venerdì 25 febbraio 2011

“HAITI, L’INNOCENZA VIOLATA”. Presentazione a Verona il 5 marzo

Sabato 5 marzo, alle 18.30, verrà presentato a Verona il libro “Haiti, l’innocenza violata. Chi sta rubando il futuro del Paese?. L’opera, edita da Infinito Edizioni, sarà illustrata dagli stessi autori, Marco Bello e Alessandro Demarchi, al Cum – Centro Carraro in Lungadige Attiraglio, 45.

Chiare e inequivocabili le motivazioni che hanno spinto Marco Bello e Alessandro Demarchi a realizzare il libro: “Sui mass media italiani (ma anche stranieri) a parte rare eccezioni, non si è mai presentato il punto di vista degli haitiani di fronte alla tragedia del 12 gennaio. Le testimonianze erano sempre quelle del cooperante, del funzionario delle Nazioni Unite o del missionario. Noi abbiamo voluto invertire questo schema”.
La presentazione del libro sarà naturalmente destinata a tutta la cittadinanza e seguirà al Primo Piano sulle nuove energie che si svolgerà nella prima parte del pomeriggio, sempre al Cum, per i soci e aderenti all’organizzazione, con l’intervento del segretario generale della Focsiv Sergio Marelli.

Haiti, l’innocenza violata” è un’opera patrocinata da Cisv e ProgettoMondo Mlal insieme all’associazione di migranti Haititalia e i cui proventi contribuiranno a finanziare le iniziative che Cisv sta realizzando sull’isola con ProgettoMondo Mlal.

8 marzo, la tua offerta per il futuro di tutte le donne

ALL’INIZIO FU EVA POI NE SONO VENUTE MOLTE ALTRE. Eroine o vittime, contestate o contestatrici, tutte comunque protagoniste.
In ogni Paese, e in ogni tempo, dietro ogni donna c’è una famiglia, un villaggio, una comunità.
Valorizzando il ruolo e lo sviluppo al femminile, in settori come salute, istruzione, agricoltura, artigianato e giustizia, contribuiremo a combattere ingiustizia e discriminazione, di genere e di etnia.
Sono tante le donne di ProgettoMondo che in 24 Paesi diversi, in città o campagna, da sole o con il sostegno di altri, ogni giorno lottano per vedere riconosciuta la loro dignità, libertà e autonomia, laddove questi diritti sono ancora negati.


E sono almeno 10 i modi di essere donna ProgettoMondo

• madre in Burkina Faso
• medico in Congo
• studentessa in Marocco
• rispettata in Brasile
• imprenditrice in Nicaragua
• produttrice ad Haiti
• contadina in Bolivia
• artigiana in Guatemala
• migrante in Perù
• detenuta in Mozambico

L'8 marzo festeggiamo le donne con un gesto concreto:
UN SEGNALE DI RISPETTO E SOLIDARIETA’ che non appassisca nell’arco della giornata ma duri nel tempo.

Scegliendo il SEGNALIBRO di ProgettoMondo Mlal, con un’offerta minima di 5 €, si avrà l'occasione di sostenere un programma di sviluppo in Africa e America Latina, valorizzando il RUOLO e lo SVILUPPO al FEMMINILE in settori come salute, istruzione, agricoltura, artigianato e giustizia.

Sono tante le donne del Sud del Mondo che in città o campagna, da sole o con il sostegno di altri, ogni giorno lottano per vedere riconosciuta la loro dignità, libertà e autonomia, laddove questi diritti sono ancora negati.
ProgettoMondo Mlal, con i suoi 44 anni di esperienza nel campo della cooperazione internazionale, è da sempre al fianco delle donne per restituire loro opportunità e strumenti che le rendano protagoniste del proprio sviluppo personale e professionale.

giovedì 24 febbraio 2011

E' italiano il primo carcere minorile in Bolivia. All'inaugurazione anche il presidente di ProgettoMondo Mlal

E’ stato inaugurato martedì mattina in Bolivia, nella provincia di El Alto, al cospetto delle massime autorità, il primo vero carcere minorile del Paese, il Centro per giovani trasgressori Qaluama, da 150 posti (per ragazzi e ragazze), nel quale ProgettoMondo Mlal, dopo un lavoro di 10 anni, conta di poter restituire dignità e diritti di base, nonché un’opportunità di reinserimento sociale post-detenzione, ai giovani reclusi.
Tutti rigorosamente minorenni attualmente rinchiusi insieme agli adulti nel famigerato carcere di San Pedro a La Paz, dove scontano le pene più diverse, con responsabilità anche molto diverse, ma con storie alle spalle tristemente simili.
Le storie di questi ragazzi parlano di miseria infinita e di mancanza di tutto, a cominciare da una famiglia, una casa, una scuola, un pasto.
Si tratta di ragazzi che hanno commesso reati legati a piccola criminalità, violenza, risse o traffico di droga, e che si ritrovano rinchiusi in una sorta di girone dantesco, com’è quello di San Pedro (da cui anche l’idea del film con Brad Pitt, fermato dagli stessi detenuti in rivolta), incasellati in una rigida suddivisione per classi sociali in cui a dettare la legge sono quelli che hanno i soldi per pagarsi 1 cella e i capibanda che tirano le redini del traffico di droga dentro e fuori il carcere.
La nuova struttura di Qaluama, realizzata da ProgettoMondo Mlal grazie ai finanziamenti raccolti al fianco della Diocesi di El Alto dalla Conferenza Episcopale Italiana, l’Unicef, la Caritas italiana, la Ong spagnola Intervida, la Ong tedesca Pan Para el Mundo, l’arcivescovado di Colonia, e la solidarietà spagnola e italiana – e soggetta a una convenzione stipulata fra il Ministro degli interni , il Vescovo della diocesi di El Alto e ProgettoMondo Mlal - è costata 1 milione e mezzo di euro e, appunto, quasi 10 anni di strenuo impegno.
Al di là dei fondi, e non è stato per niente facile reperirli (il tema della giustizia minorile non paga!), l’impegno maggiore è stato offerto da un italiano, bergamasco di origine ma da 25 anni in Bolivia come volontario per ProgettoMondo Mlal: Riccardo Giavarini. E’ stato lui a imbarcarsi personalmente in un’impresa che pareva impossibile a tutti: a calamitare nel tempo, attorno a sé, finanziatori, autorità locali, e lo stesso sistema di giustizia boliviano, schierato fieramente per la cerimonia di inaugurazione.
A tagliare il nastro, martedì mattina, il ministro degli interni boliviano, Sacha Llorenti (nella foto con il pugno alzato, ndr.), al fianco del comandante generale della polizia e, alla sua sinistra, il vescovo di El Alto, il presidente di ProgettoMondo Mondo, il veronese Mario Lonardi, il viceministro della sicurezza pubblica e il direttore nazionale della sicurezza penitenziaria.

