venerdì 22 aprile 2016

Un barattolo per sognare

Un barattolo è un recipiente per mangiare, se capovolto può funzionare come cuscino per dormire, portato in spalla diventa poi un comodo zainetto e quando è appoggiato in terra raccoglie la carità dei passanti: il barattolo è l’oggetto milleusi di ogni ragazzo di strada a Ouagadougou in Burkina Faso.
Le situazioni per una tale scelta di vita possono essere molteplici: per lo più maltrattamenti e violenze domestiche insostenibili, che portano il minore a lasciare la casa preferendo così la strada.
Un barattolo che diventa il simbolo di una vita a rischio, simbolo anche del progetto Amici di Keoogo, nato appunto per donare a questi bambini/ragazzi una possibilità: mangiare, studiare e soprattutto uscire da un giro di delinquenza, sfruttamento e in molti casi morte.
Il progetto sostiene per lo più  bambine e adolescenti che sono più alla mercé di violenze, sfruttamento alla prostituzione, gravidanze indesiderate e malattie.
Lunedì 18 aprile ProgettoMondo Mlal, che collabora con il progetto, ha accolto il coordinatore Nazionale dell’associazione Keoogo, Lassina Zampou, e ascoltato  le ultime novità sul programma che dal 2004 persegue l’obiettivo di protezione dei minori di strada in Bukina Faso.
Il progetto di protezione dei minori comprende due diversi ambiti di intervento: uno medico, psicologico pediatrico e di prevenzione di malattie, l’altro invece, attraverso l’offerta di borse di studio e la collaborazione con le istituzioni scolastiche, provvede all’educazione e alfabetizzazione dei bambini.
La scolarizzazione prevede poi che il ragazzo che conclude il corso, possa diventare a sua volta insegnante di nuovi studenti.
Oltre al reinserimento scolastico dei ragazzi di strada, l’equipe di professionisti e volontari di Keoogo lavora molto sulla prevenzione di possibili altri che rischiano di diventare nuovi possibili ragazzi di strada puntando soprattutto sul sostegno alle famiglie a cui verrà offerto un programma di aiuto specifico a cui aderire per il figlio, affinché questo progetto possa essere auto-sostenibile e proseguire nel tempo.
Lassina Zampou ha raccontato con particolare orgoglio l’impegno a cui sta dietro da così tanti anni. La sua voce era calda e coinvolgente, non sembrava aver conosciuto l’inquietudine che sicuramente avrà scorto tante volte negli occhi dei bambine e bambini intrappolati in una vita di strada e senza possibilità.
Ora quei ragazzi la possibilità possono averla, e il loro barattolo sarà solo un ricordo, un portafortuna, un simbolo di liberazione, un’immagine per sognare, proprio come dovrebbe potere fare un bambino.

