martedì 11 gennaio 2011

HAITI, UN ANNIVERSARIO SENZA FESTA

È un disastro, non sapete quale! È un disastro totale”. Così, all’indomani del terribile terremoto che il 12 gennaio di un anno fa ha sconvolto l’isola, tentava di descriverci al telefono lo spettacolo che aveva davanti agli occhi il nostro cooperante ad Haiti, Nicolas Derenne, e che non aveva ancora fatto il giro del mondo.
In quelle ore ad Haiti non c’erano molte organizzazioni umanitarie e i Caschi Blu, universalmente delegati a risollevare l’insollevabile, con il terremoto avevano perso tutto, a cominciare dai propri vertici sepolti sotto le macerie.
Quel giorno ProgettoMondo Mlal era tra le poche Organizzazioni italiane sul posto. Al tempo stava portando a conclusione un primo Progetto di sicurezza alimentare nell’epicentro del terremoto, a Lèogane, 40 chilometri a ovest della capitale. Proprio dove oggi sta ricostruendo 4 scuole e accompagnando nel ritorno alla normalità un migliaio di bambini con i loro insegnanti e i famigliari.
Grazie a quelle basi solide, a quelle relazioni, conoscenze e partner, oggi gli interventi di ProgettoMondo Mlal sono diventati 4. Tre cofinanziati dall’Unione Europea, uno sostenuto esclusivamente dalla solidarietà italiana:
“Allora, come oggi, è per noi estremamente importante potere lavorare per e con le associazioni haitiane –dice il presidente di ProgettoMondo Mlal, il veronese Mario Lonardi-. Soltanto il coinvolgimento diretto e attivo della società civile può garantire infatti una vera rinascita di Haiti”.
E mai come oggi gli haitiani sono soli. “Il vero dramma, a un anno di distanza dal terremoto – ci conferma il nostro cooperante Nicolas Derenne da Haiti, e quel giorno testimone diretto della tragedia- è che oggi hanno perso la speranza. Gli haitiani non credono più in niente. E d’altra parte nessuno può dire loro che il domani sarà migliore. I traumi, i morti, le perdite, e la paure sono ancora estremamente vivi, in un Paese che non va avanti di un metro. In queste condizioni, è francamente difficile sperare ancora... Lo si è visto durante queste feste: un tempo Natale e Capodanno erano tradizionalmente occasioni di festa, di scambio di calore e di gioia, pure nella poverissima Haiti. Quest'anno è stato difficile persino farsi gli auguri: «Non c'è niente da festeggiare», ti rispondevano sconsolati”.

Eppure le grandi Organizzazioni internazionali stanziate sull’isola sono oggi migliaia. Manca però una regia, un coordinamento da parte del governo, una visione chiara di sviluppo, insomma una qualunque strategia locale. Per mesi e mesi i piccoli Comuni distrutti dal sisma hanno invocato un Piano di ricostruzione, un progetto urbanistico che difendesse le loro comunità, già stremate, da un ulteriore caos. La risposta è stata peggio del terremoto. Il silenzio, fatto di poco coraggio, paura e fragilità umana, ha visto crescere l’idea che Haiti non possa farcela. Non possa, come in passato, voltare pagina.
A 12 mesi di distanza ad Haiti mancano infatti i minimi segnali di normalità, là dove nulla è rimasto in piedi. E dove, mese dopo mese, si sono aggiunti drammi su drammi: a cominciare dalla fame, per continuare con gli uragani, la paralisi politica con gli ultimi brogli elettorali, e per finire con l’epidemia di colera che avanza inesorabile senza sconti.
Montagne di macerie sono ancora ovunque. E a queste si sommano pozzanghere stagnanti e cumuli di rifiuti ai bordi delle vie, specie vicino ai mercati di frutta e verdura, fonte di sopravvivenza per migliaia di famiglie. La capitale, Port au Prince, è come se fosse una città bombardata, e subito dopo invasa da una popolazione, comunque obbligata a sopravvivere in quella distruzione.
ProgettoMondo Mlal è ad Haiti da oltre 13 anni. Ininterrottamente ha lavorato nell’isola caraibica per portare la sicurezza alimentare nelle comunità rurali (Progetto Piatto di Sicurezza), per formare la popolazione nella prevenzione dei disastri naturali, per offrire occasioni di sviluppo ai comuni più poveri, occasioni professionali ai giovani della frontiera con la Dominicana (Progetto Viva Haiti), per impiantare nuove fonti di energia sostenibile in un territorio massacrato da disboscamento ed erosione del suoli (Progetto Nuove energie), per restituire i bambini alla scuola, al gioco alla vita (Progetto Scuole per la Rinascita).

Ricorda ancora Nicolas Derenne: “Proprio perché tra le poche presenti sull’isola già il 12 gennaio del 2010, la nostra Organizzazione ha subito potuto mettere a disposizione della popolazione le poche strutture sopravvissute al sisma nella zona di Léogane, la più colpita”.
E ancora: “Siamo stati vicini agli haitiani nel periodo delle piogge che ha aggravato la situazione nelle settimane successive al terremoto. C’eravamo durante la violenza nelle strade, la caccia internazionale agli orfani. Con questa gente abbiamo condiviso la disperazione, la speranza, l’epidemia del colera e le elezioni su cui ancora non si è fatta chiarezza”.
Siamo soprattutto con i più piccoli, con gli scolari, le loro famiglie, gli insegnanti e l’intera collettività del dipartimento di Grande Riviere, la Terza Sezione del Comune di Léogane a cui vengono oggi prioritariamente indirizzati i nostri aiuti.
In Italia la solidarietà si è subito messa in moto, associazioni già nostre partner o alla ricerca di nuovi amici attraverso i quali potere dare una mano all’isola, amministrazioni pubbliche, sindacati, scuole, gente comune… tutti pronti a dare il loro contributo.
In pochi mesi sono stati messi sulla carta contributi per oltre 800 mila euro. Fondi non ancora interamente stanziati ma destinati dai nostri partner italiani, Ccs e Albero della Vita, dalle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta, le Province come il Trentino, Comuni come quello di Genova, ed enti quali la Caritas, o da aziende come la Fix Design, al nostro Progetto di ricostruzione. Perché da soli i soldi non bastano. Ad Haiti è soprattutto difficile impiegarli bene.
Sapere aspettare a volte è difficile. Avremmo tutti voglia di potere dire che molto è stato fatto in questo anno e che tutto è tornato come un tempo. A volte le lungaggini burocratiche, comuni alle nostre latitudini, diventano insopportabili fuori di casa nostra. Eppure ad Haiti c’era –e c’è ancora- da ricostruire un’intera vita democratica!
Nonostante ciò, nonostante la lentezza del processo di ricostruzione, la solitudine, la tensione, la fatica e talvolta la sensazione di non muoversi di un passo, sappiamo che non dobbiamo permettere che questa gente rimanga schiacciata da tanta catastrofe.
Dobbiamo rimanere qui forti e fermi per aiutarli a rialzarsi, per restituire un futuro ai loro figli, per liberarli dalle paure e dalle nevrosi che ancora li paralizzano, sapendo che dobbiamo, e possiamo, farlo solo a partire dalle risorse locali, al fianco degli haitiani e attraverso le loro braccia e le loro teste. Persone indispensabili e uniche, come le associazioni nostre partner nell’isola, gli insegnanti e gli agricoltori con cui condividiamo ancora, giorno dopo giorno, il misero quotidiano qui ad Haiti.

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