Leggi l'articolo sulla stampa locale

Per sostenere il progetto Qalauma: donazioni su Banca Popolare Etica IT 54 F 05018 12101 000000513290

LA TESTIMONIANZA. Da San Pedro a Qalauma, giovani detenuti in attesa di trasferimento

(di Mario Lonardi, presidente ProgettoMondo Mlal) - Nel cuore della città di La Paz sorge il famigerato carcere di San Pedro. Dentro ci stanno in 1.500. Agli angoli del muro di cinta le torrette con le guardie. Si entra frettolosamente attraverso un metal detector: uno sguardo ai documenti e poi, appena varcato il cancello, già a mezzo metro sono li che ti guardano. E tu non sai bene se salutare, sorridere o che altro.
Entriamo. Di visi che ti scrutano ce ne sono dappertutto perché, qui dentro, sono tutti in giro. Si muovono liberamente passando da un cortile all´altro. In ogni cortile un gradino sociale diverso, a prescindere dalla condanna che devono scontare.
Il 70 % dei reclusi è in attesa di giudizio. Le condizioni di vita nel carcere dipendono dalle disponibilità economiche: qui si paga tutto, a cominciare dalla cella, altrimenti dormi per terra dove trovi spazio.
A San Pedro ci sono anche molti bambini: almeno 150 che girano, giocano e scherzano.
Alle 8 del mattino escono e vanno a scuola e alle 4 del pomeriggio ai cancelli del carcere fanno la fila per tornare dentro. La Materna, invece, è interna al carcere e gestita da volontari. Bambini piccolissimi che vivono in carcere spesso solo con i padri.
Nel carcere si entra a 16 anni, come Kevin che, con quattro amici, sballati, una sera per rubare una giacca a vento ha finito per ammazzare una persona. Del gruppo la condanna è toccata a lui, e da tre anni sconta la pena a 25 anni. E' stato eletto rappresentante dei giovani in carcere e ha imparato la serigrafia su tessuto. Lui è uno dei ragazzi che sta sperando di entrare nel progetto Qalauma.
Qalauma è il centro penitenziario giovanile per la rieducazione e la formazione che abbiamo inaugurato martedì.
L’idea è che si possa dare una possibilità ai ragazzi che, come Kevin, hanno sbagliato. Il centro ospiterà giovani dai 16 ai 21 anni e proporrà un ciclo di rieducazione fino a cinque anni.
I primi 30 ragazzi entreranno a Qalauma in marzo, e a essi ne seguiranno progressivamente altri, fino a raggiungere il numero di 150 (100 ragazzi e 50 ragazze) a regime.
Il primo periodo, dopo l’accoglienza, è di ascolto e costruzione del progetto educativo individuale, attraverso la ricostruzione della situazione psico-sociale del ragazzo/a.
Il secondo costituisce la “fase comunità”, dove i ragazzi accedono al lavoro e allo studio e all’assunzione di responsabilità nell’autogestione del centro (orario, sport, lavoro, cucina, spiritualità, rappresentanza).
La terza è la fase di accesso ai benefici previsti dalla legge, come quelli della libertà vigilata, la semilibertà, il lavoro comunitario: questo periodo è gestito attraverso convenzioni con fabbriche e con le istituzioni, in modo che gli assistenti sociali possano seguire l’attività dei ragazzi. A essi potrà essere chiesto di svolgere lavori socialmente utili e, quando possibile, offrire un risarcimento economico alla vittima.
La quarta fase prevede il “post-penitenziario” per un periodo di tre-sei mesi nei quali il ragazzo accede a una struttura protetta (appartamento con vitto e alloggio) ed è seguito da un assistente sociale che lo aiuta a trovare un lavoro stabile per evitare la recidività e accompagnarlo a un reinserimento sociale attivo.

Chi è Riccardo Giavarini

Riccardo Giavarini è padre, in casa sua a La Paz, dei 5 figli avuti dall’altrettanto battagliera moglie boliviana, Berta Blanco.
Ma per più di 30 anni è stato cento volte padre dei giovani indigeni Mosetenes che rivendicano il rispetto per la terra e la foresta in cui sono nati e cresciuti, dei minatori di Potosì, degli scioperanti di Cochabamba, dei campesinos delle Ande, dei giovani detenuti di La Paz.
Giavarini è insomma, prima ancora che volontario Mlal, padre putativo di tutti gli esclusi: dai giovani di periferia ai contadini senza terra, dalle donne protagoniste ai giovani carcerati, dagli indigeni Mosetenes a ogni albero della sua amata Foresta.
Ecco come racconta la sua storia di volontario per l’America latina:

