martedì 12 aprile 2011

Perù, elezioni presidenziali. La sconfitta del modello

Lima - Alcuni giorni fa, il Premio Nobel della Letteratura 2010, Mario Vargas Llosa, commentando i risultati dei vari sondaggi, aveva annunciato il suo voto per Alejandro Toledo, ex presidente centrista nel periodo 2001-2006. “¿Humala o Keiko? – aveva chiosato- Es elegir entre el SIDA y el cancer”, ovvero: tra Humala e Keiko, è come scegliere tra l'aids e il cancro.
Oggi, lunedì 11 aprile, dopo i risultati, Vargas Llosa ha commentato: “Il Perú ha due opzioni: il suicidio o il miracolo”. La drammaticità di questi commenti, che ci arrivano da un notissimo pensatore liberale, conosciuto più come scrittore che come ponderato analista politico, rappresentano la sintesi di ciò che pensa il Perú del “sistema”.
Il Perú che si è frammentato tra i personalismi di Toledo, di Castañeda (ex sindaco di Lima) e Pedro Pablo Kuczynski (popolarmente PPK), nonostante il cognome straniero, ha perso inesorabilmente. Un settore del Perú liberale, soddisfatto del modello economico attuale che, negli ultimi 10 anni, ha visto raddoppiare il PIL, quadruplicare le esportazioni, moltiplicare gli investimenti esteri, gonfiare le riserve internazionali, e ha anche assistito alla trasformazione del suo Paese nella tigre economica latinoamericana. Un sistema che ha visto aumentare a vista d'occhio, soprattutto nei quartieri moderni di Lima, la costruzione di modernissimi edifici, centri commerciali, alberghi, o far riempire le strade metropolitane di Suv e altri simboli del lusso.
Un sistema che si è rivelato talmente rigido da condannare la maggioranza della popolazione a vivere del cosiddetto “chorreo, ovvero dello sgocciolio che cade dagli altissimi livelli di consumo dei settori A e B, verso i C, D, E (curiosa la stratificazione sociale con le lettere dell'alfabeto: in Perú si è arrivati a 5!).
Un sistema che ha visto precipitare la partecipazione dei salari al reddito nazionale al 21% (in area Euro, per esempio, la partecipazione è attualmente del 62%; anche se solo due decenni fa era al 70%), mentre gli utili di impresa sono al 63%: la forbice più allargata del continente, denominata “a bocca di coccodrillo” (immagine efficace).
Questo dato riflette sostanzialmente il livello delle disparità sociali, e quindi la distribuzione della “torta”. Argomento, quello della torta, che ha fatto da sfondo all’intera tornata elettorale: i candidati liberali, Toledo, Kuczynski e Castañeda che spiegavano che occorre far crescere la torta per poter fare fette più grandi per ognuno, pur non cambiando i rapporti, mentre Humala sosteneva che non solo deve crescere la torta ma lo Stato deve anche tagliare le fette in dimensioni più eguali; infine, Keiko Fujimori che rivendicava una torta enorme, di cui lo Stato potesse prendersi una fettona rimanente dalla previa distribuzione tra i produttori e distribuirla alle persone in coda.
Ma è stata l'indifferenza dell'establishment, i cui rappresentati diretti o indiretti sono risultati oggi sconfitti, per il coro delle proteste che da vari anni si levavano in molti punti del Paese, a provocare la catastrofe evocata da Vargas Llosa.
In Perù avviene un fenomeno grottesco: un Paese che cresce ai ritmi di record mondiale e che pure vede la popolarità degli ultimi due Presidenti, Toledo e Garcia, non superare mai il 30%, tra l'altro ridotta ancor di più ai minimi termini nelle zone andine e amazzoniche. Un segnale che è sfociato nella protesta violenta, come nel caso dei 200 conflitti socio-ambientali aperti ogni anno, di comunità indigene che si oppongono con anima ma anche con il corpo agli ingenti investimenti delle miniere, e che hanno condotto alla strage di poliziotti e indigeni di Bagua del 2010. O nella rivolta contro il progetto minerario Tia Maria, tutt’ora in corso, che ha provocato due giorni prima della elezioni un morto nel Valle del Tambo, ad Arequipa, dove ProgettoMondo Mlal ha realizzato un progetto di ricostruzione dopo il terremoto del 2002.
La mappa elettorale riflette appunto questa rottura: Humala vince come nel 2006 in 16 regioni, con punte massime a Puno (62%), Cusco (60%), Tacna (58%) o Ayacucho (57%); Keiko vince in 5 regioni, tutte del Nord, e PPK vince a Lima e Callao, Toledo a Loreto (regione amazzonica).
E ha rivinto, secondo gli scettici e affranti analisti liberali, il cosiddetto voto antisistema. La tornata si è infatti conclusa con Humala al 31%, Keiko Fujimori al 23%, PPK al 18%, Toledo al 15% e Castañeda al 10%. Il resto è per 5 altri folcloristici candidati. Tutti confermati i sondaggi, gli exit poll e le proiezioni, di almeno 4 entità rilevatrici: in Perú la sondaggistica è ormai infallibile.

Ma vediamo chi sono i due candidati passati al ballottaggio del 5 giugno.