Sandro Castaldelli
servizio civile 
ProgettoMondo Mlal

martedì 19 aprile 2016

A Bobo Dioulasso a fare il pieno di cultura

Sono andata a Bobo Dioulasso a passare il mio weekend di Pasqua, soprattutto perché avevo bisogno di fare il pieno di cultura, musica, arte.
La settimana della cultura di Bobo è un evento biennale, ormai giunto alla sua diciottesima edizione, che si svolge nei punti focali della cittadina e alla Maison de la Culture, un amplissimo e sfarzoso politeama in cui per un attimo dimentichi di trovarti nel quinto paese più povero al mondo.
La SNC è per la precisione un concorso, in cui danza, artigianato e gastronomia si sfidano in pool di artisti che si impegnano per guadagnarsi il podio, e un riscatto sociale.
Ho trascorso tre giorni in giro per la città, alla ricerca di concerti reggae e djembettisti di tutto rispetto. Non avevo una meta, e io e gli altri ragazzi in servizio civile, con gli amici locali, abbiamo deciso di farci trasportare dall'istinto, più che dal programma della manifestazione.
La cerimonia di apertura è stata lunghissima, in linea con gli eventi burkinabé, e la disillusione l'ha fatta da padrone. Tre ore sotto il sole allo stadio di Bobo, aspettando di vedere corpi neri in movimento e sudore alle stelle. Invece, una piccola sfilata equestre, un defilé di maschere tipiche, e un saluto veloce delle autorità e del ministro dello sport, e alle 18 già il pubblico liberava lo spazio degli spalti.
La maggior parte degli eventi degni di nota si sono svolti alla Maison de la culture: nel pomeriggio si sfidavano troupe artistiche di giovani e bambini, che già in tenera età suonano con maestria il balafond (lo strumento tipico burkinabé, simile a uno xilofono) e lo djembé. Mi ha colpito il modo di suonare di questi ragazzi, sempre con il sorriso, sempre guardandosi gli uni con gli altri, come per condividere fino all'ultima goccia di gioia che quel momento regala. Ancora una volta, artisti che suonano non per il pubblico, ma per la comunità di cui fanno parte, per loro stessi.
E poi, corpi muscolosi che saltano come delle cavallette, che sembrano non sentire lo sforzo del battito continuo dei piedi sul palco. Ritmi tribali che non puoi non sentire fino allo stomaco, che non puoi non seguire, complice anche l'eleganza dei costumi tradizionali.
Ogni esibizione contrappone i vari gruppi etnici, ed è curioso osservare come ciò che accomuna lo spirito artistico africano, al di la delle peculiarità locali, è il medesimo senso di concezione dell'ensemble musicale, dove non ci sono assoli, e dove l'incitazione dell'altro è elemento fondamentale.
Altro aspetto caratteristico, la fiera: all'interno della sede della SNC, a pochi metri dallo stadio di Bobo, ho trascorso due piacevoli orette tra guaritori tradizionali che proponevano rimedi contro qualsiasi male fisico, creme miracolose, e oggettistica di vario tipo. Non ho acquistato nulla, data la scarsa qualità, ma è stato comunque interessante visitarla. Più avanti, all'Ecole Tougouait, numerosi stand proponevano oggettistica e piatti tipici delle varie etnie del Burkina, nonché di alcuni paesi dell'ECOWAS. Ho comprato una tisana contro la malaria e il mal di pancia, e ho gustato deliziose brochette di carne intinte nella salsa maionese; come dolce, una bouillie di miglio e cereali.

Elisa Chiara
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal
Burkina Faso

venerdì 1 aprile 2016

Haiti: La Pasqua festeggiata a Papaye

Anche quest’anno siamo riusciti a festeggiare la Pasqua a Papaye. Ci siamo vestiti bene (mai quanto gli amici del quartiere!). Nonostante l’aver portato Marta a messa tutte le domeniche per quasi un anno e Mario per poco più di due mesi, ancora ci guardano strano e si chiedono quale diavoleria sia la fascia porta bimbi.
La chiesa è piena, fa un caldo al limite del sopportabile, ci sistemiamo nel porticato esterno da cui possiamo seguire la celebrazione e goderci un leggero venticello.
La corale di Saint Paul, santo patrono della parrocchia, è incaricata dell’animazione insieme ai musicisti. È festa e c’è la corrente gentilmente offerta dai PFST (piccoli fratelli di santa Teresa): e così chitarra elettrica, basso e tastiera si uniscono a tamburi, maracas e bambù. La “pak” è la festa più importante della liturgia cristiana, e così anche dalla vicina chiesa battista arrivano i canti di lode.
Arriviamo a casa sotto un sole cocente, poco prima di mezzogiorno. Il pomeriggio passa veloce, prendo la macchina e scendo a Hinche a comprare l’acqua potabile mentre la famiglia dorme. Torno dopo poco, facciamo merenda con della iucca lessa e poi via verso la cascata. A Bassin Zim festeggiamo la Pasqua con una giornata di giochi, cinema e musica. Arriviamo che è quasi buio, intravediamo la cascata, visitiamo il nuovo centro turistico, assaporiamo del pollo fritto finché gli amici di Zanmi Sinema proiettano un cortometraggio con il sottofondo di un rumoroso e puzzolente generatore.
Nella strada del ritorno lascio la famiglia di Monerot e di Alson (il nostro guardiano) alla fontana in modo che inizino a riempire i loro contenitori. Arrivati a casa carico in macchina i miei contenitori e ritorno alla fontana, sono le 20. Rientro alle 21.45 con una discreta scorta d’acqua, circa 180 litri, che dovrebbe essere sufficiente per 3 giorni.
In questo scenario di vita quotidiana, gli eventi nazionali mi scivolano addosso: poco mi interessa del nuovo primo ministro haitiano, Enex Jean-Charles, la cui nomina è stata approvata da entrambe le camere 40 giorni dopo la nomina del presidente provvisorio Jocelerme Privert. Ora questi due personaggi dovrebbero gestire il Paese e condurlo alle elezioni previste per il 24 aprile. Mi viene da sorridere, si vorrebbe fare in 4 settimane quello che non si è riuscito a fare in 3 anni…ma si sa in Haiti tutto è possibile, gli amici e colleghi di MPP sono totalmente disillusi e non si aspettano nulla di buono da questa legislatura. La pioggia che non vuole proprio cadere, dicono anche a causa del fenomeno de El Niño, aggrava la situazione di insicurezza alimentare (ne soffre circa il 20% del Paese); la stazione di servizio di Hinche esplode a causa di una fuga di combustibile dal camion del rifornimento. Forse sono diventato troppo haitiano: “ci penserà il Buon Dio a sistemare tutte le cose”.
Gli sforzi e gli impegni però non mancano, ProgettoMondo Mlal presenta una proposta progettuale proprio sul tema della sicurezza con un ambizioso partenariato italo-franco-haitiano ed MPP diploma 25 agroecologi.