A 20 anni ero in seminario maggiore di Bergamo, dove ho fatto la maturità classica. Ho approfittato della fine degli studi per prendere contatto con la Bolivia, attraverso il mio curato.
Così a San massimo di Verona ho fatto il corso di formazione di due mesi e nel febbraio 1976 sono partito per la Bolivia. Qui ho lavorato un anno a La Paz, nella periferia della città, tra i giovani e con don Giancarlo Pezzotta, uomo di visione, ben inserito nel mondo operaio. Ricordo che eravamo ai tempi della dittatura Banzer.
Questa prima esperienza è stata forte per me perché non avevo mai avuto prima esperienza di violazione dei diritti umani e invece, proprio grazie a questo lavoro in periferia, siamo venuti a conoscenza della drammaticità della dittatura: sequestri, torture, desaparecidos. Ricordo che già allora, facendomi passare per prete, entravo a Chochoncoro per aiutare i detenuti politici, e oggi, dopo 30 anni, lavoro ancora nella realtà carceraria.
Quello è stato un periodo molto significativo per me, in cui ho elaborato il tema dell’attenzione per gli ultimi.
Dopo mi sono trasferito a Chochabamba, per lavorare a due progetti.
Il primo, quello del mondo dei giovani, della formazione e della lotta per i diritti umani: una ricerca quasi ostinata della giustizia.
I diritti umani, allora violati, non solo avevano un aspetto politico, ma anche un altro molto pratico; alla periferia di Chochabamba vivevamo infatti senza luce, senza acqua, con strade non asfaltate. Così coinvolgevamo i giovani nella rivendicazione di questi servizi di base.
Oltre a ciò, però, ero lì per studiare teologia e diventare sacerdote.
Ma, lavorando con i giovani, alla fine ho maturato un’altra scelta. Conoscendo Berta Blanco (sua moglie, ndr.) e avvertendo l’urgenza di impegnarmi socialmente, è nata l’idea del matrimonio. Progetto però rinviato a seguito del golpe di Mesa.
Ho dovuto lasciare il Paese e rientrare in Italia per qualche tempo. Ho lavorato come muratore e nel luglio 1981 sono ripartito con ProgettoMondo Mlal per l’America latina. Questa volta non sono tornato in Bolivia, ma, con mia moglie Berta, in Perù a Puno, con la prelatura di Ayaviri.
In Perù, con il vescovo di Ayaviri, abbiamo fatto tutto un lavoro di pastorale sociale, di lotta per ricuperare le terre per le comunità di contadini, di formazione di dirigenti, e di miglioramento della produzione dei contadini nella provincia di Caravaia, focalizzando la nostra attenzione sui contadini della zona.
Purtroppo, dopo 7 anni, il terrorismo di Sendero è arrivato nella nostra e ciò ha comportato tutta una serie di nuove difficoltà di lavoro e di rischi con atti di terrorismo e violenza armata, non solo diretta allo Stato ma anche a quelle forze sociali che rifiutavano la verticalità della dottrina che Sendero Luminoso imponeva allora.
Abbiamo vissuto situazioni drammatiche: persone di chiesa, sindaci di sinistra, leader sindacali impegnati nel sociale e nella chiesa, uccisi.
Tra l’88 e l’89 Sendero ha attaccato il centro vicino al nostro: ha colpito e distrutto tutto. Il loro messaggio, rivolto in questo caso alla Chiesa, era chiaro: abbandonate il Paese, smettetela di predicare e abbracciate la lotta armata. Noi, al contrario, eravamo impegnati nella lotta per recuperare le terre per i contadini della zona di Aricoma. E in quel periodo siamo riusciti a ottenere 30 mila ettari dai latifondi dello Stato, incolti, che costituivano solo un covo di potere locale inefficiente, per consegnarle alle comunità.
Sendero ha approfittato della situazione di grande attenzione da parte dei contadini per strumentalizzare la coscienza e le capacità organizzative dei contadini e imporre la sua dottrina. Il che equivaleva a dire: le terre si conquistano con le armi, attraverso il partito comunista e non con lo Stato che non ha la capacità né l’autorevolezza per partecipare a nessuna pianificazione.
La federazione unica di Ricoma, il sindacato dei contadini che eravamo riusciti a organizzare con grande impegno fino a quel giorno, fu smantellata, poco a poco, e vari dirigenti arrestati, tra i quali Porfilio Suni, personalità importante e riconosciuta della zona che, dopo un attentato di Sendero,venne preso dai militari, torturato e messo in carcere.
Un episodio che ci ha ulteriormente smarrimento per tutto ciò che questo implicava per il nostro lavoro di produzione e commercializzazione nelle varie attività.
La situazione è diventata talmente critica che, alla fine del 1989, abbiamo deciso di tornare in Bolivia. Dico “abbiamo”, perché parlo di me, Berta e dei nostri figli. Una decisione legata a motivi di sicurezza, certo, ma anche perché in quel momento era umanamente impossibile lavorare in Perù.
Così, all’inizio del 1990 siamo rientrati in Bolivia e abbiamo assunto il coordinamento dei progetti e dei volontari Mlal nel Paese.
Questo implicava per me muovermi parecchio, conoscere le diverse realtà: in foresta, giù nel sud con i guaranì, poi su nell’altipiano.
I primi anni sono stati fondamentali per creare alleanze e costruire un sostegno ai popoli indigeni.
Allora, i nostri Progetti di sviluppo erano costruiti sui temi della produzione e commercializzazione, come sui diritti dei popoli indigeni, sulla salvaguardia del territorio, e a sostegno della catena produttiva per i contadini aimarà dell’altipiano, e con un programma di salute comunitaria per lavorare al sud.
Per 8 anni, sempre per conto del Mlal, mi sono occupato di coordinare anche l’area andina, che voleva dire muoversi tra Perù, Ecuador, Paraguay e Bolivia.
Questo mi ha aiutato molto a capire come sia fondamentale il lavoro di coordinamento con le forze sul territorio e anche su come sia essenziale impostare una politica che, più che mirare all’immediato, ai bisogni peraltro legittimi della gente, guardi soprattutto a una politica duratura e a un sistema di alleanza con le realtà popolari, le autorità locali e le istituzioni dello Stato.
Oggi, con Berta e i miei figli, viviamo ancora qui a La Paz.

venerdì 18 febbraio 2011

Il governo boliviano inaugura il nuovo carcere realizzato da ProgettoMondo Mlal

Martedì 22 febbraio, di buona mattina, verrà inaugurato in Bolivia, nella provincia di El Alto “Qalauma”, il nuovo Centro penitenziario per minori, realizzato da ProgettoMondo Mlal, e destinato ad accogliere subito i giovani detenuti tra i 16 e i 21 anni oggi rinchiusi nel girone infernale del grande carcere città di La Paz, il San Pedro.
Una struttura carceraria, quella di Qalauma, realizzata quasi per una scommessa personale. Quella del nostro volontario storico in Bolivia, il bergamasco Riccardo Giavarini, che ha fortemente voluto raggiungere il suo obiettivo, contro tutto e tutti. Un progetto costruito con passione e dedizione su una spinta urgente: restituire ai più giovani in conflitto con la giustizia, la dignità anche di essere detenuto, e la possibilità di un futuro reinserimento sociale, nel pieno spirito con cui l’Ong opera in America latina da 44 anni: favorire e promuovere la crescita dei più giovani, appartenenti alla fasce maggiormente vulnerabili e a rischio sociale, per accompagnarle nella crescita personale e professionale. Perché diventino protagonisti, prima di tutto del proprio futuro, e poi collaborino alla costruzione di un futuro per la loro comunità e Paese.
Il cammino per arrivare a questo giorno non è stato per niente facile. Quando, tanti anni fa, il nostro Riccardo Giavarini cominciò con la posa del primo mattone, non mancò lo sconcerto e la paura. Una Ong di cooperazione costruisce poco per principio, figurarsi costruire un penitenziario modello... E poi per conto di chi e con che cosa?
Poi la storia è andata avanti, piano, tra speranze e disillusioni. Fino all’adesione dei primi partner stranieri (di Spagna, Germania e Svizzera) e poi con l’attenzione severa ma crescente del nostro Ministero degli Affari Esteri.
Centinaia le persone che si sono avvicendate, grazie alla disponibilità, competenza e autorevolezza di Riccardo Giavarini nel mondo della giustizia boliviana. In tanti hanno fatto esperienze memorabili seguendo la sua guida e il suo cammino.
Oggi Riccardo comincia a raccogliere quanto ha seminato.
Alla presenza dei massimi rappresentanti del governo e del ministero boliviano, del vescovo di El Alto, del presidente di ProgettoMondo Mlal, il veronese Mario Lonardi volato in America latina per l’occasione, martedì il Centro sarà finalmente una struttura della comunità e aprirà le porte ai nuovi 150 giovani inquilini.
Qui a Qalauma la vita carceraria sarà diversa. Per loro: due sezioni distinte (femmine e maschi), un’equipe multidisciplinare che li accompagnerà passo passo per l’intero processo di recupero, una scuola di formazione professionale e avvio al lavoro, un ambulatorio medico-dentistico e un pronto soccorso, un laboratorio di panificazione, una serra per garantire un’alimentazione adeguata e sostenibile, un piccolo allevamento di animali da cortile, una falegnameria per l’autocostruzione, un campo da basket e, infine, un vero e proprio spazio teatro per i momenti ricreativi ed espressivi.
Le stesse guardie carcerarie saranno debitamente formate per garantire motivazione e risposte adeguate alla situazione.
Il taglio del nastro di martedì, benché lungamente atteso, non potrà mai costituire un traguardo. Perché in realtà la vera sfida comincia da mercoledì.

