giovedì 30 giugno 2011

Il futuro dell'Honduras sono le Charter Cities

Il Congresso Nazionale dell’Honduras ha approvato una riforma costituzionale che permette la fondazione di Charter Cities sul territorio nazionale. Di cosa si tratta?
Le charter cities sono un modello di città proposto dall'economista nord americano Paul Romer per creare zone di sviluppo in paesi considerati arretrati e i cui elementi base sono la presenza di una porzione di territorio disabitato messo a disposizione da uno stato ospitante, una carta che specifichi le regole che governeranno la nuova città e la libertà per i futuri residenti investitori di muoversi dentro e fuori la città. Ogni charter city necessità di una o varie nazioni che interpretino tre distinti ruoli: la nazione ospitante provvede la terra, la nazione risorsa provvede la mano d'opera e la nazione o le nazioni garante assicurano che la carta sia rispettata.
In Honduras i deputati si sono pronunciati con 126 voti a favore, 1 voto contrario e un astenuto, per modificare gli articoli 304 e 329 della costituzione. Nel primo caso si tratta di creare un potere giudiziale parallelo, con leggi diverse da quelle nazionali valide all'interno delle Regiones Especiales de Desarrollo, ossia le Regioni Speciali di Sviluppo, come vengono chiamate le charter cities in Honduras. I tribunali “paralleli”, saranno composti da giudici nominati dalle autorità delle RED e approvati dal Congresso Nazionale con una maggioranza di 2/3 del totale.
Il secondo articolo modificato sancisce invece che “il governo promuove lo sviluppo integrale, tanto economico come sociale, tramite una pianificazione strategica. La legge regolerà il sistema e i processi di pianificazione con la partecipazione dei Poteri dello Stato e le organizzazioni politiche economiche e sociali. […] I piani di sviluppo integrale e i programmi incorporati nei medesimi saranno considerati obbligatori per i governi successivi”. Nello stesso articolo vengono definite le RED e le norme generali che le regolano. “I sistemi che verranno creati nelle RED dovranno essere fissati tramite uno Statuto Costituzionale approvato dal Congresso Nazionale con una maggioranza qualificata di 2/3 del totale. Una volta promulgato, questo Statuto Costituzionale potrà essere modificato, riformato, interpretato o derogato soltanto con la medesima maggioranza indicata precedentemente e posteriormente all'approvazione tramite referendum dei cittadini della charter city”. Inoltre la modifica al 329 recita cosi: “Le RED […] possono firmare trattati e convegni internazionali riguardanti il commercio e la cooperazione […]”.
Sul sito internet del Congresso Nazionale della Repubblica dell’Honduras è stato pubblicato un interessante articolo che riportata i benefici e le ragioni che giustificano l'incorporazione delle charter cities sul territorio nazionale. Il beneficio principale è indicato nella creazione di migliaia di posti di lavoro di ogni tipo, ma non si parla né di tutele né di diritti dei lavoratori. Si parla anche della creazione di grandi infrastrutture che porteranno il paese ad avere un ruolo centrale nella regione, ma non si fa riferimento ad alcun piano o normativa di tutela medio ambientale o della regolamentazione di questo sviluppo infrastrutturale. Tra gli altri benefici, a detta del governo, ci sarà un “abbattimento drastico degli indicatori riguardanti salute, educazione, sicurezza pubblica e sociale”. Attualmente in Honduras ci sono gravi problemi legati alla violenza, alla miseria e alla denutrizione inoltre, e il paese occupa il quarto posto in quanto a corruzione. La modifica della costituzione e l'adozione del modello charter city per il governo è giustificata da dati oggettivi come la migrazione che ogni anno porta 75mila honduregni negli Stati uniti d’America, e la necessità di creare 200mila posto di lavoro all’anno pur non riuscendo a crearne nemmeno la metà, oltre a quella di proteggere l'economia dalle oscillazioni politiche.
Secondo il teorizzatore la charter city contribuirebbe a creare un modello virtuoso che impulserebbe il governo a migliorare le condizioni generali del paese, anche rispetto alla corruzione delle istituzioni. In un paese dove le disparità sociali sono già a un livello altissimo, la creazione di un enclave privilegiata porterà veramente questi effetti positivi, oppure contribuirà ad aumentare le disparità sociali?
A detta del nuovo documento un modello simile a quello “feudale” governato da grandi corporazioni o da stati esteri diventerà l'occasione per l’Honduras di scrivere la storia del XXI secolo e risolvere tutti i problemi legati a salute, educazione, sicurezza e corruzione, riportando un barlume di speranza per le migliaia di migranti che ogni anno partono alla ricerca di una vita migliore.

