Lima, Cuzco e la regione di Madre de Dios sono le zone più colpite e l’ultima, in particolare, secondo quanto riportato nella “Relazione 2013 sulla situazione della tratta di persone nel mondo” redatta dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ha visto aumentare con la diffusione dell’attività mineraria illegale, anche il traffico di donne e bambine finalizzata allo sfruttamento sessuale. Le vittime, infatti, sono deportate di proposito in queste zone isolate, situate al di fuori del controllo delle autorità, e sono costrette all’anonimato, dopo essere state private dei documenti d’identità e dei mezzi fisici e psicologici necessari per raggiungere un luogo sicuro dove poter denunciare i propri aguzzini.
L’intervento dello Stato arriva, se possibile, e infatti, durante il mio soggiorno ad Iberia, cittadina della regione di Madre de Dios, situata in piena foresta amazzonica, poco distante dalla tripla frontiera Perù, Brasile, Bolivia, un’operazione ha permesso lo smantellamento di alcuni insediamenti illegali sorti presso le attività minerarie, anch’esse illegali. Questa manovra purtroppo non prevedeva un piano di ricollocamento per le migliaia di lavoratori impiegati in nero nelle miniere.
In questo contesto si inserisce un progetto, al quale sto collaborando come operatrice in Servizio civile per ProgettoMondo Mlal Perù, gestito dalla “Pastoral de Movilidad Humana”, ramo della Conferenza Episcopale Peruviana e appunto partner della nostra Ong.
Tra le attività di questo progetto c’era anche un corso da organizzare ad Iberia, per sensibilizzare e formare la popolazione di frontiera sui possibili rischi e su come difendersi, così da contrastare i traffici prevenendoli, affinché problemi come quello sopra descritto non abbiano le basi per nascere. Il presupposto del corso era dunque sia formare che informare le persone per proteggerle da sfruttamento e traffico.
Personalmente, la cosa che mi convince di questo progetto è che il corso non si limita ad informare i partecipanti – che sono soprattutto professori, agenti pastorali e dipendenti dell’amministrazione pubblica – ma prevede che al suo termine essi realizzino dei gruppi di lavoro nelle proprie località d’origine, agendo da referenti all’interno della rete che andrà ad unire tutte le comunità.
Le attività avviate dai gruppi saranno quindi misurate in funzione delle loro possibilità, interessi e necessità locali. Perciò, se da un lato il minimo che si richiede è organizzare un ulteriore evento formativo nella propria comunità (una conferenza, una manifestazione, un corso), dall’altro il risultato che si spera di ottenere è quello di dare vita ad un’équipe stabile, presente a livello locale per assistere e orientare i migranti e le vittime del traffico.
L’azione del singolo in questo momento è fondamentale; lo stato peruviano, infatti, ha sì promulgato sette anni fa una legge specifica contro la tratta di persone e il traffico illecito di migranti, ma non cura poi concretamente gli aspetti della sensibilizzazione, della formazione e dei servizi assistenziali di cui le vittime necessitano.
Ad Iberia, che è una cittá di frontiera, l’assenza dello stato è molto sentita e ho potuto percepirla io stessa durante il mio breve soggiorno. Per fortuna però ho avuto l’occasione di constatare la settimana successiva, a Lima, che l’interesse dello stato non è del tutto assente.
Grazie sempre alla Conferenza Episcopale Peruviana infatti ho partecipato ad una tavola rotonda presieduta dai rappresentanti dei ministeri e dalla delegazione peruviana delle Nazioni Unite, insieme con associazioni locali e Ong, convocata da tre parlamentari per organizzare unitariamente la Giornata Nazionale contro la Tratta di persone, che si terrà il 23 settembre.
Partecipando alla riunione, ho avvertito un forte entusiasmo nelle parti coinvolte, oltre ad una forte consapevolezza della gravità e della diffusione del problema, come anche del fatto che fino ad ora si è fatto troppo poco per risolverlo e che quindi ora è il momento di realizzare iniziative concrete.
Al termine della riunione si è stabilito che la giornata nazionale oltre a sensibilizzare, avrà lo scopo di celebrare almeno un risultato concreto, ovvero l’istituzione di centri specializzati per l’accoglienza delle vittime soprattutto nelle zone di frontiera, in particolare nella regione di Madre de Diós.
Infine, sono stati gli stessi ministri ad ammettere che la sensibilizzazione dovrà agire in primo luogo all’interno degli organi di governo, oltre che sulla popolazione. Se non altro quindi il fatto che il problema sia arrivato ormai ad interessare anche i piani alti è un segnale positivo per il futuro.
Il mio anno di Servizio civile è iniziato solo da due mesi, eppure già raccontare i tanti momenti che ho passato è molto difficile. In questo contesto così nuovo infatti la quantità di informazioni, immagini, costumi, dinamiche sociali e relazioni di lavoro e di amicizia, unite alla frenesia dei ritmi di vita e degli impegni che mi sono trovata ad affrontare in così poco tempo, confondono i miei pensieri a tal punto che riordinarli è arduo.
D’altra parte però, se considero che sono all’inizio di questa esperienza, con davanti a me ancora molti mesi di servizio, mi tranquillizzo; e non soltanto perché immagino che il tempo porterà equilibrio e ordine ai miei pensieri, ma anzi, perché sono convinta che la quantità di informazioni, le attività e il coinvolgimento personale continueranno ad aumentare, poiché è proprio questo intreccio di novità che, pur disorientandomi, genera in me l’energia positiva.
Silvia Donato
Casco Bianco a Lima
Progetto Mondo Perù
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