lunedì 25 marzo 2013

Caro figlio ti scrivo. Un diario da Haiti

Lucia è partita a fine gennaio per seguire da vicino i progressi dei nostri progetti ad Haiti. Suo figlio adolescente è rimasto a casa, in Italia, e il diario che segue è il regalo più grande che poteva scegliere di condividere con lui. Un modo sincero per tenerlo "agganciato" alla realtà di un popolo che vive ancora profondamente lo smarrimento e il dolore per il terremoto che il 12 gennaio 2010 ha messo in ginocchio uno dei Paesi più poveri del pianeta. Quello che segue è il suo racconto, con una carrellata di foto che lo accompagnano...




Ouanaminthe, 2 febbraio 2013
Ciao! Finalmente stasera ho una camera vera, tutta per me.
Ugualmente dal rubinetto non esce acqua e la doccia domattina sarà sempre fredda, ma già mi sento a mio agio in questo Paese del Centroamerica più africano dell'Africa nera. In fondo non sono passati nemmeno duecento anni da quando in quest’isola trovarono rifugio e scampo gli schiavi sfuggiti alle navi negriere…
Un territorio impervio per gente che non aveva più niente da perdere. Ancora oggi nella popolazione si riconoscono tratti somatici di tutti i Paesi africani. Non una razza dunque ma una colonia di schiavi. Schiavi ieri, e impertinenti e dispettosi oggi nei confronti di chiunque tenti di assoggettarli, dominarli, cambiarli, salvarli... Te lo dicono loro stessi con lo sguardo fiero, te lo confermano con il fisico della resistenza e della forza, qualità selezionate accuratamente dai negrieri di un tempo.
Oggi pomeriggio siamo arrivati a nordovest. A Ouanaminthe, 20 km da Cap Haitienne. Da qui si vede il mare, l'oceano atlantico.
Siamo in una frenetica cittadina di frontiera con la Dominicana. La vedo dalla finestra del mio bagno e domani la raggiungerò a piedi, attraversando il ponte che collega questi due paesi cosi diversi.
Qui, a differenza dell’altipiano centrale dell’Artibonite, la natura appare benigna. Rispetto alla polverosa Hinche, qui predominano i verdi, e l'aria azzurrina è quasi frizzante, quasi sentisse il mare, l'avventura, la libertà. Invece, fino a ieri, tutto mi appariva predestinato. Un'atmosfera al rallenty con, come protagonisti, un esercito di rassegnati.
Stasera ho anche mangiato senza il disgusto dei giorni scorsi. Un banale polletto in salsa ma che mi è sembrato una squisitezza dopo il capretto in umido dei giorni scorsi.
Giù ad Hinche la gente mangia per sopravvivere. Abbiamo fatto le riprese nel cortile di una famiglia a ora di pranzo: si cucinava e poi mangiavano 8 bambini dagli 0 agli 10 anni avventati su un paio di scodelle di riso. C’era un'atmosfera irreale di silenzio famelico. I bambini facevano a turno con un cucchiaio e soltanto alla fine si è avvicinato il più grandicello che ha raschiato la pentola. Nn avrà mangiato più di 2 cucchiate di riso. La scena che ho seguito con il cuore stretto per una lunga mezz’ora non aveva niente a che fare con un’occasione conviviale o con i rituali di altre latitudini, qui si trattava di una pura faccenda fisiologica e noi eravamo dei guardoni.
Più tardi, al mercato di Jakob, ho visto una donna comprare un quadratino di pane: lo ha accarezzato distratta e assaggiato, per poi riporlo in un pezzetto di carta e infilarlo rapida nella borsetta. Come se avesse comprato un chilo di filetto. Aveva uno sguardo dolce da mamma.
Ad Haiti non si muore di fame ma la relazione degli haitiani con il cibo ha più implicazioni. Ad esempio, per strada, nella spiccia richiesta di cibo –che gestualmente rappresentano a te straniera indicandosi ripetutamente la gola- sembrano associare in realtà un’idea generale di rivendicazione. Come ad accusarci: soltanto la fame vi smuove!
Gli haitiani sono generalmente belli. Sguardi dritti, intensi, che nell'obiettivo diventano tristi. Nn si mangia né bene né abbastanza. Semplicemente in tanti secoli di povertà, dominio, occupazione, non hanno costruito il vanto di una propria cucina.
Stanotte sono stata svegliata alle 4 da un canto da campi di cotone. Un coro a onde che ricordava davvero i tempi degli schiavi. E in effetti ho pensato che in meno di 200 anni sono vissute appena 4 generazioni, quindi i ricordi di quel tempo non sono estinti.
Qui sulla frontiera con la Dominicana l'aria che si respira è quella dell'emergenza, della sopravvivenza. Haitiani e domenicani vanno e vengono sul ponte carichi di ogni cosa. Trascinano o spingono pesantissimi carri di sacchi e caschi di banane, a ogni età portano altissime pile di cesti sulla testa, corrono con cariole riempite all’inverosimile cariche di gabbie, bidoni, mobili, sacchi, casse. Camminano veloce per farsi strada nella ressa , e potere fare più viaggi in un giorno, la frontiera chiude alle 5.
Ma l’itinerario del cibo ha una sola direzione: dalla Domenicana ad Haiti. Da Haiti non esce niente, se non loro stessi con le mani e altri contenitori vuoti.
Scappo.
Ti penso!
mami