Mitia Xavier Aranda Faieta
Casco Bianco Centroamerica
ProgettoMondo Mlal

martedì 28 giugno 2011

Guatemala e problema dei rifiuti. La cura in una nuova sensibilità ecologica

Raccolta e riciclo dei rifiuti sono diventati un problema preoccupante per il Guatemala. Nel paese, infatti, il divario tra centri urbani e zone rurali è molto forte in materia di servizi e i rappresentanti del Centro Monte Cristo, sede del programma di sviluppo di ProgettoMondo Mlal, recentemente si sono riuniti con il consiglio comunitario del Caserio Monte Cristo, COCODE, per affrontare la questione. A preoccupare Centro e rappresentanti della comunità, oltre all’aumento dei rifiuti lungo le strade e nei fossi adiacenti alla comunità, è anche il fatto che il territorio possa diventare pattumiera a cielo aperto per persone provenienti da comunità vicine o addirittura dalla città.
Il caso limite è stato la scoperta di un rifiuto medicinale (si parla di fialette scadute) gettato all’ingresso della comunità, luogo in cui i bambini spesso vanno a giocare. Il problema è quindi grave e necessita una risposta che può e deve basarsi su una migliore educazione all’ambiente e su una sensibilizzazione del post-utilizzo presso la comunità stessa.
In questa direzione è andata la riunione del 13 giugno, con la partecipazione dell’esperto Jaime Zamora. In essa si è cercato di dare spunti utili alla risoluzione della questione stabilendo, prima di tutto, la necessità di fare in modo che l’ecologia venga percepita nel segno del rispetto verso se stessi e i luoghi in cui si vive. Da qui, in un secondo momento, scatta il concetto di un’ecologia della famiglia e quindi della comunità. Oltre a questo si sono dati esempi di azioni che dal piccolo al grande possono entrare a far parte della routine giornaliera: pulire gli spazi della casa, dividere i rifiuti, creare aree di compost per i materiali biodegradabili, ideare un secondo utilizzo dei rifiuti, riunire e vendere a ditte specializzate materiali plastici o ferrosi.
Le strade che la comunità potrà intraprendere sono diverse ed è stato sicuramente utile avere degli spunti per prendere decisioni che influirebbero sul benessere della comunità, per certi versi anche potenzialmente economico. In zone in cui lo Stato non è percepito come esistente, in cui il pubblico non è rappresentato altro che dalle vasche in cui si lavano i panni, è giusto ripartire da un processo decisionale dal basso. Attraverso organi come il COCODE che sappiano individuare le problematiche e cerchino di trovare una soluzione concordata, nella quale coesistano i fondamenti di una consuetudine: il convincimento che essa abbia valore di legge e sia duratura. Per conto suo, il Centro Monte Cristo ha già nella sua filosofia il rispetto della natura attraverso un miglioramento qualitativo degli spazi in cui si sviluppa la persona. Questo insegnamento vuole avere la pretesa di cambiare la società affinché queste problematiche risultino una priorità per tutti, cosa che ancora è lungi dall’avvenire.
All’interno delle attività del Centro, oltre alle ore dedicate all’ecologia, nelle quali gli alunni si dedicano al giardinaggio, alla raccolta di rifiuti dentro e fuori del centro, alla differenziazione degli stessi, ma anche alle attività del vivaio scolastico e alla piantagione di alberelli tipici della flora locale, vi sono anche giornate intere dedicate all’approfondimento dei temi dell’ecologia, attraverso la sensibilizzazione di alunni e genitori. Nell’ultimo mese ci sono state due giornate di semina e piantagione di alberi, mentre lo scorso sabato, in occasione della consegna dei voti del secondo bimestre, si è celebrata la giornata dell’ecologia attraverso la piantagione di una piantina per famiglia.
Un gesto simbolico: la voglia di piantare una nuova sensibilità ecologica nella società di oggi e nelle famiglie del domani.

Edoardo Buonerba
casco bianco Guatemala

venerdì 24 giugno 2011

G20 AGRICOLTURA: Nessun risultato concreto per risolvere le cause della fame

“I pochi progressi di questo summit confermano ancora una volta che il G20 non è il forum adatto ad affrontare la questione della sicurezza alimentare mondiale e questo ci spinge a considerare più efficaci a tal proposito strumenti multilaterali come il Comitato sulla Sicurezza Alimentare della FAO (CFS)”.
Sergio Marelli, Segretario generale della FOCSIV, di cui ProgettoMondo Mlal fa parte, commenta così i risultati del G20 dei ministri dell'agricoltura che ieri e mercoledì a Parigi hanno discusso l'opportunità di misure per ridurre la volatilità dei prezzi sui mercati agricoli.
I Paesi del G20, infatti, hanno deciso di non adottare un approccio regolamentatorio specifico per le questioni finanziarie legate alle commodities agricole, con il rischio concreto che la speculazione finanziaria sui piccoli agricoltori e consumatori raggiungerà presto livelli mai visti prima di oggi.
La proposta elaborata dai G20 di un piano d'azione sulla volatilità dei prezzi alimentari e l'agricoltura dimostra come il G20 sia più interessato a mitigare le conseguenze della volatilità dei prezzi piuttosto che a voler affrontare le cause della malnutrizione e della fame, sostengono FOCSIV e CIDSE, la rete internazionale di 16 agenzie di sviluppo cattoliche legate alle Conferenze Episcopali di Europa e Nord America, di cui FOCSIV è il membro italiano.

Per approfondimenti
comunicato stampa FOCSIV/CIDSE sul G20 Agricoltura

giovedì 23 giugno 2011

Conoscere la droga in carcere. Il dramma di un padre boliviano

Ho ricevuto in ufficio la visita di don Isac, il padre di un ragazzo di 18 anni che é appena uscito dal carcere di San Pedro con la condizionale. A stento riusciva a trattenere le lacrime e mi chiedeva di includere nella lista dei ragazzi che vanno a Qalauma anche suo figlio. “Ma come”, gli ho detto, “se é uscito in libertà dovresti essere contento, perché chiedi che rientri in una struttura chiusa?
Mio figlio prima di entrare in carcere non sapeva che cosa fosse la droga”, inizia a raccontare. “Adesso mi ha rubato due bombole di gas da casa ed é andato a venderle per comprarsi droga. Ho trovato nella sua stanza, fra le sue cose personali, una piccola pipa e altri oggetti che si utilizzano per fumare droga. Quando non sono in casa lui si alza alle undici del mattino, ha abbandonato gli studi, frequenta amici poco raccomandabili, continua a dirmi che ha debiti da pagare ma non mi dice a chi, a volte non rientra nemmeno a dormire a casa, mi continua a dire bugie e alla fine ha ammesso che sta consumando. Addirittura non va piú a firmare davanti al giudice per la libertà condizionale. Non so piú cosa fare. A volte lo porto con me a lavorare e sembra che si impegni ma già al secondo giorno inventa qualsiasi scusa per non venire più. Orami ha toccato il fondo e voglio che entri a Qalauma perché là ci sono una scuola, laboratori, serre per lavorare la terra, orari e disciplina. Io non riesco più a controllarlo e a volte non so reagire che con la furia e la violenza vedendo la mia impotenza e il suo lassismo totale”.
Gli ribatto che non posso far entrare suo figlio a Qalauma perché deve avere un ordine giudiziario per poter entrare nel Centro.
“Sono andato dal giudice”, mi ha detto, “ e, pur con gran dispiacere gli ho chiesto di dettare una nuova sentenza nei suoi confronti per farlo entrare nel centro Qalauma dove sono sicuro che si metterà a posto. Nel centro c’é una equipe di persone che lo possono aiutare, accompagnare e consigliare e soprattutto forse gli daranno gli stimoli che io non sono riuscito e non riesco a dargli”.
Mentre don Isac mi parlava, mi passavano per la mente le situazioni di molti genitori che qui in Bolivia, ma anche in Italia, si trovano disarmati e impotenti di fronte al mostro della droga che uccide le ultime forze di reagire e di combattere non solo nei ragazzi, ma anche nei genitori che non sanno piú dove dirigersi e si auto flagellano con i sensi di colpa. Autorità e strutture pubbliche non hanno politiche che vadano incontro a giovani e adolescenti, questo è un dato di fatto. La mia intenzione è quindi premere perché si accelerino le pratiche burocratiche necessarie a far funzionare al cento per cento Qalauma. Ogni giorno che passa, all’interno del carcere di San Pedro, le vittime come il figlio di Isac si moltiplicano e bruciano sogni e progetti di vita futuri.

