mercoledì 16 marzo 2016

E' tempo di servizio

Il servizio è dedicazione, nascondimento e umiltà… l’amore è mettersi al servizio degli altri valorizzando il prossimo e non se stessi. Queste sono state le parole di Papa Francesco che con grande intensità ha trasmesso a migliaia di ragazzi sotto i 30 anni che, come me, sabato 12 marzo -il giorno di San Massimiliano di Tebessa, primo obiettore di coscienza che la storia ricordi- affollavano già alle 7 di mattina piazza San Pietro.
L’occasione è stata il “Nono Incontro Nazionale del Servizio Civile” al quale, grazie all’iniziativa della Focsiv, la Federazione nazionale che riunisce le Ong di ispirazione cristiana, ho partecipato anche io, operatore in servizio civile nell’Ong ProgettoMondo Mlal.
Lo spazio è conquistabile attraverso il tempo e, da Verona, ci sono volute 6 ore circa per arrivare a Roma con l’intercity notturno.
Papa Francesco, da principio leggendo, per poi continuare a braccio con grande empatia ed energia, ha parlato guardando direttamente in camera, aprendo parentesi nel suo discorso e creando un’emozione unica perché -lo si percepiva benissimo- non erano parole dette a caso. Lui ci crede e chiede anche a chi lo ascolta di crederci, se non in Dio almeno nell’esempio dato da Gesù nella lettura del vangelo di Giovanni che, inchinandosi fece la lavanda dei piedi a tutti i suoi appostoli, mettendosi al servizio loro pur essendo lui il Maestro e Messia.
Nel primo pomeriggio la nostra giornata dedicata al servizio civile, dopo l’attraversamento della Porta Santa nell’anno del Giubileo della Misericordia, si è spostata nella chiesa di San Gregorio VII dove sono state messe a nudo le esperienze di giovani in servizio civile sia in Italia che all’estero attraverso Skype. Interventi che riaccendevano lo spirito con cui si è scelto di fare il servizio, persone che hanno dedicato la loro vita nel mondo del sociale come Padre Giulio Albanese (Missionario Comboniano), Suor Michela Marchetti (Suore della Divina Volontà), e i saluti e i discorsi di rappresentanti di spicco come: il Presidente della Caritas Italia Cardinale Francesco Montenegro, Capo Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale Calogero Mauceri e del Rappresentante Volontari della Consulta Nazionale per il Servizio Civile Francesco Violi: tutto ripreso dal canale TV2000 con la conduzione di Nicola Ferrante.
Molte vite esemplari: da Papa Francesco agli ultimi citati che, conquistando consensi di molte persone, hanno speso tempo per gli altri conquistando spazio nei cuori di altrettante persone. E soltanto il tempo ci dirà attraverso questo pellegrinaggio di servizio e misericordia quanto ci manca per un mondo più umano e più giusto.

Sandro Castaldelli
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal
Italia