Buona Pasqua di Resurrezione!

Michele Magon, cooperante ProgettoMondo Mlal ad Haiti
con Luisa, Marta e Mario

mercoledì 16 marzo 2016

E' tempo di servizio

Il servizio è dedicazione, nascondimento e umiltà… l’amore è mettersi al servizio degli altri valorizzando il prossimo e non se stessi. Queste sono state le parole di Papa Francesco che con grande intensità ha trasmesso a migliaia di ragazzi sotto i 30 anni che, come me, sabato 12 marzo -il giorno di San Massimiliano di Tebessa, primo obiettore di coscienza che la storia ricordi- affollavano già alle 7 di mattina piazza San Pietro.
L’occasione è stata il “Nono Incontro Nazionale del Servizio Civile” al quale, grazie all’iniziativa della Focsiv, la Federazione nazionale che riunisce le Ong di ispirazione cristiana, ho partecipato anche io, operatore in servizio civile nell’Ong ProgettoMondo Mlal.
Lo spazio è conquistabile attraverso il tempo e, da Verona, ci sono volute 6 ore circa per arrivare a Roma con l’intercity notturno.
Papa Francesco, da principio leggendo, per poi continuare a braccio con grande empatia ed energia, ha parlato guardando direttamente in camera, aprendo parentesi nel suo discorso e creando un’emozione unica perché -lo si percepiva benissimo- non erano parole dette a caso. Lui ci crede e chiede anche a chi lo ascolta di crederci, se non in Dio almeno nell’esempio dato da Gesù nella lettura del vangelo di Giovanni che, inchinandosi fece la lavanda dei piedi a tutti i suoi appostoli, mettendosi al servizio loro pur essendo lui il Maestro e Messia.
Nel primo pomeriggio la nostra giornata dedicata al servizio civile, dopo l’attraversamento della Porta Santa nell’anno del Giubileo della Misericordia, si è spostata nella chiesa di San Gregorio VII dove sono state messe a nudo le esperienze di giovani in servizio civile sia in Italia che all’estero attraverso Skype. Interventi che riaccendevano lo spirito con cui si è scelto di fare il servizio, persone che hanno dedicato la loro vita nel mondo del sociale come Padre Giulio Albanese (Missionario Comboniano), Suor Michela Marchetti (Suore della Divina Volontà), e i saluti e i discorsi di rappresentanti di spicco come: il Presidente della Caritas Italia Cardinale Francesco Montenegro, Capo Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale Calogero Mauceri e del Rappresentante Volontari della Consulta Nazionale per il Servizio Civile Francesco Violi: tutto ripreso dal canale TV2000 con la conduzione di Nicola Ferrante.
Molte vite esemplari: da Papa Francesco agli ultimi citati che, conquistando consensi di molte persone, hanno speso tempo per gli altri conquistando spazio nei cuori di altrettante persone. E soltanto il tempo ci dirà attraverso questo pellegrinaggio di servizio e misericordia quanto ci manca per un mondo più umano e più giusto.