Riccardo Giavarini
ProgettoMondo Mlal Bolivia
Qalauma, giovani trasgressori

martedì 21 giugno 2011

In Mozambico sempre più ragazzi di strada

Bambini che diventano posteggiatori, venditori di borse di plastica, aiutano le donne che si recano al mercato a portare le borse della spesa o si offrono di lavare le auto posteggiate in strada. Chiedono l’elemosina alle persone che ritengono possano offrir loro qualcosa, in modo particolare gli stranieri “bianchi” e, se più grandicelli, vengono facilmente coinvolti in furti o raggiri a danno di sprovveduti.
A Nampula, come in altre città del Mozambico, il fenomeno dei bambini di strada sta sensibilmente aumentando di anno in anno. Da qui il via a una ricerca iniziata lo scorso dicembre per approfondire meglio il fenomeno e le sue dinamiche e offrire quindi nuovi spunti alle autorità del governo di Nampula per ridurre quanto più possibile il problema.
Gli assistenti sociali Argentina, Ivan e Ilda, che durante la ricerca hanno assunto il ruolo di operatori sul campo, hanno percorso le strade e le piazze di Nampula, durante il giorno, molte volte all’alba, ma ancora di più la sera, per parlare con i bambini e cercare di capire quali siano le cause che li spingono a vivere in strada, raccogliendo storie e problemi del loro stare quotidianamente esposti ai pericoli che una simile vita comporta.
La ricerca non è ancora terminata, ma una prima considerazione emersa è che la maggior parte dei bimbi dicono di “lavorare” in strada, e che con il ricavato aiutano la loro famiglia.
Se la famiglia risiede nella città, a sera tornano al bairro e consegnano il denaro ai parenti. Ma in alcuni casi la famiglia dalla quale provengono vive lontano, e loro raccontano di essere venuti in città, da soli o in gruppo, per racimolare un po’ di soldi e ritornare.
Non sempre il loro programma si realizza: in strada i fenomeni di violenza dei più grandi verso i piccoli sono numerosi, e succede che al termine del giorno vengano loro sottratti i soldi con la forza, o che siano costretti a subire violenza.
In strada aumentano le malattie: la tubercolosi si espande facilmente ed è successo ai nostri operatori di aver dovuto accompagnare un ragazzino all’ospedale per poter essere curato nella fase acuta della malattia. Quando è stato dimesso, è tornato in strada e, non essendosi curato e alimentato adeguatamente, è nuovamente peggiorato, chiedendo dopo un po’ di tempo un aiuto all’assistente sociale per rientrare a Moma, villaggio in cui vive la sua famiglia. Il ragazzino si sentiva ormai così debole che il suo desiderio era diventato solo quello di tornare a morire coi propri cari.
Al termine della stagione delle piogge, quando aumenta la disponibilità di cibo in corrispondenza con il periodo della raccolta, il numero dei bambini in strada diminuisce: molti rientrano in famiglia nel paesino da cui sono partiti.
Gli operatori hanno constatato che fenomeni quali la disoccupazione dei genitori, la malattia o la separazione, fanno sì che l’onere di crescere i bambini ricada spesso sulle donne che, nella grande maggioranza dei casi, non hanno un lavoro. E quando la scorta di miglio (così viene chiamato il mais bianco) è alla fine, non riescono a nutrirli tutti e chiedono ai più grandicelli di aiutarle a racimolare qualcosa. In Mozambico le donne hanno 7 o 8 figli, spesso il marito è assente per lavoro in qualche altro distretto oppure lavora nelle miniere del Sudafrica, o è morto o è semplicemente sparito senza dare notizie.