martedì 8 marzo 2016

Alder: volontario piemontese in Perù, in mezzo ai migranti

Alder Berghino è partito lo scorso dicembre dal suo paesino piemontese, Palazzo Canavese, per vivere un'esperienza di volontariato e solidarietà internazionale tramite ProgettoMondo Mlal. Arrivato in Perù, si è spostato da Lima a Tacna, al confine con il Cile, dove è stata da poco aperta una casa di accoglienza per migranti voluta dalla diocesi di Tacna e Moquegua, SIMN (rete internazionale migratoria degli Scalabriniani), OIM (organizzazione internazio­nale delle migrazioni) e CEI (conferenza episcopale italiana). ProgettoMondo Mlal ha contribuito con un suo operatore a sostegno delle attività della casa.
Tacna è un importante snodo migratorio. Dagli anni ’60 risulta essere un centro di attrazione per i migranti peruviani grazie alla presenza di attività mi­nerarie e commerciali e alla vicinanza con la frontie­ra.
Oggi Tacna rappresenta un luogo sia di destina­zione sia di transito per la migrazione interna e in­ternazionale. Queste caratteristiche la rendono una zona soggetta a una forte presenza di organizzazioni criminali implicate nella tratta di persone e nel traf­fico illecito di migranti. Sono infatti centinaia i mi­granti catturati e sfruttati dalle bande organizzate, ad esempio nel contrabbando, molti dei quali sono profughi e sfollati colombiani, ecuadoriani, domini­cani e haitiani.
Proprio qui, lo scorso novembre, è stata inau­gurata la Casa d’accoglienza del Migrante “Santa Rosa di Lima” per ospitare almeno una ventina di persone, offrire assistenza alimentare, medica e psi­cologica e una formazione per il reinserimento so­ciale.
Alder è tornato in Italia appena in tempo per festeggiare il suo sessantottesimo compleanno.
Silvia Tizzi, casco bianco di ProgettoMondo Mlal in Perù, gli ha fatto qualche domanda. Le foto sono di Michele Sordo, volontario trentino in Perù per qualche settimana con Mlal Trentino Onlus.

Quale percorso ti ha portato a partire?
Nella vita ho viaggiato molto: nel sud-est asiatico per mio conto, in Mozambico per avviare un'esperienza di lavorazione della terra, in Kenya e in Tanzania per costruire piccoli pozzi, in Brasile, in Marcocco... Tutti gli anni fuggo da casa mia perchè d'inverno sono solo, siccome ho conosciuto qualcosa del mondo, prendo il coraggio di andare da qualche parte. Questa partenza è stata fulminea e fortuita, l'idea è venuta sfogliando un libro sulle Ong. Ho contattato ProgettoMondo Mlal, che mi ha presentato la proposta dei Padri Scalabriniani.
Com'è stata l'accoglienza nella casa di Tacna?
Padre Camillo mi ha riservato una buonissima accoglienza, come in una famiglia. È una bella casa, grande, moderna, appena ultimata. Ci sono diverse aree: la chiesa, il cortile, due ampie stanze per i migranti con diversi letti a castello, una cucina ben attrezzata, i bagni e le docce, l'ufficio. Al secondo piano altre stanze per i volontari e i Padri, lavanderia, sala e cucina.
Com'è organizzata la struttura e che funzioni svolgevi?
Aiutavo nelle attività della casa, principalmente con lavori manuali. Ho pulito completamente il tetto, ma senza affaticarmi, con ritmi di lavoro non pressanti. Quando sono arrivato c'erano ancora i muratori per le rifiniture, poi hanno iniziato ad arrivare i migranti. Li accoglievo con lenzuola e coperte nuove, mentre Idè e Padre Camillo se ne prendevano cura, ad esempio aiutandoli a recuperare i documenti. Attualmente le persone ospitate sono una quindicina, vengono mandate dalle parrocchie o dalla polizia, si fermano in media per una settimana, durante il soggiorno sono liberi di uscire ma devono rientrare per la notte, il clima è accogliente e flessibile. Sono andato anche ad Arica, dall'altra parte del confine cileno, per seguire i lavori di costruzione di un'altra casa per migranti.
Chi hai conosciuto?
Ho incontrato migranti peruviani, dominicani, ecuatoriani, venezuelani e boliviani. Mi ha colpito la storia di una donna vittima di tratta. Arrivava da Loreto, nella selva, dov'è stata catturata, trasportata a Tacna e costretta alla prostituzione. È riuscita a scappare e a rivolgersi alla polizia. Quando è arrivata era ancora spaventata, poi ha recuperato un po’ di serenità: nella casa le è stato offerto affetto e comprensione e incontrava regolarmente anche con una psicologa e un'assistente sociale.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
L’incontro con nuovi Paesi meraviglia sempre tantissimo, e automaticamente concentrato in quello che fai e vedi che non fai rapide riflessioni, analizzi a posteriori. Questa esperienza mi ha permesso di fare qualcosa e di non sprecare il mio tempo, nonostante le difficoltà come la lingua e il furto della carta di credito. E' una possibilità per sviluppare una crescita interiore, per rimettersi in gioco, per sentirti più sicuri di se stessi, attivi e utili.