4 febbraio 2013
Ciao Giulio, non so ancora se ti è arrivata la mia mail dell'altro giorno, perchè da allora internet non ha più funzionato e mentre scrivo non so ancora cosa sia partito e cosa sia arrivato.
Nel mentre noi abbiamo finito il lavoro da fare qui al nord e domani mattina torneremo a Hinche, nell'altipiano centrale per un altro giorno di riprese. Poi scenderemo fino a Léogane dove c'e' stato l’epicentro del terremoto di 3 anni fa e dove come ProgettoMondo Mlal stiamo ricostruendo 4 scuole comunitarie.
I trasferimenti sono però lunghi e faticosi. La strada è pazzesca, come fossimo sul crinale di un canyon, ci si mette ore e ore per fare anche pochi km. Quasi 4 ore per fare appena 80 chilometri, per la precisione!
Questo delle mancanze di strade è uno dei problemi gravi di Haiti. Perché, seppure la gente produce qualcosa da vendere non ha alcuna possibilità di spostarsi da nessuna parte per raggiungere un mercato e vendere le proprie cose.
A noi che -fortunati- viaggiamo su 2 macchine, ci chiedono continuamente passaggi. Negli orari di scuola si incontrano fiumane di ragazzini e bambini che si incamminano per sterratone infinite che almeno apparentemente portano nel nulla.
Così capisci come, anche agganciarsi per pochi isolati al cassone di un pick up in corsa, possa essere davvero di grande soddisfazione. L’alternativa infatti è camminare per lunghezze considerevoli solo per scambiare 4 parole con un vicino o per il puro desiderio di spostarsi dal proprio cortile e scoprire cosa succede appena un po’ più in là…
Lontananza e isolamento rendono davvero tutto più difficile!!
Ieri per esempio abbiamo intervistato una famiglia di contadini che grazie al nostro progetto di Sicurezza alimentare ora ha oggi bel campo coltivato di verdure. Peccato però che, solo per innaffiarlo, l’intera famiglia sia costretta farsi km e km con bidoni immensi sulla testa perché nella loro comunità non c'è una fonte d’acqua.
Sempre ieri abbiamo visitato un’altra comunità coinvolta nel progetto, e abbiamo filmato un gruppo di contadini che facendo musica con le canne di bambù, cantando, e ballando costruivano muretti di contenimento per non fare franare la montagna. Il disboscamento selvaggio e continuo ha reso i tanti pendii di questo Paese ammassi instabili di terra, frane in attesa della prima tempesta utile per rovinare a valle.
Abbiamo filmato come qui fanno il carbone. Forse te l’avevo già detto, ma qui ad Haiti sono rimasti alberi solo sul 2% del Paese, e proprio perché per cucinare, scaldare, e fare qualsiasi cosa che abbia bisogno del fuoco, serve la carbonella e quindi legna. E per fare legna sono costretti ad abbattere gli alberi a un ritmo pazzesco, molto superiore alla capacita di ricrescita delle piante. Senza una regola o un coordinamento, ovviamente. Ognuno per sé e Dio per tutti. E il risultato è terribile perché cosi le piante non fanno nemmeno in tempo a dare frutti, non c'e' ombra né riparo, e la terra pian piano frana, si erode e non la si può più coltivare!
Un'altra mancanza che a noi può sembrare stupida ma, quando manca, non lo è, è quella della luce! Alle 5 di pomeriggio qui diventa buio pesto e non si può fare più nulla: ti rintani nella tua casupoletta di assi di palma e aspetti paziente il nuovo giorno. Nn c'è televisione, gioco, giornalino che tengano: non vedi un cz!
Fa una certa impressione passare davanti a tutte queste casette immerse nel nero quando sai che, dentro, ci sono almeno 10 persone (gli haitiani hanno in media 8 figli) stretti in 10 mq a fare non si sa cosa...
Così quando, sempre nel buio, per strada ti appare un bimbetto fermo nel nulla, capisci che a volte anche il nulla buio può diventare una distrazione, un’opportunità al di fuori del tran tran consueto.
Forse riesco a spedirti questa mail.
Spero ti arrivi insieme a tutto il mio amore!
Sii bravo!
Mamma