Angela Magnino
capoprogetto “Vita dentro”
ProgettoMondo Mlal Mozambico

martedì 14 giugno 2011

Epidemologia comunitaria, un parolone che vuol dire confronto

Quando ho sentito per la prima volta l’espressione ‘epidemiologia comunitaria’ ho sgranato gli occhi e nonostante i tentativi di spiegazione che mi venivano offerti, era davvero difficile afferrarne il senso.
A due mesi dal mio arrivo in Burkina e dopo aver seguito Salimata, Rosalie, Bouma e le altre persone che lavorano per il progetto “Sentieri della salute”, ho scoperto che in realtà, quell’espressione sconosciuta altro non indica che confronto e condivisione: riconoscere e farsi carico a livello di comunità di problemi che non necessariamente coinvolgono tutti i suoi membri. ProgettoMondo Mlal ha utilizzato questo tipo di approccio per sensibilizzare le popolazioni su importanti temi sanitari quali la vaccinazione, la corretta alimentazione e la salute materno-infantile.
Ho avuto modo di partecipare a un incontro comunitario sulle vaccinazioni, e quello che ho potuto vedere e apprezzare è stato il fatto che gli infermieri con cui ho avuto a che fare indirizzavano la conversazione, lasciando poi che fosse la popolazione stessa del villaggio a interrogarsi su quali siano i problemi che impediscono il rispetto del ciclo corretto di vaccinazioni per i bambini dagli 0 agli 11 mesi. La stessa dinamica c’è stata per la ricerca delle soluzioni: gli infermieri hanno dato degli input, ma è stata la popolazione a porre il confronto, a farsi carico unitariamente delle difficoltà e a scegliere quali strumenti utilizzare per arginarle e superarle.
Molto interessante è stato anche conoscere il bilancio finale delle attività svolte durante il triennio 2008-2010. L’occasione si è avuta con l’ultimo Comité de Pilotage del Progetto An Ka Here So (Sentieri della salute): il progetto è terminato il 31 dicembre 2010, ma ha ottenuto un prolungamento di altri sei mesi, permettendo di sistematizzare e consolidare le buone pratiche avviate durante il triennio.
Lo staff di ProgettoMondo Mlal ha incontrato i diversi partner (i rappresentanti di alcuni centri di salute coinvolti e delle associazioni che hanno realizzato le attività di alfabetizzazione) il direttore del programma di vaccinazione, i direttori regionali sanitari di Cascades e Hauts-Bassins e i medici responsabili dei distretti sanitari coinvolti.
Il progetto ha toccato 4 distretti –Dafra, Karangasso Viguè, Banfora e Mangodara- per un totale di 16 centri di salute, contando circa 300mila utenti che hanno potuto beneficiare di tali centri in maniera più o meno diretta.
Le attività di alfabetizzazione hanno permesso di formare 260 persone sull’approccio all’epidemiologia comunitaria, 260 sul controllo comunitario del ciclo di vaccinazioni, 253 sulla malnutrizione, 139 animatrici comunitarie, responsabili delle cellule di educazione nutrizionale e 27 giovani incaricati di gestire i ‘tèlècentres’, cioè i telefoni comunitari. Per quanto riguarda le attività generatrici di reddito, il bilancio è di 206 beneficiari e circa 35.910 euro accreditati: di questi 32.783 sono già stati restituiti e 2.971 sono in via di restituzione.
Numerosi sono stati gli apprezzamenti, provenienti soprattutto dal direttore del programma nazionale di vaccinazione, che ha riconosciuto la puntualità di ProgettoMondo Mlal nella programmazione, realizzazione e gestione delle attività e l’importanza dell’approccio comunitario come veicolo di sensibilizzazione ed educazione delle popolazioni, che ha permesso inoltre di avere un censimento più preciso della popolazione tra gli 0 e i 5 anni e dunque di stimare e utilizzare al meglio le risorse disponibili, nonché di ridurre il tasso di abbandono del ciclo di vaccinazioni dei bambini da 0 a 11 mesi e di promuovere il rispetto più puntuale del calendario vaccinale stesso.

Luisa Gelain
Casco Bianco Burkina Faso

Cicloni, colera e ancora vittime. Haitiani in piazza per alloggi decenti

Crolli, smottamenti e nuove vittime, e al centro del dramma ancora una volta c’è Haiti. Dopo una decina di giorni di piogge costanti le condizioni meteorologiche dell’isola sono iniziate a migliorare, ma la gente che con il terremoto del 12 gennaio scorso ha perso la casa, reclama alloggi decenti dopo che le autorità haitiane hanno smobilitato alcuni campi destinati agli sfollati nella capitale. Il 10 giugno gli haitiani hanno manifestato per le vie di Port au Prince per chiedere un interventi legislativo sulla politica abitativa. Un problema che, mentre l'associazione Ayiti Kale Je (Akj) riferisce che il nuovo governo avrebbe in programma la prossima chiusura di altri 6 campi, è stato discusso lo scorso 9 giugno a Port-au-Prince, in un incontro organizzato dall'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, dalla sezione diritti umani della Minustah e da ONU-Habitat (strategie di ricostruzione e miglioramento del diritto all'alloggio e alla terra). All'incontro ha partecipato Raquel Rolnik, portavoce dell'ONU sul diritto all'alloggio, secondo cui questo problema in Haiti non è una conseguenza del terremoto del 12 gennaio 2010 che, con la conseguente creazione dei campi, ha piuttosto fatto emergere un problema spinoso che già esisteva. Con il terremoto infatti un milione e mezzo di persone si sono trovate a vivere nei campi, in tende e baracche di fortuna e ad oggi, secondo l'OIM ce ne sono ancora 680 mila che abitano nei campi, e le piogge della stagione ciclonica iniziata nei primi di giugno non fanno che aggravare la situazione.
Con la stagione ciclonica si è inoltre tornato a parlare di colera. 12 i morti, su un totale di 275 persone che hanno contratto l’epidemia, recensiti nelle ultime due settimane nell’area di Gressier, contigua alla terza sezione comunale di Léogané dove opera ProgettoMondo Mlal per la ricostruzione degli edifici scolastici crollati durante il sisma. Si parla di fonti d’acqua contaminate e di cadaveri sepolti senza che siano rispettate le corrette procedure, mentre la protezione civile continua a tenere monitorata la situazione.