Sandro Castaldelli
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal
Italia

martedì 8 marzo 2016

Alder: volontario piemontese in Perù, in mezzo ai migranti

Alder Berghino è partito lo scorso dicembre dal suo paesino piemontese, Palazzo Canavese, per vivere un'esperienza di volontariato e solidarietà internazionale tramite ProgettoMondo Mlal. Arrivato in Perù, si è spostato da Lima a Tacna, al confine con il Cile, dove è stata da poco aperta una casa di accoglienza per migranti voluta dalla diocesi di Tacna e Moquegua, SIMN (rete internazionale migratoria degli Scalabriniani), OIM (organizzazione internazio­nale delle migrazioni) e CEI (conferenza episcopale italiana). ProgettoMondo Mlal ha contribuito con un suo operatore a sostegno delle attività della casa.
Tacna è un importante snodo migratorio. Dagli anni ’60 risulta essere un centro di attrazione per i migranti peruviani grazie alla presenza di attività mi­nerarie e commerciali e alla vicinanza con la frontie­ra.
Oggi Tacna rappresenta un luogo sia di destina­zione sia di transito per la migrazione interna e in­ternazionale. Queste caratteristiche la rendono una zona soggetta a una forte presenza di organizzazioni criminali implicate nella tratta di persone e nel traf­fico illecito di migranti. Sono infatti centinaia i mi­granti catturati e sfruttati dalle bande organizzate, ad esempio nel contrabbando, molti dei quali sono profughi e sfollati colombiani, ecuadoriani, domini­cani e haitiani.
Proprio qui, lo scorso novembre, è stata inau­gurata la Casa d’accoglienza del Migrante “Santa Rosa di Lima” per ospitare almeno una ventina di persone, offrire assistenza alimentare, medica e psi­cologica e una formazione per il reinserimento so­ciale.
Alder è tornato in Italia appena in tempo per festeggiare il suo sessantottesimo compleanno.
Silvia Tizzi, casco bianco di ProgettoMondo Mlal in Perù, gli ha fatto qualche domanda. Le foto sono di Michele Sordo, volontario trentino in Perù per qualche settimana con Mlal Trentino Onlus.

Quale percorso ti ha portato a partire?
Nella vita ho viaggiato molto: nel sud-est asiatico per mio conto, in Mozambico per avviare un'esperienza di lavorazione della terra, in Kenya e in Tanzania per costruire piccoli pozzi, in Brasile, in Marcocco... Tutti gli anni fuggo da casa mia perchè d'inverno sono solo, siccome ho conosciuto qualcosa del mondo, prendo il coraggio di andare da qualche parte. Questa partenza è stata fulminea e fortuita, l'idea è venuta sfogliando un libro sulle Ong. Ho contattato ProgettoMondo Mlal, che mi ha presentato la proposta dei Padri Scalabriniani.
Com'è stata l'accoglienza nella casa di Tacna?
Padre Camillo mi ha riservato una buonissima accoglienza, come in una famiglia. È una bella casa, grande, moderna, appena ultimata. Ci sono diverse aree: la chiesa, il cortile, due ampie stanze per i migranti con diversi letti a castello, una cucina ben attrezzata, i bagni e le docce, l'ufficio. Al secondo piano altre stanze per i volontari e i Padri, lavanderia, sala e cucina.
Com'è organizzata la struttura e che funzioni svolgevi?
Aiutavo nelle attività della casa, principalmente con lavori manuali. Ho pulito completamente il tetto, ma senza affaticarmi, con ritmi di lavoro non pressanti. Quando sono arrivato c'erano ancora i muratori per le rifiniture, poi hanno iniziato ad arrivare i migranti. Li accoglievo con lenzuola e coperte nuove, mentre Idè e Padre Camillo se ne prendevano cura, ad esempio aiutandoli a recuperare i documenti. Attualmente le persone ospitate sono una quindicina, vengono mandate dalle parrocchie o dalla polizia, si fermano in media per una settimana, durante il soggiorno sono liberi di uscire ma devono rientrare per la notte, il clima è accogliente e flessibile. Sono andato anche ad Arica, dall'altra parte del confine cileno, per seguire i lavori di costruzione di un'altra casa per migranti.
Chi hai conosciuto?
Ho incontrato migranti peruviani, dominicani, ecuatoriani, venezuelani e boliviani. Mi ha colpito la storia di una donna vittima di tratta. Arrivava da Loreto, nella selva, dov'è stata catturata, trasportata a Tacna e costretta alla prostituzione. È riuscita a scappare e a rivolgersi alla polizia. Quando è arrivata era ancora spaventata, poi ha recuperato un po’ di serenità: nella casa le è stato offerto affetto e comprensione e incontrava regolarmente anche con una psicologa e un'assistente sociale.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
L’incontro con nuovi Paesi meraviglia sempre tantissimo, e automaticamente concentrato in quello che fai e vedi che non fai rapide riflessioni, analizzi a posteriori. Questa esperienza mi ha permesso di fare qualcosa e di non sprecare il mio tempo, nonostante le difficoltà come la lingua e il furto della carta di credito. E' una possibilità per sviluppare una crescita interiore, per rimettersi in gioco, per sentirti più sicuri di se stessi, attivi e utili.