Port au Prince, 7 febbraio 2013
Ciao Giulio! Siamo arrivati in capitale a Port au Prince. Tre ore di viaggio e altre 2 ore secche per attraversare solo la città. Qui è il caos più completo: quattro strade principali e migliaia di tap tap (piccoli autobus coloratissimi e bellissimi) che sfrecciano in tutte le direzioni, con il verde, il rosso e il giallo. La poca consuetudine con dei mezzi di trasporto propri fa sì che chiunque si trovi eccezionalmente al volante di un mezzo si goda serenamente la piena libertà di occupare lo spazio: autisti, utenti e passanti creano ingorghi eccezionali, apparentemente senza nemmeno rendersene conto. Si fermano al centro della strada e alzano il cofano per una controllatina al motore, si mettono di traverso per invertire direzione, avvicinare qualcuno che si ha a bordo alla propria destinazione. Ti superano a destra e a sinistra, indifferentemente, senza preavviso, e cosi l'incastro si ingrossa senza limiti e si rimane tutti imprigionati nella ferraglia come una moderna partita a Shangai.
Haiti sorge su tante collinette, cosi per attraversarla si sale e si scende continuamente. Anche se, ieri sera al nostro arrivo, era già buio pesto, si intravedevano bene i segni del post terremoto: schiere di piccole tende bianche si susseguono accrocchiate lungo i marciapiedi. Vi vivono ancora migliaia di haitiani. Nell’oscurità più completa, ovviamente.
Gli haitiani saranno come i gatti? Anche in una città affollata come Port au Prince (urbanizzata per 800 mila abitanti, ma ve ne vivono circa 4 mioni), un formicolio di gente si muove continuo nel buio pesto. Gente che va, che viene, che vende, che compra, che guarda. Il tutto nel buio. A giudicare dalla disinvoltura con cui si muovono... si direbbe che hanno il senso della vista molto sviluppato.
Per il nostro arrivo in capitale i colleghi Alessandro e Valentina ci hanno portato in un ristorante (Oloffson) molto glam, tutto in legno bianco, a più piani e a terrazze dalle balaustre ricamate. lo stile si chiama gingerbread e l’Oloffson è una delle costruzioni più antiche (1887) e fotografate di Pap (Port au Prince), ha resistito impavida al terremoto proprio in un quartiere dove sono venuti giù come carta alberghi ed edifici più moderni!!
L’Oloffson è molto fighetto, vi si esibisce la band più famosa dei Caraibi (Ram), e infatti è il punto di incontro di inglesi e americani, funzionari e factotum delle Nazioni Unite. Il che dopo tanti giorni di campagna estrema disturba un po’: spaparanzati sui divani a battere mail su argentee tastiere Mac, con i piedi alzati sui braccioli come davvero fossero i nuovi padroni dell'isola. Sotto l’Oloffson, a pochi passi da lì, cominciano le tende e il buio della miseria. La tua mamma per non farsi troppo commuovere s'è sparata subito un clubsandwich... Booono!
