lunedì 18 luglio 2016

Trentini in Perù, tra i bambini lavoratori


Sara Maffei, Michele Sordo e Martina Perghem sono tre ragazzi di Rovereto che hanno deciso di aderire al progetto “giovani solidali 2016” per avvicinarci e approfondire il mondo della solidarietà internazionale. A marzo sono partiti per il Perù con il MLAL Trentino Onlus, dove hanno avuto la possibilità di fare la loro “esperienza sul campo” per tre settimane.
Martina, impegnata al momento in un periodo di tirocinio al MLAL Trentino, racconta l’esperienza.
“Sicuramente il momento più difficile della nostra esperienza è stato il primo impatto: in poche ore ci siamo trovati catapultati in un mondo completamente diverso da quello in cui siamo abituati a vivere. Tuttavia non è stato difficile ambientarsi: siamo stati subito accolti da persone fantastiche, che hanno reso questo momento meno complesso e faticoso.
Sono già trascorsi quattro mesi dal nostro ritorno, ma ricordiamo ancora con nostalgia le persone che ci hanno accompagnati in questa avventura, sopratutto i bambini del Manthoc che hanno reso la nostra esperienza unica, viva di emozioni, storie e racconti. Ognuno di loro, a suo modo, ci ha insegnato qualcosa.
Ricordiamo i colori caldi dei tramonti sull' oceano, dei murales dipinti dai Nnats (niños, niñas y adolescentes trabajadores) di villa El Salvador, della pelle dei bambini, dei vestiti tipici in selva, dei teli al mercatino indios, delle mille sfumature di verde nella foresta amazzonica e del rosso della terra argillosa in sierra.
Un’esperienza intensa, ricca di visite ma sopratutto di incontri, abbracci, sorrisi, carezze e amicizie. Un’esperienza che ci ha permesso di conoscere tutte le sfaccettature del Perù. Abbiamo infatti potuto apprezzare la città, dove abbiamo trascorso la maggior parte del nostro tempo, ma anche posti meno caotici come la Selva, dove per qualche giorno ci siamo immersi nella natura, e ci siamo addentrati in un progetto di ProgettoMondo Mlal, Café Correcto, che si occupa di contrastare gli attuali livelli di precarietà che caratterizzano i lavoratori delle filiere di caffè, contribuendo al riconoscimento di un lavoro dignitoso a questa categoria a partire da un migliore accesso ai servizi pubblici e a forme di previdenza sociale adeguata.
Il progetto che abbiamo maggiormente seguito è stato tuttavia “Il mestiere di crescere”, quello che coinvolge il Manthoc, un movimento di bambini e adolescenti lavoratori, attivo da circa 40 anni, che coniuga tutela dei diritti ed educazione scolastica.
I bambini che aderiscono al movimento hanno la possibilità di richiedere maggiore tutela ai loro datori di lavoro, e di avanzare proposte e progetti alle istituzioni senza l’intermediazione degli adulti. Bimbi e adolescenti si incontrano in strutture dislocate in diversi quartieri di Lima: noi ne abbiamo visitate tre ma abbiamo maggiormente approfondito la realtà della Casa di Yerbateros. Qui i piccoli lavoratori si incontrano per giocare e per seguire diversi laboratori di lingua, informatica, cucina, pittura. Vengono inoltre distribuiti dei pasti completi con un piccolo contributo, solitamente a base di riso e legumi, ai bambini e alle loro famiglie.
Noi abbiamo giocato con i bambini, aiutato nell’organizzazione dei taller (durante uno degli ultimi giorni della nostra permanenza abbiamo organizzato un laboratorio sulla cultura italiana), e aiutato la signora Eva nella preparazione dei piatti. Per una settimana abbiamo poi vissuto con tre diverse famiglie dei piccoli che frequentano il Manthoc: un’esperienza emozionante, irripetibile, preziosa anche se a tratti impegnativa. Ci è stata data l'opportunità di mettere in discussione i nostri valori e modi di vedere, e di comprendere la vita. Il nostro inserimento nel contesto del Manthoc è stato accompagnato da una serie di iniziative che ci hanno permesso di integrarci e meglio comprendere e capire. Interessante e piacevole è stato l'incontro con il Alejandro Cussianovich, coofondatore della teoria della ternuna, alla base del movimento.
È stata un’esperienza indimenticabile, che ci ha permesso di avvicinarci a un mondo nuovo, di aprirci verso nuovi orizzonti con una consapevolezza diversa, ma sopratutto di crescere”.