venerdì 4 marzo 2016

Al Festival delle maschere

Il Festival internazionale di maschere del Burkina Faso (FESTIMA), che ogni due anni si tiene nella cittadina di Dedougou, quest'anno festeggiava la sua ventesima edizione e anche per me rappresentava senz’altro un’occasione da non perdere! Anche se è stata una grande sfacchinata, culminata in 1.200 kilometri di viaggio in pullman. Sì, perché pur trovandosi a soli 300 chilometri da Dano, in Burkina non sono molti gli itinerari coperti dal pullman. Così devi  arrivare fino in capitale, a Ouaga, e poi da lì farti altri 300 km fino a Dedougou. Risultato: 48 ore di viaggio di cui solo una dozzina utilizzate per godermi il festival. Ma ne è valsa la pena!
Festima è una biennale nata da un'idea dell'Associazione per la Salvaguardia della tradizione delle Maschere Africane (ASAMA) e in poco meno di una settimana attira migliaia di spettatori e figuranti provenienti da Senegal, Togo, Benin, Mali e Burkina Faso.
Ho avuto occasione di partecipare alla cerimonia di apertura, con tanto di parata degli ensemble, e mi sono ritrovata letteralmente immersa in un ambiente molto pittoresco in cui l'idea stessa che avevo di maschera (influenzata in particolare dalla tradizione veneziana) è stata smentita.
Qui le maschere sono completamente diverse rispetto a quelle a cui ero abituata. Niente porcellana, cere o merletti, ma personaggi in carne e ossa che, aiutandosi con due bastoni, ruotano su sè stessi o volteggiano come dervisci, mettendo in moto tutta la massa di frange di paglia di cui sono ricoperti.
Uno degli aspetti più curiosi delle sfilate nelle strade è la continua sfida tra una sorta di servizio d’ordine, costituito da ragazzi con la maglietta dello sponsor Airtel (la compagnia telefonica numero uno in Burkina) che agitavano bastoni di legno contro il pubblico che tentava di avvicinarsi alle maschere. Io stessa ho rischiato di prenderle seriamente almeno un paio di volte!
La kermesse si è poi spostata nello stadio comunale per una parte più istituzionale in cui intervengono le autorità locali e i giornalisti. Quindi, nel tardo pomeriggio, hanno fatto capolino le maschere in tessuto, dei curiosi ominidi di bianco vestiti che, secondo la tradizione africana, escono solo di notte. Le maschere hanno poi continuato a vagare per la cittadina fino a tarda ora, guidate soltanto dalla luce dei falò accessi dai cabaret.
L’idea di spettacolo che sottende l’intero Festival è molto diversa da ciò che ci aspetteremmo in Europa, dove le diverse compagnie di artisti si sarebbero alternate su un palco proponendo le proprie coreografie, cantate e ballate. In Africa lo show è invece considerato un momento di convivivialità in seno allo stesso gruppo di artisti. L'esibizione è cioè fine a se stessa e djembé, tamburi e balafon si fondono in una danza piuttosto improvvisata.
Le coreografie sembrano quasi prive di un filo logico–temporale, eppure non si può che rimanere incantati dalla sinuosità con cui i fisici inconfondibili africani si muovono a ritmo tribale. Tutto sembra essere regolato da entità intangibili.
È stata un'esperienza affascinante e mistica allo stesso tempo, un momento in cui mi sono sentita ancora una volta preda della calamita africana, fatta di tanta e autentica semplicità.
Certe sensazioni che puoi provare solo qui in Burkina ti coinvolgono al punto da privarti di qualsiasi sistema di difesa.