Per la sosta qui a Port au Prince dormiamo in un Bed and Breakfast caruccetto in zona residenziale, spartanissimo ma accogliente che, dopo lo shock del primo ostello, ci è sembrato il paradiso. In realtà, il proprietario Jean Michel è visibilmente alle prime esperienze nel campo dell’accoglienza e ha velleità pericolose… Ci racconta di avere appena ordinato un migliaio di coniglie per avviare un business parallelo e confida che il giardino di questa ex villetta unifamigliare, oggi gestito (non trasformato!) come nuovo Bed and Breakfast, possa addirittura ospitare un mercato di primizie ogni sabato.
Stamattina ci siamo svegliati come sempre alle 6 per un primo giro della città.
I nostri due cooperanti a Pap ci hanno molto raccomandato la sicurezza. Sta iniziando il carnevale e si temono disordini.
Se anche gli haitiani sembrano gente tranquilla cominciano -dicono- ad averne le tasche piene di noi. Di noi stranieri che giriamo con i fuoristrada fotografandoli dai finestrini come allo zoosafari... Portiamo soldi che non si sa dove finiscono. Occupiamo edifici chiusi all’esterno come bunker. Invadiamo i loro spazi per farli nostri e lasciamo tutto il resto fuori. Come era prima.
Perchè alla fine dei conti, qui, è come se il terremoto ci fosse stato pochi mesi fa e i calcinacci ti si ripropongono soltanto quando meno te li aspetti, un po’ più in là. Anche perché, al di là delle ordinanze, davvero non saprebbero dove smaltirli... Discariche e inceneritori non sono imprese da Sud del mondo. Le grandi metrature di plasticona bianca o azzurra con le griffe degli aiuti umanitari rimarranno dunque per secoli su questa povera terra!
In centro città abbiamo visitato un istituto tecnico superiore dove i ragazzi frequentano corsi teorici e pratici per diventare ingegneri civili, fabbri, falegnami. Ragazzi e ragazze molto motivati che provengono dalla provincia e che, grazie a una borsa di studio di qualche Ong, provano davvero a ribaltare il loro destino.
Tornando sulla piazza centrale in Champs Mars, dove un tempo, di fronte a un colossale schiavo in bronzo che tira per liberarsi dalle catene, sorgeva su modello della Casa Bianca il palazzo presidenziale (1918), se non fosse che con il terremoto del 2010 si è letteralmente afflosciato su se stesso come un’enorme meringa a tre cupole e sul prato verde ne sono rimaste oggi appena le briciole!!! Spaventoso.
Mentre eravamo li, davanti alle inferriate del palazzo nazionale, si è materializzato un corteo di protesta contro il governo dell’ex popstar Martelly: alcune centinaia di manifestanti che sfilavano con striscioni e slogan in creolo inframmezzati da canti e balli carnevaleschi. E così. qualunque fosse stata la causa dell’improvvisa rivolta popolare, i suoi portavoce non appaiono mai cosi temibili!!! Stasera ceniamo da Ale e Valentina. Ci faremo una pasta, tanto per cambiare un po' il menu, e poi a letto presto perche domani la sveglia è alle 5 per andare a Léogane, in tempo per filmare l'inizio delle lezioni nelle scuolette del post terremoto!!!
Amorino ti voglio molto bene e spero tu te la stia passando benone..
Se ti guardi Harold e Maude... ti sembrerò ancora più vicina :-)))
Bacio, bacio e ribacio
Maman