Per sostenere il progetto Qalauma, versamenti su
c/c Banca Popolare Etica IT 54 F 05018 12101 000000513290 – causale “Progetto Qalauma

Dualità e poesia, arte e volontariato. Il libro di Maria Altamura per le scuole di Haiti

I versi di Maria Altamura (“Dualità”, edizioni Albatros, 11.50 €) sono fatti di passione. Una passione per tutto ciò che la circonda, e che lei cura con un affetto indefesso e una disponibilità indistruttibile ma che, addentrandosi nella lettura, si rivela passione per la vita stessa: per tutto ciò che di infinitamente piccolo ha ricevuto fin’ora e per tutto ciò che di smisuratamente grande (forse) nel frattempo le è stato negato.
Altamura, poco più che quarantenne, ha già visto, provato e realizzato molto. Nel campo del sociale è un punto di riferimento della comunità di Alba, dove dalla provincia di Reggio Calabria si è trasferita a vivere molti anni fa. E nel campo della poesia e della letteratura è già alla quarta pubblicazione, né non le sono mancati riconoscimenti ufficiali, eppure pare intendere la poesia ancora con spirito di servizio. Di chi scrive per coinvolgere gli altri in orizzonti più ampi.
Racconta di sé (e quando lo fa è al massimo della forza poetica) ma dichiaratamente lo fa per sposare le cause grandi del Sud del mondo.
Anche questa pubblicazione è infatti dedicata agli Altri. “Ai bambini e al loro diritto di crescere”, e nello specifico alle comunità haitiane vittime del terremoto del gennaio del 2010 a cui vuole che vada l’intero ricavato della vendita di questo libro, attraverso un programma di ricostruzione di 4 scuole pubbliche a cura di ProgettoMondo Mlal.
E infine nel campo personale si dimostra ancora una volta portatrice di benessere e felicità. E non solo quando, facendo sue le parole di un’ex bambina di strada, nel frontespizio del libro annuncia: "scrivo per quelli che non arriveranno a leggermi, per chi non ha un soldo nemmeno per comprare un pane o un libro di poesie…”, piuttosto quando ti apre le porte senza spingere il battente, quando ti rivolge tutto il suo sguardo senza attendere per forza che tu glielo restituisca. Grazia ed eleganza sono infatti “non voluta” aurea dell’intera raccolta.
E mai, le tantissime immagini evocate nelle sue poesie si fanno cruda realtà. Tutto rimane levitante, dignitosamente abbozzato, o in sapiente equilibrio, senza che l’accenno dolente perda comunque il suo buon sapore di fondo e acquisti magari il peso grave della sofferenza e del mal di vivere.
“Ogni fiore è dolce di primavera e amaro di tenebra, è caldo di parole e duro di silenzio”. Maria accetta e cavalca l’idea stabile di un’interiorità fatta di forze contrapposte che si oppongono e si compensano. Per cui Maria “sa di amore e sa di rabbia, è pioggia e poi sole, infinito e limite” rispetto ai quali si fa scoglio: “scolpito in queste acque, tra la terra e il cielo, immobile, resisto”.

Chi acquista il volume di Maria Altamura, “Dualità”, editore Albatros,
contribuisce a realizzare il progetto “Scuole per la Rinascita di Haiti” di ProgettoMondo Mlal.
info: sostegno@mlal.org

martedì 15 febbraio 2011

La città di Rosario dice no alla segregazione urbana

L’Argentina, così come molti paesi dell’America Latina, è caratterizzata dalla presenza di moltissimi quartieri privati, veri e proprio ghetti per ricchi, circondati da filo spinato, con guardie alle entrare. Luoghi nei quali le persone che se lo possono permettere si autosegregano per proteggere le loro case e per sfuggire all’insicurezza che, a loro modo di vedere, regna all’esterno.
I Country, come vengono chiamati, assomigliano più a caserme o a villaggi vacanze che a centri abitati tanto che, per uno come me che arriva da Vicenza, città in cui capita spesso di passare a fianco della Caserma Ederle, sede dei militari americani, viene spontaneo confondersi.
Le prime volte, appena arrivato spesso, chiedevo ad amici o colleghi di lavoro cosa fossero questi immensi terreni, pieni di casermoni e case, circondati da filo spinato, e molti di loro mi rispondevano stupefatti: “Esto es un country!!”, finché mi sono reso conto di quanto in Argentina sia diffuso questo tipo di “segregazione urbana”.
Il quartiere privato o sorvegliato, di cui abbiamo esempi anche in Italia, è davvero molto comune in questo Paese. Se ne possono trovare di ogni genere, estensione e posizione. La città di Buenos Aires, ad esempio, conta ben 565 Country.
Anche Cordoba è caratterizzata da questi quartieri, tanto che molti esperti e studiosi del tema habitat cominciano a considerare la situazione preoccupante.
Prodotto di una cultura dell’insicurezza, all’interno di un Paese instabile da un punto di vista economico come l’Argentina, questi luoghi di segregazione sono in continuo aumento e segnano violentemente la differenza sociale presente tra popolazione. Inoltre sono un enorme ostacolo all’integrazione e alla possibilità di avere città costruite e vivibili in modo collettivo, e non suddivise in quartieri dei ricchi e in quartieri dei poveri.
Le famiglie che si chiudono nei “country” o “barrios cerrados”, come se entrassero in un altro mondo, in una sfera protettiva, rispetto a tutto ciò che ogni giorno incontrano fuori, è senz’altro il sintomo di un forte disagio sociale e dell’incapacità di un popolo a sentirsi uniti al di fuori delle più banali tradizioni come rimangono quelle del gioco del calcio e delle festività nazionali.
Persone che si autosegregano e che, allo stesso tempo, segregano il resto della popolazione che rimane fuori dai cancelli e dalle reti metalliche. Popolazione che costituisce poi la parte più povera della societá, quella che vive nelle villas in condizioni di vita lontanissime dallo standard minimo di dignità, con molti meno servizi e dunque opportunità concrete di vedere compiuti i propri diritti.
Un fenomeno sociale che ultimamente sta facendo discutere molto in Argentina, con pareri discordanti a favore o contro.
Una novità in questo senso ci arriva però dalla città di Rosario, provincia di Santa Fe, dove, grazie ad un’ordinanza votata dal Concejo Deliberante e promossa da Giros, una ONG integrata nel Movimiento Nacional Campesino, lo scorso 16 dicembre è stata vietata la costruzione di Country nel territorio della città di Rosario. Un risultato importante ottenuto con 2 mesi di lotta e mobilitazione.
María Eugenia Bielsa, legislatrice della città ed esponente della lista Encuentro por Rosario, afferma con orgoglio come questo rappresenti “un passo importante verso un nuovo modo di pensare la città, un esempio per tutto il Paese del fatto che lo spazio pubblico non debba essere privato per nessuno”.
Recentemente le nazioni Unite avevano ammonito l’Argentina, e soprattutto le città di Cordoba, Mendoza, Buenos Aires e Rosario, su come la segregazione residenziale sia un elemento pericoloso che acuisce il disagio sociale delle classi più povere, in quanto rivela e identifica nello spazio urbano le evidenti disuguaglianze sociali presenti nel Paese che poi costringono i gruppi più poveri a vedersi relegati in territori con meno servizio e beni a disposizione.
Speriamo che l’esempio di Rosario sia l’inizio di un processo di cambiamento.

