mercoledì 27 marzo 2013

Intervista a Suzy Castor, la pasionaria haitiana


Suzy Castor, già da molti ribattezzata la pasionaria haitiana, nell’86 è fondatrice insieme al marito del Centre de recherché et formation economique et sociale pour le développement, principale riferimento culturale per la storia del Paese. Alle sue spalle un lungo esilio in Messico durante la dittatura Duvalier, che la rese riferimento all’estero per miglia di rifugiati centroamericani, il prestigioso Premio spagnolo Juan Mari Bandrés per l’accoglienza dei rifugiati, la partecipazione alla giuria del Tribunale dei Popoli, la nascita e affermazione del partito di opposizione Olp –Organizzazione del Popolo in Lotta- e il matrimonio di sentimento e condivisione politica con Gerard Pierre-Charles (1935-2004), noto studioso e politico di sinistra, nel 2004anche candidato al Premio Nobel della Pace.
Con Il Cresfed, e quindi con la sua guida Suzy Castor, ProgettoMondo Mlal collabora da anni in progetti di cooperazione allo sviluppo. Attualmente sono due gli impegni che legano questa storica partnership: un progetto di sicurezza alimentare nell’altipiano centrale del Paese e nel nord est, e il progetto Viva Haiti per lo sviluppo partecipativo di un territorio estremamente degradato, nel sud est al confine con la Domenicana.
Abbiamo incontrato Suzy Castor il 14 febbraio scorso nella sua bella casa di Port au Prince per tastare con lei il polso dell’anima haitiana a 3 anni esatti dal terremoto del 12 gennaio 2010.

QUAL È LA SITUAZIONE AD HAITI A 3 ANNI DAL TERREMOTO?
Se tutta la cooperazione offerta ad Haiti avesse dato, in proporzione, eguali risultati oggi non ci troveremmo a questo punto.
Studiando ciò che è stata la cooperazione dal 1975 a oggi, noteremmo infatti come sia stata enorme, e quanto sia andata aumentando nel tempo. Dunque, vista la situazione, è il caso di dire che c’è qualcosa che non funziona, sia da parte di Haiti sia da parte di chi dona.
Non si può negare che parte della cooperazione è realmente stimolante: se ne vedono i risultati e anche l’apprezzamento della gente. Così come, risulta altrettanto vero, esistono buone istituzioni che lavorano nella cooperazione e che hanno dei buoni risultati.
Ma si tratta di risultati circoscritti che si verificano in una certa zona, o in un preciso ambito ma che poi, a livello nazionale, non hanno un vero impatto. O meglio, perché avessero un impatto concreto e duraturo, sarebbe necessario che prima fosse incardinato in una visione, che tutto venisse cioè calato in una visione di politica nazionale, in un’azione di governo.
Perché, senza la partecipazione e l’orientamento da parte di un governo, o in mancanza di un Piano complessivo fatto dal governo basato su un orientamento definito e studiato sull’analisi di ciò che conviene o non conviene ad Haiti, e dunque sull’ambito in cui intervenire, su cosa e quanto serve andare a rafforzare e in quale direzione, beh diventa difficile che la cooperazione possa veramente dare dei resultati!
Lo stesso vale da parte della cooperazione interazionale: ci sono delle istituzioni – sfortunatamente non le più potenti- che comprendono ciò che è solidarietà e ciò che è cooperazione.
Molto spesso, però, quando dietro le istituzioni ci sono i Paesi, i governi, un altro tipo di scelte, la potenzialità di commettere errori si fa davvero concreta.
Perché a quel punto, ciò che si viene a fare qui ad Haiti, non sono tanto dei progetti pensati in accordo con la popolazione del Paese quanto più semplicemente progetti che vengono “realizzati”.
E che dunque non hanno l’impatto che avrebbero potuto avere se avessero coinvolto la popolazione.
Altre volte si tratta di progetti calati dall’alto, del tutto estranei al contesto, e che in definitiva non hanno niente a che vedere con la realtà di questo Paese.
Così come oggi, molti dei lavori, e dunque dei soldi a questi destinati dalla cooperazione, sono stati invece affidati da governi e istituzioni a imprese del proprio Paese o straniere, come nel caso della Domenicana che è risultata beneficiaria di moltissimi contratti per la ricostruzione, sia di infrastrutture che di ricostruzione vera e propria ad Haiti.
La prima conseguenza di questo è che in definitiva la cooperazione non favorisce né consolida le imprese haitiane, dunque le imprese haitiane non hanno nemmeno beneficiato di questa ricostruzione. Tutto ciò crea del malcontento...
Naturalmente ci sono delle leggi e delle regole specifiche, ma se la cooperazione rispecchiasse davvero il modo di rapportarsi con l’estero di un determinate Paese, non potremmo negare che, oltre alla solidarietà, e dunque alla sincera voglia di donare, ci sono in gioco anche altri interessi.
Tutto questo per dire che, se nell’ambito della cooperazione internazionale si riscontra un cattivo modo di ricevere, - e in questo senso il governo haitiano ha le principali responsabilità- non si può tacere che c’è anche un cattivo modo di dare. E credo sia quanto accade ad Haiti.

