dalla componente nazionale e da quella internazionale. La nazionale comprende rappresentanti dei tre poteri dello Stato, governo, parlamento, potere giudiziario, enti locali e le principali forze della società civile, imprenditori e sindacati. Nella componente internazionale fanno parte il co-presidente Clinton e poi i rappresentanti dei principali Paesi donatori (USA, Francia, Spagna, Canada, Norvegia), Paesi di cooperazione continentale (Venezuela, alleato del paese sul tema energetico, e Brasile come Paese che coordina la MINUSTAH), organismi sopranazionali (CARICOM e Unione Europea), ONU e organismi finanziari (BID, WB). Oltre al CIRH rimane il grandissimo peso della MINUSTAH, almeno nei temi legati alla ricostruzione istituzionale (stabilizzazione, sicurezza) del PNUD e, in temi settoriali, UNICEF, FAO e OMS.
Il peso delle ONG è circoscritto nei propri ambiti specifici di intervento, progetto, località, settore; solo alcune di loro, MSF, SVC, OXFAM, rappresentano un vero centro di potere. Scarso è il peso della Chiesa Cattolica, mentre appaiono più influenti le numerose chiese protestanti e sette religiose, radicate soprattutto nelle aree rurali.
Gli enti locali, poi, costituiscono dei deboli centri di potere, data la scarsità delle risorse gestite e le ancora diradate competenze che gli sono attribuite.
ProgettoMondo Mlal è presente ad Haiti da 13 anni, e negli ultimi anni ha incrementato la propria azione operando con progetti di sviluppo rurale e di rafforzamento istituzionale orientato a potenziare le competenze degli attori locali. Dopo il terremoto ProgettoMondo Mlal è dovuto intervenire nell'emergenza, soprattutto perché l'epicentro si è prodotto proprio nel luogo dove era ancora in corso un progetto di sicurezza alimentare; quindi, più che un obbligo morale, una conseguenza logica e operativa per continuare a sostenere un processo in marcia.
Per ProgettoMondo Mlal la presenza a Léogane, e nelle altre zone rurali di Haiti, Fond Verrettes, Hinche, Wanament, si basa sullo stesso principio: il rispetto della dignità degli haitiani.
Questo rispetto si traduce in varie azioni concrete e in un approccio molto semplice: iniziative e progetti si fanno solo a partire da un protagonismo vero e autentico delle Organizzazioni haitiane.
Il rispetto che ci dice che le decisioni sulle cose da fare devono essere prese sempre con i nostri amici haitiani. Che noi non siamo lì per alleviare le loro sofferenze, ma per dare realtà alle loro speranze.
Il lavoro nelle scuole distrutte dal sisma, o con le organizzazioni di contadini o di donne, sono dettate sempre da un'idea di collaborazione fattiva con gli attori locali.
ProgettoMondo Mlal dovrà ricostruire 4 scuole, attualmente bloccate dalla burocrazia e dalla stasi istituzionale, ma nel più ampio contesto di un miglioramento della qualità educativa.
ProgettoMondo Mlal sta cercando di riattivare le capacità produttive delle organizzazioni di contadini di Léogane, ma nella prospettiva di generazione di reddito e di uno sviluppo agricolo sostenibile.
Sono esempi e segnali di un modo di operare che pretende di trasformare l'emergenza in un “nuovo inizio”, in cui puntiamo sempre a rimanere al fianco, e non davanti, agli haitiani.
Mario Mancini, originario di Salerno, è da 17 anni in America latina. Dopo molte esperienze sul campo come cooperante di ProgettoMondo Mlal in area andina, attualmente vive a Lima in Perù e segue come consulente dell’Ufficio Progetti la costruzione dei nuovi Programmi di Sviluppo.
mercoledì 12 gennaio 2011
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