venerdì 15 luglio 2016

Dalla teoria alla pratica, studenti in campo

Per sperimentare come si lavora in una Ong di cooperazione Martina Coati e Edoardo Cappelletto, studenti del Liceo calssico Maffei di Verona in Alternanza Scuola Lavoro sono stati “accolti” nell’Ufficio Educazione di ProgettoMondo Mlal dove, dopo una formazione generale su temi e ambiti dell'organizzazione, hanno lavorato soprattutto sull’aspetto educativo del Cinema Africano.
Dopo un incontro con Stefano Gaiga della direzione artistica del Festival, grazie al quale hanno acquisito degli strumenti per l’analisi e la selezione dei film africani e un ulteriore momento con Rossella Lomuscio di ProgettoMondo Mlal per entrare nel lavoro educativo legato allo Spazio Scuole del Festival, è iniziato il lavoro vero e proprio. I ragazzi hanno visionato tre lungometraggi e, utilizzando gli strumenti di lettura filmica, sia in chiave “estetica” che educativa, ne hanno redatto le schede di presentazione e hanno selezionato un lungometraggio da proporre nel prossimo anno scolastico nella propria scuola.
Sul contesto e sui contenuti di La Marche, il film da loro selezionato, hanno ricercato e preparato degli spunti di approfondimento per approcciare una lettura del film in chiave educativa e gestire loro stessi poi l’animazione e il dibattito.
Hanno anche avuto l’occasione di sperimentarsi come traduttori e addetti al sottotitolaggio e di formarsi sull’utilizzo di un programma specifico, si sono occupati di un primo inserimento di timecode e sottotitoli a un cortometraggio tunisino, Ghassra, che sarà in concorso nella prossima edizione del Festival del cinema africano di Verona.
“La Marche parla di un gruppo di ragazzi che, nel 1983, hanno deciso di mettersi in marcia da Marsiglia a Parigi in nome dell'uguaglianza tra tutte le persone. I giovani e le donne danno un tocco importante all'iniziativa che mi ha colpita”, racconta Martina. “Dopo quella manifestazione il permesso di soggiorno per gli stranieri si è allungato dal 3 ai 10 anni. Poi purtroppo si l'eco della manifestazione ha perso effetto e ora solo il 19 per cento delle persone si ricorda della marcia.
Penso però che anche in Italia i giovani dovrebbero essere più partecipativi e attivi”.
Edoardo sottolinea invece il valore dell'esperienza fatta. “All'inizio abbiamo affrontato una parte teorica e introduttiva ma poi siamo entrati nel vivo delle attività con una pratica molto interessante. Abbiamo visto film che non si vedono in giro e che hanno un taglio decisamente diverso da quelli americani ed europei a cui siamo abituati, e sottotitolare è stato molto più complicato di quanto pensassi. Il Cinema Africano d'ora in avanti mi avrà sicuramente in sala”.