venerdì 4 marzo 2016

Al Festival delle maschere

Il Festival internazionale di maschere del Burkina Faso (FESTIMA), che ogni due anni si tiene nella cittadina di Dedougou, quest'anno festeggiava la sua ventesima edizione e anche per me rappresentava senz’altro un’occasione da non perdere! Anche se è stata una grande sfacchinata, culminata in 1.200 kilometri di viaggio in pullman. Sì, perché pur trovandosi a soli 300 chilometri da Dano, in Burkina non sono molti gli itinerari coperti dal pullman. Così devi  arrivare fino in capitale, a Ouaga, e poi da lì farti altri 300 km fino a Dedougou. Risultato: 48 ore di viaggio di cui solo una dozzina utilizzate per godermi il festival. Ma ne è valsa la pena!
Festima è una biennale nata da un'idea dell'Associazione per la Salvaguardia della tradizione delle Maschere Africane (ASAMA) e in poco meno di una settimana attira migliaia di spettatori e figuranti provenienti da Senegal, Togo, Benin, Mali e Burkina Faso.
Ho avuto occasione di partecipare alla cerimonia di apertura, con tanto di parata degli ensemble, e mi sono ritrovata letteralmente immersa in un ambiente molto pittoresco in cui l'idea stessa che avevo di maschera (influenzata in particolare dalla tradizione veneziana) è stata smentita.
Qui le maschere sono completamente diverse rispetto a quelle a cui ero abituata. Niente porcellana, cere o merletti, ma personaggi in carne e ossa che, aiutandosi con due bastoni, ruotano su sè stessi o volteggiano come dervisci, mettendo in moto tutta la massa di frange di paglia di cui sono ricoperti.
Uno degli aspetti più curiosi delle sfilate nelle strade è la continua sfida tra una sorta di servizio d’ordine, costituito da ragazzi con la maglietta dello sponsor Airtel (la compagnia telefonica numero uno in Burkina) che agitavano bastoni di legno contro il pubblico che tentava di avvicinarsi alle maschere. Io stessa ho rischiato di prenderle seriamente almeno un paio di volte!
La kermesse si è poi spostata nello stadio comunale per una parte più istituzionale in cui intervengono le autorità locali e i giornalisti. Quindi, nel tardo pomeriggio, hanno fatto capolino le maschere in tessuto, dei curiosi ominidi di bianco vestiti che, secondo la tradizione africana, escono solo di notte. Le maschere hanno poi continuato a vagare per la cittadina fino a tarda ora, guidate soltanto dalla luce dei falò accessi dai cabaret.
L’idea di spettacolo che sottende l’intero Festival è molto diversa da ciò che ci aspetteremmo in Europa, dove le diverse compagnie di artisti si sarebbero alternate su un palco proponendo le proprie coreografie, cantate e ballate. In Africa lo show è invece considerato un momento di convivivialità in seno allo stesso gruppo di artisti. L'esibizione è cioè fine a se stessa e djembé, tamburi e balafon si fondono in una danza piuttosto improvvisata.
Le coreografie sembrano quasi prive di un filo logico–temporale, eppure non si può che rimanere incantati dalla sinuosità con cui i fisici inconfondibili africani si muovono a ritmo tribale. Tutto sembra essere regolato da entità intangibili.
È stata un'esperienza affascinante e mistica allo stesso tempo, un momento in cui mi sono sentita ancora una volta preda della calamita africana, fatta di tanta e autentica semplicità.
Certe sensazioni che puoi provare solo qui in Burkina ti coinvolgono al punto da privarti di qualsiasi sistema di difesa.

Elisa Chiara
Casco bianco ProgettoMondo Mlal