Elisa Chiara
Casco bianco ProgettoMondo Mlal

giovedì 11 febbraio 2016

Juanito e la mela: la creazione del marchio Vicuña Bolivia

William Stukeley racconta nel suo Memoirs of Sir Isaac Newton's Life, opera datata 1752, di aver ascoltato dallo stesso Newton la storia della celebre intuizione che lo scienziato ebbe in seguito all’osservazione delle mele che cadevano dagli alberi nel giardino della sua casa di Woolsthorpe Manor. Forse i più resteranno delusi dal fatto che molto probabilmente la celebre mela non sia realmente caduta sul capoccione dello scienziato come ci raccontavano a scuola, se non semplicemente al suolo. Certamente resta il fatto che da questa semplice osservazione, apparentemente del tutto scollegata dalle complesse elucubrazioni che ne seguirono, nacque l’idea che doveva esistere una connessione tra il modo con il quale cadono le mele mature e il movimento della Luna attorno la Terra, cosa che da li a poco avrebbe permesso di elaborare la teoria della gravitazione universale.
La storia è piena zeppa di episodi come questo. È certo che questi buffi e affascinanti meccanismi associativi avvengono molto spesso anche nella testa di persone molto più comuni, le quali magari non verranno mai menzionate nei libri di storia.
È il caso di Juan Quispe Tito, che qui tutti chiamano El Juanito, il coordinatore dell’associazione boliviana campesina AIQ che ho conosciuto in quest’ultima fase del progetto Qutapiquiña.
Juanito è un ometto simpatico, faccia rotonda e andatura claudicante. Perennemente collegato su Whatsup e altri social network, scherza sempre e mi prende affettuosamente in giro di continuo tanto che non riesco mai a capire quando stia parlando seriamente oppure quando mi stia prendendo per i fondelli.
Forse proprio per questo la vera storia di Qutapiquiña non la conoscerò mai visto che ogni volta che chiedo a Juan come è andata veramente cambia la versione in continuazione solo per il gusto di prendermi in giro.
Fra le tante storielle più o meno verosimili, quella che mi piace di più è sicuramente quella in cui il Juanito, guardando una vetrina di moda italiana, decide di chiedere aiuto proprio agli italiani per il suo progetto di trasformazione della fibra grezza di vigogna visto che quasi tutta questa preziosa fibra viene trasformata nel nostro paese; “in Italia si producono le cose più raffinate, per questo volevo lavorare con gli Italiani!”
Di vero posso raccontare solo quello che ho letto nelle e-mail che il Juanito mi ha lasciato leggere dalla sua mailbox. La prima e-mail, datata 23/03/2011, è di una semplicità sconcertante! Juan scrive a ProgettoMondo Mlal: “Sono un partecipante della scuola di leader finanziata dal Mlal e vorrei avere l’opportunità di parlare con la rappresentante dell'Ong perché vorrei mettere in piedi un progetto sulla gestione della vigogna”. Dopo il punto Juan non aggiunge niente, nemmeno i saluti.
Di li a poco Juanito avrebbe ricevuto una risposta da quegli Italiani che secondo lui ne sapevano così tanto di lavorazione della lana di vigogna, e a partire da questa piccola idea, dopo quasi quattro anni, si sarebbe giunti tutti insieme a trasformare la fibra grezza boliviana per la prima volta in capi d’abbigliamento di pregio.
Eccoci qui, questo il 14 gennaio 2016, ad assistere all’evento di presentazione del marchio Vicuña Bolivia Tesoro Andino, che più che la realizzazione di un sogno potremmo definirlo la realizzazione di un’intuizione formidabile, una mela di Newton caduta questa volta sull’altipiano boliviano.
L’evento si è svolto nel Patio Cultural del Ministerio de Culturas y Turismo, appositamente arricchito con installazioni di artisti visuali ed artigiani boliviani ed accompagnato da un ricco buffet fra le cui tante bevande e pietanze gourmet locali spiccava il vino Chaskañawi di Cotagaita, uno dei prodotti di un precedente progetto di Progettomondo Mlal.