Qui sotto un video a cura del quotidiano Le Nouvelliste sulle inondazioni a Tabarre, nella periferia est di Port au Prince

lunedì 13 giugno 2011

In Argentina l’architettura è a misura d’uomo

Ci sono delle donne e c'è un progetto: Habitando.
Ci sono le famiglie delle donne con i loro bambini, tanti bambini.
Ci sono uomini e le loro esperienze lavorative nel settore delle costruzioni e ragazzi con la voglia di fare esperienza.
Ci sono molti tecnici e lavoratori sociali dell’AVE (Associazione abitazione economica) e del CEVE (Centro Sperimentale dell’abitazione economica), come del municipio.
C’e` chi costruisce case e chi relazioni tra chi lavora e le donne, future fruitrici del progetto. E poi ci sono reti con le istituzioni perché gli stessi lavoratori possano essere considerati dei micro-imprenditori se non un’equipe che, terminate queste prime cinque case in Unquillo, sia chiamata dal municipio per la realizzazione di altri progetti.
E’ un cantiere questo, dove sono presenti diverse figure oltre a quelle che solitamente si possono immaginare, e tutto ciò aiuta a percepire quella “misura dell’uomo” nell’architettura, di cui spesso si sente parlare, ma che poi difficilmente si riesce ad associare ai luoghi in cui viviamo.
L’architettura qui per una volta lascia il suo ruolo da protagonista, e si pone come mezzo, come intermediario per costruire relazioni ma, cosa ancor più importante, per radicare la consapevolezza e la coscienza, nelle persone, di quei diritti imprescindibili per l’uomo, che nessuna politica un po’ “distratta” o economia troppo aggressiva può permettersi di negare.

Arianna Giacomini
casco bianco ProgettoMondo Mlal Argentina

venerdì 10 giugno 2011

Da Ferrara in Marocco. Sara Buzzoni si presenta

Sara Buzzoni è la responsabile del progetto “Bambini in viaggio” avviato in Marocco da ProgettoMondo Mlal per promuovere una migrazione responsabile. Partita da poco per il paese nordafricano, nella presentazione qui sotto ci racconta qualcosa di lei e del perché della scelta che l’ha portata su suolo arabo.

Ho 30 anni e sono di Copparo, vicino a Ferrara. Durante i miei studi in Scienze Internazionali e Diplomatiche, ho maturato un forte interesse per i paesi arabi e musulmani, anche studiandone la lingua, l’arabo.
Dopo la laurea ho così deciso di approfondire questo mio interesse vivendo e lavorando in Medio Oriente.
Sono stata in Libano e Siria, paesi che mi hanno sempre attratto per la loro popolazione dalle molteplici identità etniche e religiose e per la loro storia affascinante seppur tormentata.
Dopo uno stage all’ambasciata d’Italia a Beirut, e vari viaggi tra Siria e Libano, ho lavorato per un anno in due scuole in Siria, ad Aleppo, e ho fatto l’insegnante di disegno volontaria a dei bambini irakeni rifugiati a Damasco.
Il contatto costante con i giovani e i bambini, sia siriani sia irakeni, ha fatto crescere in me l’interesse per la formazione dei giovani e le migrazioni all’interno del mondo arabo.
Dopo un anno di servizio civile in Italia, sono finalmente rientrata in Medio Oriente: questa volta in Libano. Ho lavorato prima a Tiro, nel sud, in un progetto per contrastare la disoccupazione giovanile e femminile e incoraggiare la microimprenditorialità. Questo progetto, che ha rappresentato la mia prima esperienza in una Ong, mi ha dato grandi soddisfazioni perché ho contribuito ad aiutare centinaia di giovani e donne a trovare un lavoro o a creare una propria attività. Dopo un anno in Nord Libano, la parte più povera del paese, ho pensato di dare seguito ai miei interessi e continuità al mio percorso professionale, allargando però i miei orizzonti verso il Maghreb.
Per caso, infatti, mentre cercavo lavoro, avevo scoperto, tramite la sua newsletter, che ProgettoMondo è da tempo attivo in Marocco con i giovani nel settore della migrazione. Ho trovato il progetto molto utile, interessante e coerente con i miei studi, i miei interessi e le mie esperienze. Ho quindi deciso di mettermi in gioco…ho inviato il mio curriculum ed eccomi in Marocco!


Cosa ti ha spinto ad aderire a ProgettoMondo Mlal?
Volevo continuare a lavorare nel settore della cooperazione, ma focalizzandomi su un settore che ritengo prioritario e su cui vorrei orientare la mia carriera in seguito: la formazione e la sensibilizzazione dei giovani, offrendo loro gli strumenti, culturali ed emotivi, perché sappiano costruire e gestire il loro futuro.

Cosa ti aspetti da questa esperienza professionale?
Attraverso la collaborazione con Progetto Mondo Mlal potrò, da un lato rafforzare le mie competenze gestionali e di coordinamento, dato che dovrò interagire con 4 partner marocchini e uno spagnolo; dall’altro, potrò conoscere la società marocchina e scoprire le somiglianze e le differenze con il contesto sociale siro-libanese.
Inoltre, sarà molto interessante trovarsi in Marocco proprio in questo periodo, in cui i giovani del mondo arabo rivendicano la possibilità di prendere in mano il loro futuro chiedendo riforme economiche e sociali ai loro governanti.

Come ti proponi di contribuire al nostro ProgettoMondo Mlal?

Grazie alla mia esperienza, anche nella gestione dei rapporti con i partner locali, spero di poter “far funzionare” al meglio il progetto che presenta una varietà di interventi dal centro al nord del Marocco, zona in cui Progetto Mondo lavorerebbe per la prima volta. Questa è un po’ la sfida del progetto e spero che con la mia preparazione ed il mio entusiasmo riuscirò a vincerla!