lunedì 11 luglio 2016

L'Africa ti cambia, in meglio

Un anno in Africa contribuisce a sradicare pregiudizi profondi che ci portiamo dentro, perché siamo nati, cresciuti ed educati nella fetta di mondo dove, forse solo apparentemente, tutto va bene. Arrivi in Africa e ti rendi conto che, pur avendo ricevuto un'educazione impeccabile, anni e anni di studio sui libri pensando di diventare una persona migliore non sono serviti a centrare il bersaglio.
Arrivi in Africa e ti scontri con persone con cui senti di non spartire nemmeno il 10% dello stile di vita. I primi tempi fai fatica a inserirti in meccanismi "culturali" cosi differenti dai tuoi. Sgrani gli occhi quando vedi una mamma che si porta il bambino sul dorso ovunque essa vada, che tiene un neonato per 24 ore nella sua boutique col ventilatore rotto, mentre fuori, tutti i commercianti si gridano addosso. E rimani colpito vedendo i bambini con la latta a tracolla che scalzi fanno l'elemosina ai posti di scalo.
Arrivi in Africa e vedi le donne che si caricano sulla schiena chili e chili di legna, questo fino alle dieci o undici di sera, perché qui non ci sono né orari, né sindacati.
E allora inizi a ragionare sulla base del parametro che qualcuno o qualcosa ha contribuito a radicare nella tua forma mentis : i diritti umani. Ti arrabbi, perché tutto un intero sistema sul quale hai costruito la tua vita cozza con "il diverso".
Lo chiamiamo appunto sistema di valori. Ad esempio, io sono cresciuta in una società in cui il principio di laicità è qualcosa che è stato conquistato con il sangue dai nostri predecessori. E' qualcosa che i governanti cercano di difendere a spada tratta, spesso e volentieri contraddicendosi nelle politiche messe in atto. Hanno cercato quindi di renderlo universale, con l'intento di proteggerlo da minacce esterne.
Anche il sistema di informazione è stato manipolato a questo fine. Sfoglio i giornali europei e le sole notizie in rilievo riguardano la minaccia terroristica, il pericolo dell'islam, quanto ricevono i migranti nei centri di accoglienza mentre gli italiani sono disoccupati. Questa falla ha contribuito a renderci tutti un po' più impauriti, intolleranti. Qui in Africa, minacce terroristiche a parte, nessuno si è mai sognato di dirmi di non frequentare i musulmani. In tempo di ramadam mi è stato persino offerto di partecipare a una giornata di digiuno, e riesco a fare cene e feste dove almeno tre religioni differenti siedono allo stesso tavolo.
Qui in Africa ho imparato a conoscere un sistema di valori che mi affascina e mi spiazza allo stesso tempo. Anche qui è pieno di contraddizioni, ma credo fermamente che sia tutto più genuino e autentico rispetto al mondo occidentale.
L'aspetto che più mi affascina sono le relazioni interpersonali. Qui non esiste individualismo, la famiglia è il pilastro su cui si fonda il labirinto sociale; essa è la colonna portante degli individui, che vi si identificano prima di tutto come esseri comunitari.
Ne consegue che in Africa non potrai mai sentirti solo. Forse devo ritenermi una persona privilegiata in quanto di pelle bianca, perché tutti stravedono per me e farebbero l'impossibile pur d'avermi come amica; ma ho visto formidabili esternazioni di solidarietà umana. Una sera per esempio mi trovavo in una boite de nuit, dove un povero disgraziato senza gambe e braccia si è buttato dalla carrozzina per scendere in pista: ballava così energicamente che intorno a lui si è formato un enorme cerchio, con mani che battevano a ritmo e occhi tutti puntati su di lui. Tutti erano lì ad ammirarlo, e lui era felice. Qui in Africa l'uomo è il centro di tutto. Un amico burkinabé ha viaggiato in Italia ed è rimasto colpito dai lavaggi automatici di veicoli. Ha persino fotografato le spazzole automatiche. Mi ha detto scioccato che ci lamentiamo che non c'è lavoro e poi lo diamo a un robot. In Africa il lavoro viene fatto a mani nude, con olio di gomito, e con il sorriso.
Anche l'idea di igiene mi ha spiazzata. Ho visto africani maniaci del pulito, che mangiano con le mani e non si alzano dal tavolo senza una bella toilette, che vivono in case con latrine esterne (nei casi più fortunati) che sono più pulite delle nostre, che si fanno tre o quattro docce al giorno. Ho visto panni stesi luccicare in cortili ordinatissimi, mi sono seduta in salotti profumati.
Gli uomini africani mi hanno insegnato che lo sviluppo parte dall'arte di (re)inventarsi. Qui ci sono ragazzi con la quinta elementare che saprebbero fare di tutto, perché dotati di un grande spirito d'osservazione. Io, che non sono nemmeno capace di piantare un chiodo, mi sono sentita più volte un'inetta. Loro no, riescono a districarsi in qualsiasi situazione, e attraverso la coesione possono fare grandi cose.
Ma evidentemente ai potenti fa comodo non riconoscere tutto questo; e allora spacciamo l'Africa per quel posto del mondo che deve essere rimesso in sesto. Ma ci stiamo provando da 60 anni, e ancora non ci siamo riusciti. Non possiamo dire alle persone come devono vivere. Possiamo piuttosto venire, sederci al loro fianco e proporre loro di ascoltare da dove veniamo, come viviamo; possiamo mettere in moto un meccanismo di confronto, che sarà per forza arricchente, che produrrà da solo un cambiamento da entrambe le parti.
La mia esperienza in Africa ha contribuito veramente a mettere in discussione istituti e meccanismi che hanno regolato i miei primi 30 anni di vita. Sarà considerata debolezza di carattere, ma io voglio vederla come umiltà di sapere fare un passo indietro e accogliere l’idea che tutto è relativo, che ogni percezione cambia in funzione del tempo e del contesto in cui viene ad esistenza.

