martedì 30 luglio 2013

Brasile, ci possiamo credere?

Rio de Janeiro - La manifestazione convocata dai sindacati l’11 luglio scorso può essere considerata un fiasco. Non è riuscita cioè a mobilitare la popolazione come era riuscito invece agli studenti qualche settimane fa, e addirittura, in alcuni stati, i sindacati sono stati accusati di avere sovvenzionato la partecipazione pagando le persone.
Ciò che accade ora è che tutte le categorie fino a oggi volontariamente escluse dai manifestanti, e cioè politici, sindacati, partiti e associazioni similari, stanno tentando inutilmente di replicare l’effetto delle prime manifestazioni che hanno avuto tanto successo di pubblico e con le quali la popolazione brasiliana si è pienamente identificata. E in effetti, non aderire alla convocazione dei sindacati è un segnale indiscutibile, che equivale a una ripulsa dello status quo politico e sociale costituito, in cui il sistema di corruzione prospera e invece di tentare di comprendere la voce legittima che viene dalle piazze, e di rispondere in maniera adeguata, si limita al goffo tentativo di cooptare i movimenti in favore di se stessi per conservare, comunque, potere e privilegio.
Inoltre, la grande vittoria, ottenuta con la conservazione delle tariffe dei trasporti originali, ha di fatto rafforzato nei manifestanti la consapevolezza del potere naturale del popolo e l’idea che i politici e i governanti si sentano pressati nel dare delle risposte alla società.
I media informano infatti che la pressione popolare ha influito anche sul lavoro del Congresso Nazionale, facendo sì che venissero votate, molto più rapidamente che in passato, decine di proposte. Un dato che potrebbe essere definito un'ulteriore vittoria della Primavera brasiliana se non fosse che, tali proposte, hanno però anche un sapore preoccupante perché rischiano di alimentare il problema dei conti pubblici. In questo caso, infatti, il Congresso sta dimostrando come i parlamentari brasiliani non siano preparati al ruolo per il quale sono stati eletti e parallelamente rafforza la sfiducia del popolo.
Un altro dato interessante è che il Tribunale dei Conti del Comune di Rio de Janeiro, 22 giorni dopo aver chiuso un’indagine sulle aziende di autobus in città, ha cambiato idea e ha deciso di estendere l’inchiesta alle 43 aziende che fanno parte dei gruppi che di fatto controllano i trasporti in generale.
Mentre accade tutto ciò, e in assenza di risposte che soddisfino le richieste popolari, la popolarità della presidente Dilma Roussef è scesa vertiginosamente dal 57% a 30%, e João Santana, responsabile per la sua immagine, avrebbe commentato solo che "il calo di gradimento rimane comunque maggiore del punto più basso di Lula (28%) e di FHC (13%)". Gli si può credere?
Dopo la recente manifestazione contro il governatore di Rio de Janeiro, occasione in cui, in contrasto con il movimento popolare pacifico, si sono verificati diversi atti di vandalismo senza che la polizia reagisse adeguatamente per contenere la violenza e per garantire la sicurezza della popolazione, si impongono alcune riflessioni.
La principale riflessione è che potere pubblico, opinion leader, partiti politici, istituti di ricerca ed esperti vari, non abbiano fornito delle risposte utili a spiegare il fenomeno sociale che, dal giugno scorso, caratterizza il nostro Paese. E questo, anche a noi semplici cittadini, provoca molta perplessità!
Basterebbe che leggessero i contenuti dei cartelloni di cartone improvvisati in cui la gente chiede o denuncia qualcosa, stabilire le priorità, ordinare i ricorsi finanziari, moralizzare ciò che ha bisogno di essere moralizzato nella scena politica nazionale. In altre parole: riorganizzare la Casa comune, fare pulizia, buttare fuori quello che non serve più, mettere in prigione chi ruba il danaro pubblico e chi ogni giorno depreda i negozi durante le manifestazioni.
In una nota della sua rubrica su “O Globo” (21/07/13), il giornalista Ilmar Franco informa che "gli strateghi politici del Planalto, cioè, del governo, e del PT (Partito dei Lavoratori) sono alle prese con un bilancio dettagliato sulle manifestazioni di queste settimane. E che, la principale conclusione a cui sarebbero arrivati, è che non c'è nessun leader, di opposizione o partito, capace di catalizzare e personificare la rivolta popolare. E che, proprio sulla base di questa considerazione, ritengono tutto sommato semplice, da parte della presidente Dilma, una ricomposizione sociale". Ma – ci chiediamo ancora- ci possiamo credere?
Tutto questo è molto nuovo per noi brasiliani. Speriamo almeno che serva a cambiare il Paese dalla testa ai piedi, e che queste manifestazioni possano costituire la pietra angolare per l’inizio di una nuova fase nella storia della Repubblica brasiliana.

Marisa Oliveira, giornalista freelance
ProgettoMondo Mlal Brasile

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