giovedì 9 giugno 2011

Una tassa per combattere povertà e cambiamenti climatici

Nei giorni dei negoziati ONU sui cambiamenti climatici (UNFCC) che si sono tenutiin questi giorni a Bonn, la FOCSIV presenta il documento dal titolo La Tassa sulle transazioni finanziarie (FTT) per le persone e il pianeta realizzato dalla FOCSIV nell'ambito delle attività con CIDSE, la rete internazionale di 17 agenzie di sviluppo cattoliche legate alle Conferenze Episcopali di Europa e Nord America di cui FOCSIV è il membro italiano. Una sintesi del lavoro parallelo, giustizia climatica e risorse per lo sviluppo, portato avanti da tempo dalla Federazione sia in ambito nazionale che internazionale.
Il documento spiega come la FTT potrebbe contribuire a risolvere il problema dei cambiamenti climatici senza intaccare in alcun modo il portafoglio dei cittadini contribuenti. "Nonostante il termine tecnico un po' da esattori, questa tassa è diversa da tutte le altre e potrebbe addirittura aiutare a risolvere alcune delle sfide globali attuali - dice Sergio Marelli, Segretario Generale della FOCSIV - non solo indicando la via d'uscita dalla crisi economica, ma anche indicando come affrontare un problema che il nostro modello economico ad alto impatto ambientale ha contribuito a creare: i cambiamenti climatici". Si calcola, infatti, che la FTT se introdotta a un tasso dello 0,05% potrebbe raccogliere oltre 660 miliardi di dollari all'anno e potrebbe contribuire a stabilizzare i mercati finanziari e a ridurre la speculazione. Il tutto senza alcun costo aggiuntivo per i contribuenti, interessando soprattutto gli scambi a breve termine che non hanno alcun valore aggiunto per l'economia reale. Studi condotti nel 2010 dal Fondo monetario internazionale e dalla Commissione europea dimostrano con chiarezza l'affidabilità della FTT. Tuttavia molti politici e industriali la ritengono ancora non fattibile.
Per sostenere la portata delle ricadute positive che questa tassa potrebbe avere, la FOCSIV - da sempre impegnata in azioni volte alla ricerca e allo studio di fonti alternative di finanziamento come le campagne Tobin Hood: una tassa per lo sviluppo, Zerozerocinque e Crea un clima di giustizia - con questo documento ribadisce che sono i più poveri a soffrire maggiormente, ma i cambiamenti climatici riguardano tutti. "Quando le scorte di cibo e i mezzi di sussistenza sono minacciati da inondazioni e siccità, le famiglie più povere, incluse quelle con bambini e guidate da donne, non hanno ammortizzatori. È questo il prezzo che accettiamo di pagare per mantenere i privilegi dei pochi che beneficiano delle speculazioni?" chiede Marelli.