10 febbraio
Ciao amorigno,
Siamo rientrati stasera da Léogane e domani mattina alle 6 partiamo per Fonds Verettes, ultima tappa di questo viaggio attraverso Haiti e ultimo video.
Léogane è a una quarantina di chilometri a ovest di Pap, sulla litorale. E’ molto bella e verde: il classico paesaggio tropicale di bananeti, canna da zucchero e mais. In mezzo a tanto verde, sulla terra battuta, sorgono delle coloratissime case in legno, sempre con il loro portichetto, la fitta siepe di piante grasse e l'immancabile filo steso del bucato, con almeno una decina di mutandine da bambino: tanti sono i figli per famiglia da queste parti...
Ora la maggior parte di queste case è sventrata o pericolante. Qui infatti è stato l'epicentro del terremoto e, almeno per quanto riguarda le case private, dopo tre anni le macerie sono ancora tutte qui.
La differenza è che oggi ogni casa, o quel che ne resta, è segnata sull'uscio: una V verde indica che la struttura tiene ancora, mentre una croce rossa ti conferma che, tu famigliola haitiana povera, una casa non ce l'hai più'!!
Inutile dirti che, ugualmente, quasi tutte le case sono ancora abitate dai superstiti. E come potrebbero costruirsi un'altra casa altrimenti?
Ovviamente siamo stati in tutte le nostre 4 scuolette: in quelle crollate e anche in quelle che stiamo costruendo daccapo. Abbiamo intervistato gli insegnanti e i direttori, ripreso i bambini che facevano lezione, abbiamo ascoltato le mamme raccontare di quel terribile 12 gennaio e di dove si trovavano, loro e i loro bambini, quando improvvisa è arrivata la scossa e la distrazione. Testimonianze semplici e timidissime che però, al momento clou del racconto drammatico, si scaldavano e diventavano un gesticolare febbrile, uno sbattere d’occhi angosciante.
In ogni scuola si contano vittime tra bambini, insegnanti e genitori.
Ed ecco spiegato perché adesso sono tutti stretti attorno a questi lavori di costruzione”. Ogni membro della comunità fa molto più della sua parte, mettendo a disposizione terreni, competenze o lavorando materialmente. per superare l’incubo che è stato collettivo, per ridare la scuola ai propri figli e un futuro anche agli amici dei propri figli.
La società haitiana poggia –si può dire- sulla famiglia allargata. Il nucleo di affetti, relazioni e supporto, non è cioè quello stretto delle nostre regioni. Ogni bambino può contare su molti adulti, e prima di decretare che un bambino è rimasto orfano su questa terra… bisognerebbe conoscere a fondo l’intera comunità.
L'istruzione dei bambini è per gli haitiani è la cosa più importante e fanno sacrifici enormi per assicurarla. Qui la scuola comunque ha un costo perché il governo non la garantisce a molti. Non la consente a tutti.
Così, soprattutto nelle piccole comunità, i genitori si mettono insieme e pagano insegnanti e i libri. Ma costa sopratutto la divisa obbligatoria: ogni classe ha una divisa diversa di colori super sgargianti e modelli molto carini. Camicette a quadretti , magliette e, sopratutto, nastrini e fermagli stupendi per le acconciature delle bambine, e calzetti di pizzo inamidati che miracolosamente sopravvivono alla sporcizia e alla polvere di questi posti. Ed è incredibile come la comunità si impegni al massimo per fare studiare i bambini. Convinti come sono che soltanto cosi potranno avere un futuro diverso.
Un po’ come se i predicozzi che io e papi facciamo a te avessero qui la più completa ed entusiasta delle applicazioni! STUDIAAAAA.
Ti bacio
Mamma