Nicola Bellin
Progetto Habitando
ProgettoMondo Mlal Argentina

venerdì 4 febbraio 2011

Dal pensabile al possibile. Qalauma e la giustizia minorile in Bolivia

Prima di diventare possibile, un’idea, deve poter essere pensabile: deve girare senza freni nella mente del suo creatore, essere plasmata e modificata, fino a quando non trova la forma desiderata, capace di potersi trasformare in realtà. È da questo principio che nasce il nuovo, con cui la società va avanti e indietro”.
È a partire da questa riflessione che Marco Maccarrone, educatore di ACMOS e Libera Piemonte descrive lo stato della Giustizia Minorile in Bolivia, dopo l’esperienza concreta nata dalla partecipazione al primo seminario sulla Giustizia Minorile Restaurativa a La Paz, organizzato da ProgettoMondo Mlal lo scorso novembre.
La realtà boliviana – scrive nella sua relazione - sembra profondamente solcata da contraddizioni e disuguaglianze incredibili. Il Carcere di San Pedro, a La Paz, è ancora oggi la rappresentazione esplicita di un’assenza: assenza di diritti, di pensiero democratico, di reale possibilità di cambiamento.
Il primo dato allarmante è che, di fatto, l'ingresso in carcere di ogni detenuto è soggetto al pagamento di una quota. Questo implica una diversità del servizio, a seconda della disponibilità economica di chi è incarcerato: i criminali più abbienti posso ottenere trattamenti privilegiati, mentre i più disperati vivono in condizioni disumane, a metà strada tra un campo di concentramento e una sistemazione cimiteriale, a partire dal posto letto che somiglia a un loculo.
Una scala gerarchica ben evidente anche all’esterno, dove viene tollerata una sorta di giustizia privata, chiamata “comunitaria”, fatta di pratiche macabre e bestiali, come quella di impiccare fantocci ai pali della luce in segno di avvertimento per i potenziali delinquenti, soprattutto i minori, e come promessa di vendetta privata qualora il monito venisse ignorato.
A queste considerazioni va aggiunto che il carcere di San Pedro, fino a qualche anno fa, era considerato una meta molto apprezzata dai turisti stranieri, addirittura inserita nei percorsi di visita della Lonely Planet. Accessibile con una quota di ingresso pagata direttamente alla guardia carceraria di turno. L’assurdità di questo fenomeno si amplifica se si pensa al fatto che in questo modo è possibile ottenere somme molto consistenti (l’ingresso al carcere può valere circa un quarto della paga di un sorvegliante), senza curarsi dell'aspetto vergognoso che questa operazione rappresenta.

Inserito in questo scenario, il seminario sulla Giustizia Giovanile Restaurativa che si è svolto di recente a La Paz rappresenta la volontà di fermarsi a pensare il possibile, a dare più ampio respiro a quelle riflessioni che portano il seme del cambiamento sociale. Società civile, associazioni socio-educative, esperti e istituzioni boliviane si sono incontrate per ripensare la realtà.
In Bolivia, ad oggi, non esiste un programma effettivo e differenziato per i giovani che delinquono, e il sistema penitenziario nel suo insieme rappresenta ancora una realtà complessa, incapace di garantire il reale recupero della persona. Eppure c’è chi, per un’alternativa, si adopera per costruire il cambiamento. ProgettoMondo Mlal lavora infatti da anni al progetto Qalauma, il primo centro di recupero per i minori in conflitto con la legge.
Attualmente sono oltre 600, i minori tra il 16 e i 21 anni che scontano una pena nelle carceri per adulti, in Bolivia. La legge penitenziaria boliviana (n. 2298) in realtà proibisce che i minori siano detenuti insieme agli adulti, tuttavia non esistono le strutture necessarie per permettere questa divisione effettiva. Se a questo dato si somma il fatto che moltissimi di questi ragazzi si trovano a ricevere pene detentive enormi, senza possibilità di revisione o indulto, la situazione diventa insostenibile. Da qui il dramma dell’immutabilità di pene estremamente severe che, se imposte a giovani boliviani arrestati, si trasformano nella negazione del futuro di questi giovani, nell’impossibilità di riabilitarli, o addirittura nel fattore di degenerazione e peggioramento dei loro comportamenti.
Nulla impedisce di auspicare che la società boliviana intraprenda un percorso specifico per indurre la politica nazionale a colmare le carenze e i vuoti normativi, oltre che le applicazioni degli stessi.
Una speranza che trova qualche spiraglio anche negli interventi dei rappresentanti delle Istituzioni boliviane presenti al seminario. Tra questi Cesar Cocarico, Governatore di La Paz, che ha preso formale impegno, per conto della politica, a partecipare alla nascita e crescita del progetto per la realizzazione del primo carcere boliviano per detenuti minorenni.
Un progetto già in atto con il programma Qalauma avviato da ProgettoMondo Mlal proprio per offrire un’alternativa psico-socio-educativa ai giovani in conflitto con la legge e che attualmente vivono mescolati agli adulti, nei quattro penintenziari di La Paz. A Qalauma si propone un modello educativo volto alla riabilitazione della persona che ha sbagliato e a un suo adeguato reinserimento sociale. Al suo interno non è prevista la presenza di polizia; responsabilità e mutuo rispetto diventano i pilastri di questo modello. Nodo essenziale di questo progetto, vuole essere la relazione con i genitori, dei giovani detenuti: dunque il lavoro degli educatori non sarà rivolto esclusivamente al ragazzo, ma anche alla sua famiglia.
Per permettere ciò, il progetto si articola in tre fasi. L’accoglienza, in primis, che dura circa un mese e si rivolge agli adolescenti che entrano per la prima volta a Qalauma e ha come spazio fisico una parte separata dal resto della struttura. La seconda fase, quella comunitaria, si caratterizza per le attività formative di laboratorio, educazione, responsabilizzazione e per un programma di visite esterne. Infine, la terza fase, cioè quella del reinserimento: i ragazzi svolgono durante il giorno, attività professionali presso istituzioni esterne al centro; in questo modo, si punta a facilitare l’inserimento sociale e lavorativo.