Keiko Fujimori è la figlia maggiore dell'ex presidente Alberto, condannato a 25 anni di carcere per il suo ruolo nella catena di comando del gruppo paramilitare Colina, e in particolare per il suo coinvolgimento nella sparizione e uccisione di 9 studenti e un professore dell'Università La Cantuta nel 1992. Attualmente, sconta la pena in un carcere speciale, una sede della Polizia adibita esclusivamente per la sua reclusione.
Keiko, che in giapponese significa “bambina felice”, ha 36 anni, ed è stata “Primera Dama” a soli 19 anni, in seguito al divorzio dei genitori, provocato alle accuse di corruzione al governo fatte dalla mamma Susana Higuchi al papà, e di fatto sostituendola. Ha impostato la campagna quasi esclusivamente sull'eredità del padre, cioè di un governo autoritario e populista che nell'immaginario collettivo ha il merito di avere sconfitto il terrorismo di Sendero Luminoso e l'iperinflazione, ereditati dal primo governo di Alan Garcia, e di essere il principale artefice del miracolo economico attuale, di cui ha messo le fondamenta.
E mentre i successivi scandali con le relative accuse di corruzione, violazione dei diritti umani e controllo autoritario del potere, gli hanno fatto perdere credito di fronte al ceto medio, rimane popolarissimo tra la gente povera, quella che dal presidente benefattore, efficiente e antielitista, riceveva opere e regali. Questa è la dote politica del fujimorismo.
La proposta politica di Keiko si è concentrata principalmente su due slogan: “Mano dura contro la delinquenza, quindi maggiore sicurezza”; e “Opportunità per i più poveri”.
Insomma, la mera reiterazione di un messaggio populista di estrema destra che non tocca le fondamenta del sistema di produzione e distribuzione della ricchezza, ma che vuol mettere ordine e distribuire in pace le eccedenze del sistema.
Keiko da due anni è data nei sondaggi intorno al 20%, più o meno quanto ha ottenuto in queste elezioni. Un dato che rappresenta quasi esclusivamente il voto fujimorista militante, utile comunque per superare i candidati liberali “cannibali”.

Ollanta Humala, fondatore del Partito Nazionalista Peruviano, ex militare, sollevatosi contro Fujimori e Montesinos, poi beneficiato dell’indulto. Seguace di Hugo Chavez nelle elezioni del 2006, elezioni che lo portarono al ballottaggio poi perso contro Alan Garcia, nella scelta tra il sistema – antisistema.
Partito da un misero 10% di due mesi fa, in queste elezioni ha preparato un completo programma di governo, ha allestito un ottimo staff di esperti e di compagine parlamentare, si è affidato a pubblicitari brasiliani, consigliatigli da Lula, che gli hanno organizzato una campagna pubblicitaria eccellente.
Humala ha lasciato ai margini la sinistra radicale, ed essendo l'unico candidato di sinistra ha cercato di spostarsi verso il centro, lanciando segnali ai settori che lo reputano un autoritario, un Chavez mascherato, che condurrebbe il Perù verso una spirale autolesionista.
Ha rifiutato, apparentemente, l'appoggio del presidente venezuelano, mostrandosi idealmente vicino a Lula. E difatti, il Perù attuale è molto più simile al Brasile di 10 anni fa che al Venezuela del pre-Chavez, come per dire: il nostro modello è la potenza continentale. Nonostante la durissima campagna dei principali mezzi di comunicazione, è cresciuto a un ritmo di 5 punti alla settimana, fino a raggiungere il 31% finale, superiore al primo turno del 2006. Da qui, anche i primi segnali rivolti subito al centro, con i quali dice che lui non farà come Chavez, che non metterà in discussione il libero mercato ma che intende rispondere al profondo scontento della provincia e dei settori popolari.

Cosa accadrà al ballottaggio, si può forse supporre ma non dare per scontato. In Perù, i partiti personalistici non hanno capacità di spostamento del voto. Tuttavia, non si può nascondere che l'elettorato di destra, liberale e conservatore, avrebbe maggiori chance con Keiko, con la quale potrebbe trovare affinità in campo economico.
Humala potrebbe attirare parte del voto toledista, che dei tre perdenti è quello che con maggiore chiarezza ha evidenziato il problema della distribuzione della ricchezza, e parte del voto popolare di Castañeda.

L’elemento dirimente sarà appunto conoscere il peso del voto di Lima che, nel 2006, si dimostrò decisivo per Alan Garcia.
Lima ha il 30% della popolazione e quindi dell'elettorato. Qui, dopo PPK, al primo turno Humala e Keiko hanno ricevuto più o meno gli stessi voti. Perciò in questo grande bacino elettorale si parte da uno svantaggio sicuro, per il travaso di voti da PPK a Keiko. Tuttavia, in provincia, il vantaggio di Humala è abissale e il suo discorso da esponente della sinistra moderata, accompagnato da una eccellente campagna, potrebbe garantirgli di conservare lo scarto sufficiente per vincere.
Comunque andrà, una cosa è certa: il profondo Perù ha drasticamente bocciato l'economia dei numeri. Sida o cáncer, suicidio o milagro, o, forse, solo speranza contro rassegnazione.

Mario Mancini
ProgettoMondo Mlal Perù

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