Fonds Verrettes, 13 febbraio
Ciao piccolo, ancora pochi giorni e sarò di nuovo con te.
Da ieri siamo a Fonds Verettes! Mi spiace non essere riuscita a farti avere mie notizie nella serata di passaggio a Port au Prince, ma abbiamo avuto una serie di inconvenienti che hanno fatto saltare tutto. Innanzitutto quando siamo rientrati in albergo lo abbiamo trovato chiuso con i sigilli giudiziari perche la polizia aveva avviato un'inchiesta contro il gestore del Bed and Breakfast e, con il suo albergo aveva sequestrato anche le nostre valigie!!! Con dentro tutte le mie cose, compresa la carica e adattatore dell'iphone.
Così abbiamo dormito in un altro albergo con le sole cose (che camminavano d asole per le incrostazioni di polvere)! che avevamo addosso. Naturalmente non ho potuto non pensare a te e al tuo sconforto per la valigia rubata ad Atene…. Eh?
La partenza all’indomani era prevista per l'alba e cosi non sono riuscita più a comunicare.
Qui siamo davvero in un posto assurdo! Per arrivare in questa nuova zona di frontiera con la Dominicana, nel sudest del Paese, abbiamo guadato un torrente gonfio d'acqua e la macchina si è impiantata nel bel mezzo con l'acqua che arrivava alle portiere! la nostra cooperante Petra, però, è stata bravissima e con l’aiuto dei ragazzotti che seguivano con partecipazione il nostro passaggio dagli argini sassosi, siamo risaliti in questo remoto apice di valle.
Qui è bellissimo! Questa poverissima comunità sorge praticamente all’incrocio degli uragani, su un letto di un fiume in secca dai grandi sassi bianchi spazzato da inondazione dopo inondazione. Eppure gli abitanti di Fonds Verrettes resistono e sono fieri di rimanere a vivere qui. Lungi dal cogliere la rassegnazione o la preoccupazione registrata nelle altre tappe, nelle persone intervistate qui in questi giorni, abbiamo invece raccolto una determinazione “montanara” che lascia bene sperare per un futuro di Haiti. Piegati, se non dal terremoto, senz’altro da un alfabeto di uragani (sai che di volta in volta gli danno un nome di fantasia che inizia con una nuova lettera), dimostrano una schiettezza di vita e di appartenenza che rivedi nelle caprette che popolano ostinate questi sassi.
Da Fonds Verrettes si sale fino a 900 metri, fino in un bosco di pini in cui qualche improvvisato imprenditore ha scommesso di portare il turismo. In mezzo agli alberi, irreale dopo decine di improbabili chalet alla Yellowstone, ti si compone sotto gli occhi un mercato bellissimo, dai colori e i visi medievali, pieno di animali, carri e portatori di sacchi, in tutte le sfumature del marrone. La Domenicana è a pochi passi, la maggior parte già parla in spagnolo. Camion stracarichi vengono e vanno. E’ tardi ed è ora di sbaraccare. Tra i pini si iniziano a disperdersi asini, cavalli e venditori a piedi. Cala la sera e l’aria di frontiera si fa frizzante.
Buona notte!
Mami

2 commenti:

  1. Commovente. Grazie per la testimonianza.

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  2. Un' anima che coglie "oltre"ciò che vede, in profondità. Grazie per averci strappato dolcemente alle nostre abbondanti libagioni pasquali...
    che ormai da anni sono divenute parche e rispettose, ma comunque abbondanti rispetto ad Haiti, sempre.

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