E' GIUSTO DIRE CHE HAITI È UN PAESE SENZA STATO?
La storia di Haiti si è tutta sviluppata attorno a delle grandi opportunità perdute. Dopo il 1986, per esempio, nel popolo haitiano era andata crescendo una grande speranza e la convinzione di avere davanti una grande occasione. Come haitiani dal 1987 abbiamo infatti una Costituzione e, dopo lo stato dittatoriale si voleva ovviamente costruire un nuovo stato democratico, si voleva concretizzare la nuova filosofia che avrebbe guidato il nuovo Paese… ma per avere uno Stato, è necessario prima costituire le sue principali istituzioni. Dunque non basta la visione serve anche chi la incarna.
E invece, a cosa abbiamo assistito? Non solo non sono nate le istituzioni previste dalla Costituzione ma, anzi al contrario, abbiamo assistito a una deistituzionalizzazione di ciò che avevamo costruito fino ad allora. Così oggi abbiamo uno Stato in crisi che non assolve alle sue funzioni, uno Stato estremamente debole.
Non dico che lo Stato non esista, perché, quando si tratta di repressione sa farsi sentire con la popolazione, ma se si tratta di rispondere piuttosto ai suoi bisogni o alle esigenze del Paese, allo si scopre quanto questo sia minimalista, eccessivamente debole, per non dire inesistente.
Ciò ci mostra sia la profondità della crisi -perché quando diciamo che lo Stato è debole, sappiamo che è una debolezza che ha radici molto profonde- sia quanto sia arduo, se non impossibile, re-indirizzare uno stato così debole.

LA CONTINUA PRESENZA DEI MILITARI AD HAITI, COME VIENE VISSUTA?
Un Paese che ha ottenuto l’indipendenza a certe condizioni, e che nella transizione ha conosciuto l’occupazione militare, oggi continua a vivere con i militaria casa propria.
Sebbene questa di oggi non sia l’occupazione nord-americana del 1915-1935, comunque sempre di presenza di soldati sul suolo nazionale si tratta.
Inoltre, a questa occupazione fisica si accompagna una forma di tutela, perché attualmente, che si dica o no, Haiti è un Paese sotto tutela.
E a questo proposito torniamo alle responsabilità del governo: sono i governi infatti che siglano gli accordi, che chiedono, che hanno sollecitato questo intervento, questa presenza. Sono sempre i nostri governanti che, in un totale laissez faire, spariscono sotto le influenze internazionali.
In definitiva Haiti vive oggi sotto una tutela, anche se non se ne dice il nome, che non è legale. E credo che questo sia un aspetto che pesa molto sulla situazione attuale.
E’ una condizione dura da sopportare, si fa come se tutto questo non pesasse... ma la tutela è là.


ESISTE UN IMPEGNO CIVILE ORAGNIZZATO E COME SI STA SVILUPPANDO?
Al trionfo popolare contro la dittatura del 1986 aveva contribuito un grande fermento, attraverso le sue tante forme organizzate, che è cresciuto fino al trionfo di Aristide nel 1990. Ed è insindacabile che si sia trattato di una vera vittoria, una grande vittoria popolare, perché ha davvero rappresentato il concretizzarsi di una comune lotta anti-dittatoriale che ha impedito al neoduvalierismo di affermarsi. Sul come poi siano andate dopo le cose è un’altra storia.
Ora il terremoto ha contribuito a invertire quella tendenza popolare, per premiare invece le gestioni di Aristide, Preval e ancora Aristide, e addirittura a disarticolarla, e disarticolare a la strutturazione dei partiti che sarebbe potuti nascere. Con il terremoto insomma abbiamo ricevuto un colpo molto duro e attualmente ciò che Rimane di quella forza popolare è molto debole, sia per quanto riguarda la società civile sia per ciò che sono oggi i partiti politici.
Ciò nonostante un principio di organizzazione esiste, dunque si avverte un inizio di rinnovamento, non ripartiamo da zero! Ci sono giovani che cominciano a credere nello sviluppo del loro Paese, mentre prima tutti volevano andarsene, al grido di “si salvi chi può”. Sarà forse sarà per la difficoltà che a livello internazionale si sta vivendo anche negli altri Paesi, e che smentisce quell’immagine di Eldorado come volevamo pensarlo, sta di fatto che notiamo una sfumatura -non proprio ancora una caratteristica- per cui molti giovani che prima partivano, e non volevano più tornare, ora mettono in conto di tornare.
E credo che questa sia una buona cosa.
Da un altro punto di vista, e malgrado sia lungo il cammino compiuto dalla democrazia, settori sempre più ampi prendono coscienza della situazione, di quali sono i rischi per lo sviluppo della democrazia, e che per questo sono determinati a lottare.