Il progetto è stato il frutto dell’azione congiunta di tre associazioni, ProgettoMondo Mlal, la britannica Soluciones Practicas ed evidentemente AIQ.
I principali obbiettivi del progetto sono stati il potenziamento della gestione sostenibile delle risorse, la diffusione di buone pratiche di sfruttamento della fibra delle popolazioni selvatiche di vigogna, lo sviluppo di una filiera di trasformazione della fibra e il potenziamento degli attori e organizzazioni locali.
L’area di intervento è stata quella dell’ANMI-Apolobamba, un’area protetta in cui da anni si è molto lavorato sulla conservazione di questo piccolo camelide, in passato a rischio d’estinzione e che oggi per legge è iscritto nella seconda appendice della lista CITES.
Nel 2013 dalla Bolivia sono stati inviati 50Kg in Italia dove la ditta F.lli Piacenza di Pollone (Biella) ha accettato la sfida di trasformare e lavorare questo piccolo lotto. Dopo le fasi di lavaggio, degiarratura (fase che permette l’eliminazione della parte grezza del vello, le cosiddette “giarre”) e finissaggio, sono rimasti 36kg (resa pari al 72%); con la successiva fase di filatura si è riusciti ad ottenere 32Kg di filo di titolo 1/50 e 1/30. Alla fine della lavorazione si sono ottenuti 63 capi di pregio fra scialli, sciarpe, capispalla e maglioni da uomo e 19 kg di filo di titolo 2/30. Secondo la ditta piemontese che vanta 250 anni di attività in questo settore si ha avuto un alto rendimento pari al 64% del totale.
Il marchio Vicuña Bolivia intende infatti commercializzare due linee: la prima, più costosa, realizzata con l’esperienza tessile industriale italiana e destinata a un pubblico più esigente in quanto a qualità ed uniformità della lavorazione, e una linea prodotta artigianalmente in Bolivia per una clientela più attratta dalla tradizione tessile andina che dalle caratteristiche nobili della fibra di vigogna.
In entrambi i casi il marchio assicura non solo che i tessuti siano vigogna 100%, ma anche e soprattutto l’origine, la gestione sostenibile delle risorse, la lotta al bracconaggio delle vigogne e il coinvolgimento in una parte della produzione delle comunità locali.
Hanno scommesso su questo progetto l’Unione Europea e il CAF- Banco di sviluppo dell’America Latina, che sono stati i principali cofinanziatori.
Fra gli invitati hanno speso parole di congratulazione per il successo del progetto personalità illustri quali il Sign. Timoty Torlot, ambasciatore dell’UE in Bolivia, , il presidente del CAF Emilio Uquillas e il Sign. Placido Vigo, Ambasciatore d’Italia; le varie autorità locali hanno sottolineato il valore dei risultati conseguiti dal progetto in questi anni; fra esse c’erano sul palco d’onore i rappresentanti del DGB-AP, di ACOFIV-BOL ed infine, a concludere la serata, il giovane ministro di Cultura Marko Machicao, nostro anfitrione,  il quale invece ha insistito nel lodare la “essenza comunitaria” del progetto visto che ha coinvolto 1.180 famiglie delle comunità dell’area protetta di Apolobamba e si auspica che il progetto sia esteso anche ad altre aree del paese. A seguire una modella ha sfilato mostrando a tutti lo scialle prodotto in Italia.
Fra tutte queste autorità ovviamente non poteva mancare l’immancabile Juanito che con un PowerPoint ha spiegato il progetto a ben 200 persone fra invitati ed autorità. Io stesso l’ho aiutato a mettere su la presentazione che termina con un bel “la historia continua…” e conoscendo quella vecchia volpe del Juan, siamo tutti certi che la storia continuerà.

Stefano Russo
Servizio Civile La Paz 
ProgettoMondo Mlal Bolivia