Il nuovo centro occupa quattro ettari di terreno e si divide in più costruzioni. In accordo con le autorità pubbliche, la polizia penitenziaria è dislocata esclusivamente lungo il perimetro dell’area. All’interno della struttura, sono previsti ambienti diversi, oltre alla normale divisione residenziale, tra maschi e femmine: uno spazio di infanzia, per i bambini delle madri detenute; l’area di lavoro (falegnameria, coltivazione, allevamento e artigianato) con l’obiettivo di creare autosufficienza economica per la collettività della struttura, oltre che una formazione rivolta al singolo; una biblioteca, un centro informatico per la formazione scolastica superiore; un’area polifunzionale per le attività sportive e ricreative; un’area spirituale, per le diverse credenze religiose; infine, un’area speciale, destinata agli adolescenti che possono presentare difficoltà di socializzazione, crisi di astinenza dovute al consumo di droga e alcool, o che esprimono qualche scompenso psicologico per cui è richiesto un accompagnamento specifico.

Un progetto di così ampio respiro sembra quasi un miraggio se si pensa alla cornice descritta in precedenza. Eppure, cambiando luoghi e tempi, anche lo scenario italiano è stato protagonista di enormi cambiamenti su questo fronte e il sistema penale ha attuato e sta attuando nuove modalità d’intervento. Ed è interessante constatare che, a distanza di tempo e di spazio, sia in Italia che in Bolivia ci siano movimenti nati con l’obiettivo da un lato di evitare, o ridurre, i rischi di una stigmatizzazione causata da un contatto con le strutture penali, dall’altro di contribuire all’educazione del minore attraverso un’acquisizione di responsabilità e favorire percorsi di socialità.
I diritti e la reale possibilità di partecipare alla vita comunitaria devono poter partire proprio da quei luoghi che rappresentano la marginalità, per non rischiare che la democrazia venga vissuta solo da qualcuno. Per questo motivo pensare al possibile rappresenta una sfida continua, “di impossibile c’è solo ciò che non tentiamo”.

Marco Maccarrone
Educatore di ACMOS e Libera Piemonte


Per la relazione completa del seminario clicca qui

giovedì 3 febbraio 2011

ProgettoMondo Mlal 2011. Progetti e partenze

Nuovi progetti al via e altrettanti operatori pronti a raggiungere i diversi paesi di destinazione distribuiti tra America Latina e Africa. Un 2011 che per ProgettoMondo Mlal significa l’avvio di 7 nuovi progetti di cooperazione allo sviluppo che spaziano da Haiti al Marocco, passando per l’Honduras, il Perù, la Colombia, la Bolivia fino a raggiungere la stessa Europa.
Si va dalla difesa dei diritti umani dei migranti vittime del traffico illegale in Perù (Perù altrove), alla promozione dei diritti dei bambini lavoratori tramite un progetto in rete (Il mestiere di crescere) che vede coinvolti nel progetto regionale tre Paesi: Perù, Colombia e Bolivia.
Di infanzia si parla anche in Honduras, con un programma pensato apposta per difenderne i diritti nelle aree rurali del Paese (Infanzia in rete), e in alcuni paesi europei (Italia, Spagna, Slovenia e Cipro) dove con il nuovo “We are the planet” si punta a promuovere il protagonismo di bambini e adolescenti sui temi del Settimo Obiettivo del Millennio.
Formazione e minori sono poi protagonisti anche in Marocco, dove con il progetto “Bambini in viaggio” la scommessa è lavorare con i più piccoli che fin dai primi anni di scuola rischiano di essere vittime di un “sogno” migratorio rischioso e lontano dalla realtà.
Ma in Marocco l’attenzione è posta anche sui diritti delle donne, per rafforzarne le competenze in ambito giuridico e sulle questioni di genere, anche appoggiandone la partecipazione alla vita politica e alla promozione dei loro diritti e delle pari opportunità (Donne in rete).
Del tutto innovativo e all’avanguardia invece il nuovo progetto appena avviato ad Haiti. Proprio là dove la natura poco più di un anno fa ha determinato la distruzione di gran parte del Paese, e dove per questo è più che mai urgente avviare una ricostruzione ben pianificata e duratura nel tempo, la nostra organizzazione – su impulso anche delle nuove guide linea dell’Unione Europa - ha dato il via a un programma specifico (Nuove Energie) per aumentare le opportunità di accesso della popolazione a fonti di energia alternative e per garantire che siano sostenibili ed ecocompatibili per l’uso domestico. Il progetto ha poi l’obiettivo di sostenere lo sviluppo del settore agricolo incrementando la qualità di vita delle famiglie rurali. Tutto ciò riducendo l’impatto ambientale generato dal modello energetico attuale incentrato sull’utilizzo di legna e carbone responsabile del forte disboscamento, che potrà quindi essere contrastato o quanto meno arginato anche con l’introduzione di tecnologie di produzione energetica alternative come, ad esempio, il fotovoltaico.

Una serie di progetti che richiedono l'impegno di nuovi capiprogetto, pronti a lasciare l’Italia anche per tre anni pur di dare il proprio contributo alla cooperazione internazionale.
La prima a partire, già martedì prossimo, sarà la giovane Daniela Grisi, capoprogetto di “Perù Altrove”, un programma che ben si sposa con la sua formazione tutta incentrata allo studio e all’analisi delle “conseguenze” dell’incontro/scontro tra mondi culturali differenti.
Il progetto ha infatti come obiettivo la riduzione dei livelli di vulnerabilità legale, sociale ed economica dei migranti peruviani, derivata dai flussi illegali di migrazione clandestina e dalla tratta di persone verso Europa, Italia e altri paesi dell’America Latina.
Poi c'è Arnaldo Massaco Cubi del nord dell'Angola, pronto a raggiungere Haiti per impegnarsi nel nuovo programma avviato dalla nostra organizzazione per garantire la sicurezza alimentare e la gestione sostenibile delle risorse naturali nelle comunità rurali del Centro e Nord Est di Haiti (Piatto di Sicurezza 2). Arnaldo è un agronomo, determinato a rendersi utile allo sviluppo rurale dei paesi del Sud del mondo e a impegnare ora tutte le sue competenze professionali sull'isola caraibica.
Con loro sono già stati confermati anche coordinatori già in seno alla nostra organizzazione che, con la chiusura di progetti in altri paesi, prendono ora la guida l’uno di “Scuole per la rinascita” ad Haiti (Marco Bordignon), l’altro del mestiere di Crescere in Perù, Colombia e Bolivia (Marco De Gaetano).

