giovedì 27 febbraio 2014

IO L8 TUTTI I GIORNI: la storia di Bassma

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La storia di Bassma
Vengo da una famiglia povera, costretta a migrare in città per garantire un futuro migliore ai propri figli. Mio padre poteva a malapena coprire le spese, così ha deciso di tornare in campagna con tutto ciò che comporta, per esempio togliermi la scuola perché in campagna una ragazza non può ambire a un'istruzione.  Quelle che completano un percorso scolastico provengono da famiglie benestanti o ben istruite, quindi consapevoli del valore dell'educazione della donna. L’educazione per una ragazza di campagna è una perdita di tempo, e contribuisce a farne una ragazza maleducata e difficile da gestire.
La fine della scuola è per la donna l'inizio di un nuovo corso: il matrimonio precoce e il conseguente peso della responsabilità. E se non si sposerà, la ragazza resterà comunque lo zimbello di tutta la comunità. Io ho deciso di mia spontanea volontà di sposarmi, perché ​​sentivo che era nell'ordine delle cose, perché, come tutti qui, ritenevo che il matrimonio fosse una “protezione” di cui avevo bisogno.
Ho sposato un parente stretto che mi aveva promesso mari e monti, promesse che non ha mai realizzato. Non appena un tetto ci ha uniti, tutto è cambiato: i sogni sono svaniti e l'uomo non era più quello che avevo scelto. Dopo un mese di matrimonio, i litigi erano parte della nostra vita quotidiana e mio marito cercava di mettermi costantemente a disagio per dimostrarmi che era lui il padrone di casa. Cominciò a portare alcool in casa, fumava e negava di farlo, e ad un certo punto la sua non considerazione di me si trasformò in violenza fisica. Ha sempre trovato un motivo per picchiarmi, tutte le ragioni erano valide ai suoi occhi: perchè lo infastidivo mentre facevo i lavori domestici, perchè non volevo coricarmi con lui, perchè non acconsentivo ad alcune pratiche sessuali, che tra l’altro la mia religione vieta.
Da lui subivo torture di ogni sorte e dormiva sempre con un coltello sotto il cuscino. Ero terribilmente spaventata al punto da non riuscire a chiudere gli occhi, avevo paura che mi avrebbe sfigurato o accoltellato, ero convinta che un giorno mi avrebbe uccisa, nascosto il mio cadavere e raccontato che ero scappata. A volte mi legava ad una sedia, mi metteva un panno in bocca e cominciava a picchiarmi fino all'esaurimento di tutte le sue forze. Qualche volta mi costringeva a spogliarmi, mi legava le mani e i piedi per picchiarmi e poi mi lasciava sul pavimento per ore fino al suo ritorno la sera. Non potevo nemmeno andare in bagno per i miei bisogni e questo era l'apice dell'umiliazione.
In mezzo a tutto questo, voleva assolutamente che avessimo dei figli, cosa alla quale non pensavo nemmeno, ma non mi lasciò scelta e rimasi incinta. Pochi mesi dopo cambiò idea, non voleva più il bambino: mi spingeva ad abortire, era diventata la sua ossessione, ha cominciato a spingermi nel vuoto o contro un muro per farmi sbattere il ventre, se mi capitava di cadere, si metteva su di me con le sue ginocchia contro la mia schiena.
La notte della nascita ho sofferto molto e a lungo, l’ho supplicato di portarmi in ospedale, ma si è rifiutato. Al mattino finalmente si è deciso a chiedere aiuto ai dei vicini. Io, rimasta sola in casa, mi sono sentita meno di niente, meno di una bestiola e quando le donne del quartiere sono arrivate avevo già messo al mondo mia figlia da sola, senza nessuna assistenza.
Avevo sperato che mia madre potesse essere lì al mio fianco per aiutarmi, ma mio marito non le ha mai permesso di farmi visita, la odiava al punto da prendere il pretesto delle suo visite per picchiarmi. Mi aveva privato della mia famiglia e m'aveva allontanato da lei, anche se vivevamo vicino. Tutti erano al corrente del fatto che mi violentava o almeno che mi trattava male, ma nessuno ne parlava apertamente. I segni della violenza erano visibili sul mio corpo, avevo perso peso al punto da sembrare un fantasma. Non mi importava più niente, ho smesso di ridere, di essere felice, non ho sentito la gioia della gravidanza. La sua violenza continua mi stava avvelenando.
Mi chiedevo spesso perché mi maltrattasse e temevo di esserne la causa. Era colpa mia? Lo contrariavo senza rendermene conto? Ho cercato di parlargli dopo la nascita della piccola, ma a tutti i miei tentativi ha risposto con aggressività e violenza, chiedendomi infine di tornare dai miei genitori. In un giorno di follia mi ha buttato in strada con mia figlia in braccio, non avevo altra scelta che andare dalla mia famiglia, ero in uno stato deplorevole. Loro hanno deciso di aiutarmi e di proteggermi, mi hanno supportata nella causa di divorzio, cosa non usuale nel mio Paese. Nel frattempo, lui ha continuato a minacciarmi di morte e mutilazione davanti a tutti finché abbiamo deciso di lasciare la campagna per trasferirci in città insieme a mia figlia, mio fratello e mio padre.
La vita in città è dura e costosa per mio padre che è un semplice operaio, allora anche mia madre ha deciso di lavorare come collaboratrice domestica per assicurare una vita dignitosa a me e mia figlia. E' difficile sentire che siamo responsabili delle difficoltà che colpiscono gli altri: anche se i miei non si lamentano mai, sento ancora dell'amarezza quando mia madre torna a casa esausta dal lavoro, mi sento responsabile quando vedo le lacrime che le rigano le guance perché la padrona dove lavora l'ha umiliata. Sento dolore anche per mia figlia, perché non ha un padre che la ama e che non si cura di lei.
Oggi sto molto meglio. Dopo il divorzio ho cominciato a dormire senza paura, mia figlia non vive in un contesto di violenza e vedo che in lei sta nascendo un'immagine positiva dell'uomo, grazie alla tenerezza del nonno, all'affetto dello zio. Ho deciso di ricostruire la mia vita, ora frequento un corso professionale nel settore artigianale per garantirmi un minimo di autonomia economica. Voglio ricompensare la mia famiglia per il loro aiuto, vorrei ringraziare mia madre che ha sopportato l'umiliazione e il disprezzo per sfamare mia figlia e mio fratello che ha rinviato tutti i suoi piani personali per aiutare me e infine mio padre, che continua a combattere nonostante la sua età avanzata. Infine voglio premiare me stessa perché mi merito tutto quello che ho oggi: la possibilità di respirare la libertà, perché finalmente oggi respiro, respiro e sorrido.
Bassma, donna marocchina
testimonianza raccolta dall’equipe de “La Forza delle Donne”

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