Vorrei scrivere al Papa Francesco per dirgli di includere nel libro dei santi una ragazza che ho conosciuto in questi ultimi tempi.
Non è una santa uscita da un convento, ma una sediecenne che ha appena messo piede fuori dal carcere maschile di San Pedro a La Paz.
Non è una santa che ha fatto i voti di castità, di obbedianza o di povertà, ma una bambina ormai cresciuta, che a soli 7 anni è stata violata sistematicamente dal cugino e dal padrino.
Non credo che sappia recitare il Padre Nostro o l’Ave Maria, dato che suo padre da quasi 15 anni è in carcere e sua madre l’ha venduta a un cliente adulto per soddisfare i suoi capricci sessuali in cambio di favori.
Non è una santa che ha raccolto migliaia di adesioni, o di devoti, o di ammiratori, dato che molti, tanti stolti l’hanno resa oggetto di divertimento sulla stampa e di morbosità sensazionalistica.
Il suo caso ha messo in ridicolo le autorità giudiziarie, impotenti e incapaci di gestire la violenza all’interno delle carceri.
Non è una santa che a un certo punto della sua vita ha scelto radicalmente di servire Dio, ma un essere umano trasformato dai detenuti in oggetto di scambio e di piacere, al costo di un euro versato al padre che viveva del suo corpo e della sua anima.
Non è una santa che ha preferito il martirio piuttosto di essere violentata, ma che ha assimilato nel suo corpo e nel suo spirito la tortura della violenza degli adulti pur di aggrapparsi alla vita.
Non è una santa vergine, dato che in almeno due occasioni ha dovuto abortire perchè obbligata da chi vuole nascondere il peccato dell’impunità e della codardia.
Eppure Jhaciel è un miracolo vivo.
Il fatto stesso che sia viva dopo quello che ha vissuto è un vero miracolo, sufficiente per metterla sugli altari. La settima scorsa, nella casa famiglia “La Speranza” a El Alto un bambino di 12 anni, che aveva alle spalle una storia simile, si è impiccato al suo letto a castello. Anche lui è un santo.
Jhasiel, mi ha raccontato suo papà in cella una mattina, è cresciuta in carcere da quando aveva un anno e mezzo con la sorellina di pochi mesi, Yaqueline. La mamma sapendo che suo marito doveva restare dietro le sbarre per 30 anni, dopo qualche visita gli ha lasciato due delle tre figlie, per rifarsi una vita con un altro uomo, o meglio con altri uomini.
Nel carcere di San Pedro a tutt’oggi ci sono 187 bambini e bambine che vivono con i padri reclusi.
All’interno della struttura detentiva c’è un asilo nido per i piú piccoli, gestito da un’istituzione italiana. I piú grandicelli, invece, escono al mattino a vanno in una scuola vicina, per rientrare in cella al pomeriggio, proprio come se fosse casa loro.
Quando Jhaciel aveva 10 anni, la mamma, con la complicità del suo amante, l’ha rapita mentre usciva dalla scuola e l’ha portata a Oruro, cittá altipianica e mineraria a circa 230 Km da La Paz. Qui l’ha prestata al suo amante, in cambio di soldi e altri beni materiali, finché, dopo qualche mese, Jhasiel è riuscita a scappare da Oruro e a ritornare da sola La Paz dove, presentandosi alla porta della carcere, ha supplicato la polizia di poter rientrare da suo padre.
Oggi Jhasiel ha 16 anni ed è in custodia nella nostra casa famiglia a El Alto dove, con altre 15 adolescenti, sta cercando di superare il trauma della violenza per entrare nel prato verde della dignità, della libertà, della voglia di vivere e nella sete di esercitare i diritti fondamentali.
Questi sono i veri miracoli che non hanno del senzazionale, come quello di San Gennaro, ma che solo ribadiscono che la vita piena e abbondante è il miracolo più grande e più bello che ci sia.
Ma il miracolo che credo sia ancora più profondo è che la vita di Jhaciel, Maria, Guadalupe, Blanquita, Anabel, Rosa, Paola, Katerin, Clara, Regina, Magalí, Kelia, Juana, Micaela, María, Celena, (sono le 16 adolescenti che in questo momento vivono nella nostra casa familia) stanno cambiando noi operatori: ci sollecitano uscire dal guscio dell’indifferenza per inaugurare una nuova primavera nella nostra vita facendo della solidarietà lo stile del percorso cristiano.
I documenti pastorali dei vescovi latinoamericani di Medellin, Puebla, Santo Domingo e di Aparecida parlano intensamente del volto sofferente di Cristo in mezzo a noi e citano esplicitamente i gruppi di bambini di strada, mamme abbandonate, operai sfruttati, indigeni emarginati, gente che ha perso l’orizzonte e che rappresenta lo spazio privilegiato dell’amore di Dio in mezzo a noi.
Jhasiel è uno di questi volti, che ci interroga, ci scombussola e ci chiama a curare le ferite e a interessarci della sua evoluzione.
Jhasiel, o meglio Santa Jhaciel, non chiede a noi lacrime, non chiede nemmeno una preghiera, nè tantomeno di entrare nel libro dei santi. Ci chiede solo di vivere intensamente la paternità e la maternità.
Riccardo Giavarini
ProgettoMondo Mlal Bolivia
martedì 19 novembre 2013
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