mercoledì 8 giugno 2011

Humala, il guerriero attento a tutto

Ollanta Humala candidato del partito nazionalista peruviano ed ex comandante dell’esercito ha vinto le elezioni in Perù.
Figlio di Isaac Humala, un dirigente socialista di origini ayacuchane, fondatore della teoria dell’etno-cacerismo (ossia il recupero del potere da parte della “raza cobriza”, razza dalla pelle color rame, degli andini e dei meticci), Ollanta ha 7 fratelli, tutti con nomi mitologici o incaici: Ulysses, Pachacutec, Ima Sumac, Cusicollur, Antauro. Il nome Ollanta ha origine nell’opera teatrale meticcia Apu Ollantay, che narra di una storia d’amore di un principe incaico, e che in quechua significa “il guerriero che osserva tutto”.
Educato in una scuola franco-peruviana, e poi entrato nell’esercito, é stato presente nelle zone calde durante il conflitto armato contro Sendero Luminoso, da cui nasce la denuncia di presunta sparizione forzata di civili, e poi al fronte nella guerra tra Perú e Ecuador del 1995.
Nel 2000, nello stesso giorno della fuga di Montesinos, ex braccio destro di Fujimori, promuove una sollevazione militare nella caserma di Locumba (Ande meridionali del Perú) per provocare la caduta dell’ormai agonico governo di Fujimori, appena uscito da vittoriose e contestatissime elezioni.
Già nel 2006 é candidato del Partito Nazionalista appena fondato, e in modo sorprendente arriva al ballottaggio, dove perde contro l’ex presidente (governo 1985 – 1990 e attualmente in carica) Alan Garcia. Partendo da posizioni estremiste – etnocacerismo, nazionalismo socialista filo Chavez – si avvicina a queste elezioni 2011 con con un livello di popolarità abbastanza contenuto, non più del 10% a inizio campagna elettorale.
Ma il suo discorso inizia a farsi più moderato, capisce che senza il consenso della classe media e con gli ampi livelli di “ostilità” di settori centristi, o pro-modello economico, difficilmente riuscirà a vincere. Ecco allora che realizza operazioni che mostrano la sua capacità di ascolto: sbarca dall’alleanza il partito comunista del Perú – Patria Roja, dannoso in termini di immagine, e altri dirigenti sociali di posizioni ultraradicali, e convoca a un buon gruppo di leaders di opinione, di dirigenti del partito socialista di Diez Canseco.
La debolezza del Piano di governo iniziale, prolisso e in molti punti contraddittorio, viene riequilibrata da scelte azzeccate di immagine: farsi identificare dall’elettorato come il Lula peruviano, e abbandonando esplicitamente il riferimento a Hugo Chavez. Perfino i suoi strateghi della campagna vengono dal Brasile (su youtube alcuni spot a cui si attribuisce una parte rilevante del consenso), che preparano un’eccellente campagna di comunicazione, tesa a sottolineare il lato moderato del candidato.
Così Humala scala nei sondaggi rapidamente, partendo da un forte radicamento nelle zone rurali e indigene, nel sud andino – Cusco, Puno, Arequipa, Ayacucho, sue roccaforti -, iniziando a recuperare consensi anche nelle zone urbane, specialmente tra i settori popolari. Fino a giungere ai livelli del primo turno del 2006 che gli garantisce un comodo primo posto che lo conduce al ballottaggio.
La sua avversaria é Keiko Fujimori, 36enne figlia dell’ex presidente attualmente detenuto per una condanna a 25 anni (ed altre minori) per essere mandante delle stragi di Barrios Altos e La Cantuta, effettuate dal gruppo Colina, una cellula dell’esercito incaricata della strategia “guerra de baja intensidad”. Keiko raccoglie al primo turno il voto del nocciolo duro fujimorista, essenzialmente urbano-marginale, memore del governo efficace e paternalista, ma molto meno della classe media, che non perdona il saccheggio delle casse pubbliche realizzate insieme a Montesinos. Ma grazie alla divisione dei candidati “liberali” pro-sistema - Kuchinsky, Castañeda Lossio, Toledo – e quindi alla frammentazione del voto, Keiko passa al ballottaggio.
In Perú dal primo turno al ballottaggio ci sono ben due mesi di campagna, quindi un’eternità che basta a impostare e reimpostare i profili politici, campagna elettorale, alleanze e per sapere che i sondaggi - qui sono settimanali e di almeno 5 agenzie diverse - possono variare costantemente.
Dopo un primo tentennamento di votare in bianco, l’elettorato centrista e i principali gruppi di potere iniziano a riversarsi decisamente sulla candidatura di Keiko, turandosi più o meno il naso, poiché questa rappresenta, seppur con le derive populiste e neofascisteggianti, l’attuale modello economico. E l’arma principale dell’offensiva diventano, allora -guarda un po’-, i mezzi di comunicazione: tutti i canali privati e il 90% della carta stampata, quotidianamente martellano sulle debolezze di Ollanta e sulle presunte o inventate manipolazioni chaviste, con l’obiettivo di spaventare l’elettorato.
Ma Humala non é più quello del 2006. Non sapremo mai, se per convinzione o per convenienza, assume decisioni che lo aiutano a contenere il distacco nei settori urbani e medi: attira un gruppo numeroso di tecnici di valore e intellettuali progressisti non integrati alla sua iniziale candidatura, per dare un segnale di rassicurazione, e incassa il sostegno, per molti versi sorprendente, del Nobel Mario Vargas Llosa.
Dopo l’esito del primo turno, Vargas Llosa aveva espresso che sarebbe stato come scegliere tra “l’AIDS e il cancro terminale”. Ma a pochi giorni dal voto, il suo viscerale e in parte intellettuale, anti-fujimorismo, gli impone una scelta: sostenere Humala, poiché se su di lui “nutro molti dubbi, su Keiko ho assolute certezze”.
Un sostegno, dunque, condizionato: allontanarsi definitivamente dal chavismo, garantire la libertà di stampa, garantire il libero mercato, avvicinarsi al modello brasiliano. Vargas Llosa risulta essere un liberale radicale, che lo porta a sostenere Rodriguez Zapatero, Tony Blair o Obama, allo stesso tempo che Merkel o Piñera. E in questa circostanza, la sua avversione al “fascismo corrotto e violento” supera la sua distanza ideologica da un ex militare ex chavista, che mette sul piatto la moderazione macroeconomica e il libero mercato, prima di affrontare i punti cardini della sua “grande trasformazione, produttiva e sociale”. Il premio Nobel addirittura registra uno spot televisivo a favore di Humala, e il figlio Alvaro, noto giornalista e acceso liberale, entra nello staff di campagna. Toledo, dopo un inizio equidistante, fa approvare una mozione del suo partito a favore della candidatura di Humala.
Humala vince in 18 regioni su 24, con punte a Puno (78%), Tacna (77%), Cusco (75%), Ayacucho (70%). A Lima, che possiede il 30% dell’elettorato e che gli costò la sconfitta del 2006, e che negli anni é stata sempre più la piazza del “modello”, contiene la sconfitta, portando a casa il 42% dei consensi, essenzialmente delle zone popolari, meno “spaventate” da un possibile governo nazionalista. Quindi, ampio successo nelle zone andine e amazzoniche, e sconfitta contenuta sulla costa e a Lima. Ecco, una geografia della disuguaglianza, che riflette scelte elettorali apparentemente contrapposte: un settore “agganciato” al modello di crescita economica senza distribuzione, e un settore che chiede “inclusione e distribuzione” della ricchezza. 51,5% contro il 48,5% l’esito finale, quasi 500mila voti di differenza.
Lunedì 6 giugno la Borsa di Lima ha una perdita del -12%, la più grave della storia, causata da una serie di fattori, e non è da escludere anche da un fortissimo effetto speculativo. Humala nomina lo stesso giorno un staff di trasferimento di poteri, composto da altissime personalità, di diversi campi, che mostrano la capacità di ascoltare anche le più radicali opposizioni. Ma ormai la scelta é fatta: la Borsa recupererà presto, saranno presto nominati Primo Ministro, Ministro di Economia, Presidente della Banca Centrale, per “tranquillizzare i mercati”.
Ma una fortissima sensazione, anzi quasi certezza: la dittatura della finanza e degli investitori, che praticamente incatenano, obbligano la politica ad accettare un determinato modo di governare; anche a costo di tradire un mandato popolare che chiede profondi cambiamenti.
La sfida quindi rimane questa, storica: individuare come ridurre le fortissime disuguaglianze, assicurando inclusione sociale e distribuzione della ricchezza, e garantire una crescita economica sostenuta e costante basata sul capitale privato.