PERCHÉ È FATICOSO FARE COOPERAZIONE AD HAITI?
E’ infatti innegabile che nel corso dell’intero periodo di transizione ci sono stati notevoli progressi, tanto che oggi possiamo apprezzare di sapere cosa è stato il duvalierismo -il periodo dittatoriale in cui erano negate le libertà principali pubbliche, come il diritto alla cittadinanza, il diritto di parola, di associazione, addirittura il diritto di movimento, e vigeva, diciamo, un controllo molto rigido e un vero e proprio terrorismo di Stato, prima, e la repressione, poi, che soggiogava la popolazione. Oggi possiamo dire che in questo Paese, a partire del 1986, le libertà di cittadinanza esistono. Oggi la radio haitiana è parola, la radio è libera, la gente parla, la gente non ha paura ...
E molto difficilmente potrà ormai esserci sottratta questa conquista di libertà.
Pur tuttavia, l’altra faccia di questa conquista, dell’esercizio della cittadinanza; l’avete sotto gli occhi nella situazione che vive Haiti: ampi strati della popolazione non godono dei diritti sociali, dei diritti economici, dei diritti dello sviluppo della loro personalità, nella loro integralità, come dovrebbe essere... Ed è in questa dicotomia che la gente vive: da un lato la situazione viene vissuta come molto dura, difficile, mentre dall’altro, proprio per la sua durezza, accresce la volontà di salvare ciò che si può salvare, ciò he è stato conquistato fino a oggi, e di scoprire se in definitiva possiamo arrivare a una forma di organizzazione che apra il cammino ad altri orizzonti...

QUAL È L'ANIMO, IL CARATTERE DEGLI HAITIANI?
Effettivamente gli haitiani, tutti gli haitiani senza eccezioni, sono molto fieri del passato glorioso che, non solo a livello nazionale ma nella storia universale, ha rivestito Haiti per quanto riguarda i movimenti per l’abolizione della schiavitù, della proclamazione di indipendenza e per il contributo dato ai moti rivoluzionari nella storia dell’America Latina.
E’ una fierezza che, in un mondo tutto sommato ostile, rivendica di avere costruito una nazione a partire della schiavitù.
Mentre oggi si potrebbe quasi pensare che gli haitiani subiscono, o comunque accettano fatalmente ciò che accade al Paese.
Per descrivere questo atteggiamento, alcuni parlano di resilienza degli haitiani. Un termine che io rifiuto, è una parola di origine inglese poi passata al francese... Io personalmente credo che, accanto a dei momenti di esplosione, ci sia tutta una capacità di incassare, incassare i colpi, fare fronte a una vita di volta in volta più difficile, sopravvivere comunque.
Credo che in questa sopravvivenza ci sia una ricerca del vivere, ed è la vita stessa che si ricerca e ch e da un momento all’altro può esplodere. Perché, con le disuguaglianze che esistono nel Paese, due mondi così diversi, come il mondo rurale e quello della città, in questo insieme di ricchi, poveri, neri, mulatti, c’è talmente tanta gente che ancora oggi –nel 2013- non ha accesso alla salute e all’educazione, che da un momento all’altro tutto questo può davvero esplodere. Perché siamo davvero tutti seduti sopra un vulcano.

QUAL È IL SUO IMPEGNO PER HAITI OGGI?
Oggi come sapete io lavoro nel Cresfed, in un settore in cui io credo molto, che è quello dell’educazione.
A questo livello, perciò, partecipo all’impegno del Cresfed e come docente partecipo all’attività universitaria. Tutto ciò che può essere fatto a livello educativo e formativo in questo Paese, credo che sia molto costruttivo e che, al contrario, non si possa avanzare di un passo se, nella costruzione di questo stato, non consideriamo l’educazione come pietra miliare.
Oggi è soprattutto questo il mio contributo anche se, ovviamente, a livello politico, pur non essendo più attiva come prima, continuiamo a seguire comunque l’attualità e ciò che succede.
Il mio sogno è che un giorno la gente di Haiti possa vivere in un Paese sovrano e sentirsi cittadina. Questo Paese non lascia indifferenti, non so perché... Sono passati appena due secoli dalla sua nascita, che nella storia del mondo non sono nulla, per cui la gente, consapevole della propria condizione tanto terribile, è comunque convinta che questa può cambiare.

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