Piatto di Sicurezza 2. Arnaldo Cubi si presenta

Arnaldo Massaco Cubi è il responabile del nuovo progetto approvato dall'Unione Europea per garantire la sicurezza alimentare e la gestione sostenibile delle risorse naturali nelle comunità rurali del Centro e Nord Est di Haiti (Piatto di Sicurezza 2). In poche righe e qualche botta e risposta si presenta.

Sono nato a Henda, un villaggio a 8 km da Uige, nel nord dell’ Angola, nel 67, da una famiglia di agricoltori. Mio papà aveva ereditato da suo padre, morto improvvisamente per avvelenamento, alcune aziende di piantagioni di caffè.
Dunque, per esigenze famigliari, ho scelto di fare l’agronomo. Cosi sono partito per il sud perché, al nord, non c’erano scuole.
Sono diventato perito agrario e ho subito cominciato a lavorare per il Ministero dell’agricoltura a Luanda per la cintura verde della capitale.
Presto mi sono reso conto che avevo bisogno di arricchire il mio bagaglio accademico perché le responsabilità erano molte e di alto livello.
Così ho deciso di partire per la Francia per studiare sviluppo rurale e agricoltura, nella Loira a Saint Etienne. Quindi ho proseguito nella formazione a Roanne e Montpellier.
Nel 1993 ho ottenuto il mio BTS agricolo (laurea breve), ma avevo deciso di proseguire comunque il ciclo perché in Angola mi sarebbe stato utile. Non avendo alcuna borsa di studio, me lo hanno rifiutato. Allora, per non perdere altro tempo ho deciso di attivare i contatti a Roma per fare una formazione in economia agraria di livello universitario.
In questo modo, dal 1993, ho iniziato a studiare a Viterbo come studente lavoratore.
Le difficoltà sono aumentate in modo esponenziale quando mi sono reso conto quanto fosse difficile coniugare la vita da studente con quella da lavoratore.
E per 4 anni ho interrotto gli studi universitari per lavorare e per frequentare della formazione anche al di fuori dell’università di agraria.
Nonostante le difficoltà puramente finaziarie, ho frequentato l’università di Viterbo con gioia anche perché poi, nel periodo della laurea, mi sono trovato a collaborare con diversi tipi di organismi che, fino alla chiusura del percorso nel 2004, mi hanno aiutato a crescere nella mia esperienza italiana.
Nel 2007 ho deciso di fare un master in economia (logistica integrata e supply chain mgt) a Verona, perche volevo approfondire certe materie legate ai flussi di mercadorie e dell’informazione, visto che la mia specialita in agraria è legata al mercato dei prodotti agricoli. La scelta del percorso agrario si avvicina alle mie aspettative professionali che sono di rendermi utile allo sviluppo rurale. Obiettivo che vorrei realizzare, con fatica ma anche con molta passione.


Cosa ti ha spinto ad aderire a ProgettoMondo Mlal?
La voglia di sempre. Cioè di fare qualcosa che sia legata alla solidarietà e allo sviluppo rurale. Inoltre, questo progetto specifico di Haiti raccoglie così tante sfide per le quali credo valga la pena mettere a frutto quanto fa già parte delle mie competenze professionali.
In più, avevo buone informazioni riguardo a ProgettoMondo Mlal.

Cosa ti aspetti da questa esperienza professionale?
Di poter essere utile.

Come ti proponi di contribuire al nostro ProgettoMondo Mlal?
Come già detto, spero di essere in grado di rendermi utile, ma sopratutto spero che, quanto realizzeremo insieme a Progetto Mondo Mlal, possa avere un senso nella vita dei beneficiari e possa servire come esempio per coloro che, in futuro, potranno essere chiamati a fare ciò che, pensiamo e speriamo, di continuare a realizzare ad Haiti.

Perù Altrove. Daniela Grisi si presenta

Daniela Grisi è la responabile del nuovo progetto per la difesa dei diritti umani dei migranti vittime del traffico illegale appena avviato in Perù (Perù Altrove). In poche righe e qualche botta e risposta si presenta.

Ho 30 anni, sono originaria di Torre del Greco (NA) ma abito a Verona con la mia famiglia dal 1986. Ho studiato Scienze della Formazione all’Università di Verona personalizzando il mio piano di studi in modo da poter focalizzare la mia formazione in materie psicologiche e antropologiche, materie che ho poi deciso di approfondire frequentando corsi di studio post-laurea all’estero.
Oltre alla mia famiglia e alle persone per me più care, ho sempre dato molta importanza al lavoro nella mia vita. Il lavoro per me è infatti una fonte di soddisfazione e di realizzazione personale. Per questi motivi sono in grado di rendere al meglio soprattutto quando mi sento motivata e coinvolta dagli obiettivi e dall’ambiente in cui mi trovo. Le mie più grandi passioni sono i cavalli, viaggiare, leggere, scrivere e conoscere cose nuove.


• Cosa ti ha spinto ad aderire a ProgettoMondo Mlal?
Frequentando le lezioni del corso di Psicologia Sociale del Prof. Inghilleri ho scoperto la realtà della cooperazione internazionale e dei vissuti dei cooperanti che si trovano catapultati in un’esperienza di vita che risulta così intensa e significativa da far sì che le persone che tornano a casa al termine dei progetti non siano più le stesse, o meglio, non vedano più il mondo nello stesso modo. Studiare l’esperienza dei cooperanti, e delle “conseguenze” dell’incontro/scontro tra mondi culturali differenti, ha fatto nascere in me una forte curiosità.
Sono così arrivata a ProgettoMondo Mlal per svolgere il periodo di tirocinio previsto dal percorso di studi universitari, presso l’Ufficio Progetti. Questa esperienza, continuata poi con una breve collaborazione occasionale, non solo mi ha permesso di vedere e contribuire alle fasi di nascita e sviluppo delle proposte di progetto; ma mi ha anche fatto conoscere il punto di vista delle Ong, e in particolare di ProgettoMondo Mlal su quelle che sono, o dovrebbero essere, le motivazioni e caratteristiche della cooperazione internazionale.
Allo stesso tempo aver conosciuto ProgettoMondo Mlal ha fatto nascere in me l’idea, e ne ha permesso l’attuazione, di fare una ricerca sull’esperienza del rientro come vissuta dai cooperanti al termine dei progetti che ha costituito la base per la mia tesi di laurea e per successive proposte di ricerca accademica.
Dal 2004 mi sono fisicamente allontanata da ProgettoMondo Mlal, ma ne ho sempre seguito gli sviluppi ed i cambiamenti. Inoltre, ProgettoMondo Mlal mi ha accompagnato durante i miei studi post-universitari all’estero, dove mi è stato possibile presentare l’esperienza dei volontari rientrati studiata per la mia tesi a diverse conferenze internazionali. Ora che la fase “accademica” della mia vita si è conclusa, pensare di rientrare nel mondo del lavoro non poteva escludere un tentativo di riavvicinamento a ProgettoMondo Mlal. Tentativo che ha avuto un seguito inaspettatamente positivo e che mi consente ora di partire come coordinatrice per un progetto sui diritti umani in Perù.