Mario Mancini
ProgettoMondo Mlal Perù

martedì 7 giugno 2011

La vittoria di Humala. Ora il Perù ha il suo “Lula” andino

L’ex militare di sinistra Ollanta Humala è il nuovo capo di stato del Perù. Ha vinto le elezioni con il 51% dei voti, a fronte del 48% della sua rivale politica, la candidata della destra populista Keiko Fujimori. La comunità internazionale, con osservatori dell’Unione Europea, ha riconosciuto il voto popolare durante le elezioni e ha garantito il processo democratico nel paese andino.
Con l’elezione dell’ex militare socialista candidato del Gana Perú, per la prima volta nel paese andino va al potere la sinistra grazie al voto democratico.
Nelle prime dichiarazione alla stampa come presidente eletto, Humala ha assicurato che nel suo mandato manterrà un’economia aperta che permetta di consolidare la positiva crescita economica già in corso nel paese.
“Promuoveremo gli investimenti” ha detto. “Il Perù continuerà la strada intrapresa, ma dovremo correggere alcuni aspetti dell'economia per il beneficio non di pochi, ma di tutti”.
Battezzato dalla stampa estera il “Lula” andino per la sua opzione verso la “via brasiliana”, Ollanta Humala privilegia quindi una crescita capitalista e pone enfasi sullo statalismo redistributivo.
Negli ultimi 5 anni, il neo capo di stato ha progressivamente abbandonato una posizione nazionalista di socialismo radicale per un’alternativa di concertazione nazionale.
Humala e Keiko Fujimori, figlia dell’ ex presidente Alberto Fujimori attualmente in carcere per violazione dei diritti umani e malversazione di fondi dello Stato, sono stati protagonisti del ballottaggio più combattuto della storia peruviana, portando alla ribalta le differenze sociali tra ricchi e poveri e l'esclusione sociale in un paese con un Pil la cui crescita oscilla tra il 6 e il 7 per cento all’anno.
Parte dei mass media peruviani, nelle settimane antecedenti al ballottaggio, hanno portato avanti una campagna per screditare la candidatura di Humala, e in questo contesto il premio Nobel di Letteratura, Mario Vargas Llosa, ha denunciato il giornale El Comercio, uno dei più influenti del paese, indicando che “nelle sue pagine si leggono menzogne e calunnie per impedire con tutti i mezzi la vittoria di Ollanta Humala”. “El Comercio”, ha scritto Vargas Llosa, “è una macchina di propaganda di Keiko Fujimori”.
C’è una forte pressione da parte della destra politica peruviana, attualmente al potere, per conoscere nel più breve tempo possibile i nomi del prossimo ministro dell'economia e del presidente del consiglio. Si punta a tranquillizzare le multinazionali, la finanza internazionale e gli investitori esteri che aspettano gesti concreti di Humala, che assumerà l’incarico a partire dal 28 luglio.
I sostenitori di Humala hanno manifestato pacificamente per le strade e nelle piazze del paese urlando “¡sí se pudo!”, (Ce l’abbiamo fatta!) in risposta alle intenzioni del gruppo politico di Keiko Fujimori (Fuerza 2011) di liberare dalla prigione suo padre Alberto.
Con questa vittoria la gente spera che per la prima volta in Perù vada in porto un progetto sociale, basato sull’inclusione, l’equità sociale e il riconoscimento dei peruviani delle Ande, i più poveri in un paese che confida in dirigenti politici più vicini ai problemi sociali della gente comune.

di FRANKLIN CORNEJO URBINA
Giornalista e sociologo peruviano

venerdì 3 giugno 2011

Fuori dal carcere... una locanda per la comunità

Dopo un’appassionata ristrutturazione e quindi completamente rinnovata, da alcune settimane ha riaperto “O Prato Feliz”, una locanda nel cuore di Nampula, dove è possibile mettersi a tavola con gli amici, consumare una bibita, leggere un buon libro e, di sabato sera, ascoltare persino musica dal vivo o assistere a spettacoli di teatro e poesia.
Il ristorante Centro culturale Prato Feliz è una scommessa nata da ProgettoMondo Mlal, impegnata da tempo nelle carceri di Nampula per migliorare le condizioni di vita di chi vi è recluso, ma anche per offrire loro opportunità di reinserimento sociale e lavorativo una volta scontata la pena. Sorta in un quartiere popolare molto caratteristico, con casette in paglia, nel mezzo dell’Università pedagocica di Nampula (e quindi sempre molto frequentata da giovani) la locanda appena ristrutturata rappresenta una di queste opportunità. Si trova in rua da Unidade, a un centinaio di metri dal tracciato ferroviario che collega il Paese al vicino Malawi, lungo la famigerata via degli schiavi. Oggi, una parte dei binari, ospita un colorato mercatino dove si trova un po’ di tutto: dalla frutta secca all'abbigliamento. E, poco più avanti, sorge uno dei cimiteri cattolici più antichi e preziosi per la popolazione di Nampula.
Aperto dal lunedì al sabato fino a tarda sera, Prato Feliz, per una cifra compresa tra i 3 e i 7 euro, propone ai clienti ottimo cibo mozambicano, dal capretto al pollo, tutto accompagnato, per chi è avvezzo a sperimentare nuovi sapori, da Chima, la tipica polenta africana. Il tutto innaffiato da una grande varietà di bibite rinfrescanti, ma anche vino sud africano e birra locale, come l’ottima Manica.
Il ristorante è inoltre aperto a qualsiasi iniziativa culturale, a chi declama poesie e a chi improvvisa musica, come pure a chi fa teatro o pratica la danza tradizionale. I sabato sono dedicati alla libera espressione, con jam session di artisti di diversi generi e linguaggi che improvvisano melodie in comune; oppure alla musica dal vivo con bands di Nampula.
Ma c’è anche chi dedica tempo allo studio: all'interno del locale c’è infatti una piccola, ma ben fornita, biblioteca aperta al pubblico. E uno spazio dedicato all'esposizione e vendita di artigianato prodotto dai ragazzi in carcere.
Infine, per due appuntamenti settimanali, il Centro Prato Feliz si riempie di bambini della zona che frequentano lezioni di teatro e canto, completamente gratuiti. Il Centro culturale si dice orgoglioso di lavorare “per” e non solo “nella” la comunità.
Per chi è in città per turismo diventa quindi un luogo di incontro e scambio, sopratutto per la diversità e autenticità delle persone che lo frequentano, utilissimo per raccogliere tutte quelle informazioni necessarie per vivere al meglio la propria permanenza in città e per scoprire angoli, locali pubblici e gente locale.

Per saperne di più:
www.vacanzefaidate.com/proposta/a-pranzo-a-nampula

Sara Laruffa
casco bianco ProgettoMondo Mlal Mozambico