Elisa Chiara
Casco Bianco Burkina Faso
ProgettoMondo Mlal

giovedì 7 luglio 2016

Migrazioni da conoscere, senza pregiudizi


Le migrazioni sono uno dei tabù più radicati nel nostro Paese, circondate spesso da falsi miti e false credenze dovute alla poca consapevolezza, alla paura del diverso e al pregiudizio. Infatti se davvero ci prendessimo l’impegno di conoscere coloro che riteniamo diversi scopriremmo che poi tanto diversi non sono. Alcuni politici, con la complicità dei mass media, tendono a giocare  sul timore già presente nelle persone andando a provocare un rifiuto verso gli immigrati tramite l’imprecisione e la superficialità nel raccontare fatti di cronaca. Spesso, in caso di stranieri, vengono presentati i protagonisti dei fatti in base al luogo d’origine, alimentando inconsapevolmente il disprezzo verso queste persone e causandone un progressivo isolamento dalla società. Secondo le ricerche del giornalista Maurizio Corte, nell’83% dei casi il ruolo del soggetto immigrato appare negativo e nel 56% dei casi si parla di straniero in relazione alla criminalità. All’immigrato, etichettato come elemento da allontanare, vengono tolte possibilità di lavoro e quindi di integrazione, facendolo entrare in un circolo vizioso che in alcuni casi vede come scelta obbligata il lavoro in nero, in totale assenza di diritti, come unico mezzo di sostentamento per se stesso e per la propria famiglia. È quindi la società stessa, per lo scarso approfondimento dei fatti, a creare il problema di cui si lamenta.
Un altro degli stereotipi principali è legato all’aspetto economico. Non conoscendo la realtà dei fatti, molti ritengono che l’immigrazione rappresenti una perdita di denaro statale e si sentono derubati a vantaggio degli stranieri, mantenuti in comunità pubbliche. A una persona che sente la parola “migrante” infatti viene subito in mente il rifugiato politico che arriva in Italia sui barconi, quando in realtà l’afflusso migratorio in Italia, secondo uno studio ISTAT, proviene per il 52,8% dall’est Europa e porta un concreto profitto economico. Emblematico è lo studio della fondazione Leone Moressa che testimonia come nel 2015 ci sono stati 3,9 miliardi di euro in entrata nelle casse pubbliche grazie a lavoratori stranieri.
Alla luce dei fatti possiamo affermare che essendo questo fenomeno radicato nella nostra società non possiamo fare altro che informarci meglio a riguardo, abbandonando tutti i pregiudizi ed immedesimandoci nelle difficili situazioni che costringono queste persone ad abbandonare lo stato natale in cerca di un posto migliore per sé e per la proprie famiglie. In quanto abitanti del Mondo, dobbiamo aiutare e facilitare la loro integrazione all’interno della società. In questo campo ProgettoMondo Mlal si impegna a creare ponti di scambio culturale tra paesi diversi in modo da sensibilizzare le giovani generazione alla conoscenza del diverso, con lo scopo di abbattere il muro di pregiudizi, come ad esempio è stato fatto nel 2015 con un programma di scambio tra una scuola di Cuneo e una di Beni Mellal in cui i giovani di entrambe le città hanno potuto conoscere uno stile di vita diverso dal loro tramite la creazione di video.

Martina Coati e Edoardo Cappelletto
Studenti del liceo classico Maffei, progetto alternanza scuola-lavoro