• Cosa ti aspetti da questa esperienza formativa?
Collaborando con l’Ufficio Progetti di ProgettoMondo Mlal nelle varie fasi di stesura ed elaborazione delle proposte di progetto, ho sempre sentito la tentazione di poter essere io a mettere in pratica sul campo quelle attività previste e descritte.
Cogliere l’occasione che mi è stata offerta costituisce per me una sfida personale e professionale, una sfida che ho desiderato per molto tempo e alla quale non potrei rinunciare. Non è stato per me difficile comprendere, e imparare a condividere, i valori che guidano tutte le attività di ProgettoMondo Mlal, con questa esperienza mi auguro di apprendere ad impersonarli nel modo stesso di lavorare non solo per i beneficiari del progetto, ma soprattutto con loro.
Mi auguro infine di rientrare da questa esperienza personalmente e professionalmente arricchita e preparata a un possibile futuro professionale nella Cooperazione Internazionale.

• Come ti proponi di contribuire al nostro ProgettoMondo Mlal?
In questo momento, il mio più grande desiderio è quello di riuscire a iniziare e portare avanti con efficacia le attività previste dal progetto per poter raggiungere con successo gli obiettivi prefissati.
Mi auguro inoltre di essere in grado, lavorando, di impersonare e mettere in pratica quelli che sono i valori che guidano ProgettoMondo Mlal, così da favorirne la conoscenza e condivisione.

mercoledì 2 febbraio 2011

Lotteria per Haiti: vincitori e premi. Una piccola idea per una grande solidarietà

Oltre 340 biglietti ben distribuiti tra belgi, francesi e italiani e una ventina di premi assegnati. Non c’è che dire, la tombola per Haiti lanciata dal Belgio da Aurélie, sorella del nostro cooperante sull’isola Nicolas Derenne, è stata un vero successo. Con più di 1700 euro complessivi raccolti, la solidarietà ancora una volta ha dimostrato di essere sempre pronta a intervenire là dove ce n’è più bisogno.
ProgettoMondo Mlal ha dato il via al progetto “Scuole per la rinascita” subito dopo il terribile terremoto che il 12 gennaio dello scorso anno ha completamente devastato l’isola caraibica. Una realtà già sofferente anche prima della catastrofe naturale, e in cui la nostra organizzazione era già presente da oltre una decina d’anni con progetti di cooperazione sulla sicurezza alimentare realizzati proprio dove oggi sta ricostruendo 4 scuole e accompagnando nel ritorno alla normalità un migliaio di bambini con i loro insegnanti e i famigliari.
“Ho avuto l'idea di fare la tombola perche il mio compleanno coincide proprio con il giorno del terremoto ad Haiti”, fa sapere la giovane Aurélie. “Volevo fare qualcosa per l’isola, ma non avrei potuto raccogliere tanto da sola. Amici e familiari si sono dati un gran da fare per diffondere l’iniziativa tramite passaparola e raccogliere i fondi con la lotteria. Mentre mio fratello Nicolas mi ha fatto arrivare a Bruxelles del tipico artigianato haitiano da destinare ai vincitori dell’estrazione”.
Il 30 gennaio scorso, a casa di Aurélie, i numeri fortunati sono stati estratti da un cappello, come nelle migliori tradizioni, e tra i 20 vincitori anche un paio di italiani, Lucia e Edoardo, che hanno partecipato alla lotteria attraverso i nostri canali.
“Non immaginavo di raccogliere tanto – dice ancora entusiasta la sorella del nostro Nicolas -. Qualche volte vale la pena di portare avanti anche le piccole idee, specie se possono trasformarsi in un autentico gesto di solidarietà”.

martedì 1 febbraio 2011

Buone pratiche di sostenibilità a Terra Futura

Chi può decidere delle risorse della Terra? Chi stabilire quali uomini e quali popoli possano goderne più di altri? E ancora, chi decretare dove e cosa produrre? Di buone pratiche di sostenibilità e cura dei beni comuni si parlerà nella nuova edizione di Terra Futura, che si terrà a Fortezza da Basso (Firenze) dal 20 al 22 maggio. A dieci anni dal primo World social Forum, l’evento della sostenibilità mette quindi al centro “La cura dei beni comuni”. Una cura che - considerato il disinteresse evidente o l’incapacità dei governi e delle istituzioni di farvi fronte - è sempre più nelle mani dei cittadini e delle organizzazioni.
Una tematica che sta particolarmente a cuore anche a ProgettoMondo Mlal, impegnata in programmi di edilizia popolare e sviluppo locale partecipativo, come quello in corso nelle province di Cordoba e Santa Fe in Argentina (“Habitando”), ma anche in progetti come quello appena avviato ad Haiti (“Nuove energie”) a partire dalle nuove politiche ambientali promosse dall’Unione Europea a favore dei paesi in via di sviluppo.

Nel 2010, secondo il Global Footprint Network, si è varcata la soglia critica oltre la quale il consumo globale delle risorse naturali ha superato il tasso con cui la natura le rigenera. Il ritardo è già grave e una gestione finalmente responsabile e sostenibile non si può più rimandare: oltre all’irrimediabile danno ambientale, altrimenti, c’è anche il rischio che vengano meno molti diritti come la salute, l’equità sociale, il lavoro, la sicurezza, l’educazione e l’informazione… Così si legge nel Position Paper, il documento condiviso che riassume la visione politica dei partner di Terra Futura
«Ciò che Terra Futura chiede da anni - spiega Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, – è un nuovo contratto sociale “a responsabilità collettiva”. Le contraddizioni del modello di sviluppo attuale se da una parte generano continue crisi dall'altra hanno prodotto pratiche e idee di economia di mercato basate sulla responsabilità, la relazione, la sostenibilità. Finalmente la necessità di riconvertire l’economia in modo partecipato e democratico e in ottica ecologica e sociale, è avvertita come un’esigenza e un’opportunità concreta da parte di settori sempre più ampi della società civile».