“Le case dei minatori, annerite anch'esse, davano direttamente sul
marciapiede e conservavano ancora l'intimità e le dimensioni delle case
di
cento anni prima.(…) e macchia dopo macchia, di mattoni rossastri e
crudi, si giungeva alle nuove colonie minerarie. Queste
stavano talvolta nelle cavità e talvolta si ergevano orribilmente
brutte a
seguire la linea dei pendii. Nel mezzo stavano i resti laceri della
vecchia
Inghilterra, dell'Inghilterra delle diligenze e delle graziose casette,
l'Inghilterra di Robin Hood, dove i minatori erravano con la tristezza
di chi
sente soppresso in sé l'istinto alla caccia. Inghilterra, mia
Inghilterra! Ma
qual è la mia Inghilterra?”
Mentre le nostre jeep arrancano lungo le strade sterrate
dentro le comunità dell’Altopiano di Apolobamba, non posso fare a meno di
riportare alla memoria le impressioni della Lady Chatterley di D. H. Lawrence mentre
questa assiste sgomenta alla desolazione ambientale e umana che caratterizzano
le campagne delle Midlands, devastate dalla attività mineraria e dalla sete di
profitti della classe dirigente inglese durante gli anni immediatamente successivi
alla Prima Guerra Mondiale.
Le similitudini con l’Inghilterra degli
anni ’20 descritta da Lawrence sono
notevoli: attraversando le comunità dell’ Area Naturale d’Apolobamba osservo le
medesime squallide e spoglie pareti di mattoni rossi a vista delle nuove case
dei minatori, le medesime strade grigie piene di gente immobile e spettrale,
come in attesa di un treno che non passa sotto i medesimi cartelloni
pubblicitari scoloriti e sgualciti di articoli occidentali simbolo di progresso
e benessere distribuiti un po’ ovunque nei poveri caseggiati; uscendo da alcuni
villaggi di minatori sembra di approdare in un paesaggio lunare, caratterizzato
da crateri scavati nella terra e da montagne di detriti ammassati al lato della
strada, opera dell’attività delle cooperative minerarie nascoste chissà dove
fra i monti circostanti. Di queste ultime gru, ruspe ed altri macchinari
abbandonati qua e là rappresentano per il visitatore l’unico segno vestigiale
del loro passaggio.
Allontanandosi dagli abitati lungo le strade ciottolose che
tagliano dritte come ferite l’altopiano, si riesce finalmente a dare un poco di
sollievo alla vista: i segni di questa umanità da fine del mondo scompaiono, si
attenuano e lasciano spazio al vuoto calmo della radura, all’armonia
dell’orizzonte disegnato dalle montagne della Cordigliera di Apolobamba: ampi
spazi pianeggianti popolati unicamente da greggi di lama e d’alpaca fra i quali
se si aguzza bene la vista, si possono distinguere alcuni animali un poco più
leggeri ed eleganti, più sottili: le vigogne.
La
vigogna è la più piccola specie fra i camelidi sudamericani. Pesa fra i 35 e i
50 kg e misura fino ad 1 m al garrese. Il collo lunghissimo le permette di individuare
i nemici a distanza mentre grazie al mantello color cannella sul dorso e bianco
sul ventre riesce a mimetizzarsi fra le sterpaglie dell’altipiano.
È un animale selvatico da cui attraverso i secoli è derivato per
addomesticamento l’alpaca il quale riesce, grazie al suo fine vello e all’alta
concentrazione di eritrociti nel suo sangue, a sopportare le condizioni di
freddo e bassa pressione tipiche delle regioni della Puna altoandina.
È presente oltre i 3000m s.l.m., fra la latitudini 9°30′S, in Perù fino alla
latitudine 29°S fra Cile e Argentina, aree che coincidono con le regioni
popolate da Aymara e Quechua
.
Negli anni precedenti
purtroppo il prezzo della loro lana ha rappresentato un pericolo per questi
buffi camelidi che hanno quasi rischiato di estinguersi poiché vittima di
bracconaggio indiscriminato. Dopo molti sforzi volti alla loro conservazione
oggi è un animale fuori pericolo di estinzione e dal 1997 fanno parte
dell’appendice 2 del CITES (Convention on International Trade of Endangered
Species), e possono essere
catturate a tosate per la loro fibra purché in maniera sostenibile e rispettosa
del loro benessere.
Tutto il progetto
Qutapiquiña è incentrato maggiormente proprio su questo buffo camelide e su tutto
ciò che gli gira attorno come la tutela del suo habitat, lo sfruttamento sostenibile
della sua preziosa fibra e il potenziamento delle capacità di gestione da parte
delle popolazioni locali.
Quando ho iniziato la mia attività di volontario per ProgettoMondoMlal
non avevo la minima idea oltre che sulla vigogna, di quanti e quali fattori un
progetto di cooperazione arrivasse a considerare, di quali realtà e di quante
variabili ci fossero da conoscere e quanti attori da coinvolgere ed armonizzare.
Per fortuna nella prima calda settimana di dicembre ho
avuto per la prima volta l’opportunità di addentrarmi di persona dentro tutto
questo universo che è la cooperazione allo sviluppo e di poter conoscere
davvero il progetto nel suo insieme e nella sua complessità.
Sono salito sull’altipiano con Aurelio e Anna, i cooperanti
della nostra ONG, che questa volta si vedono impegnati nel difficile compito di
esporre ai referenti europei di cooperazione, Meritxell Gimenez Calvo,
recentemente nominata Jefe de Cooperación Adjunta, e
Emmanuel Hondrat, obbiettivi e risultati del progetto proprio nei luoghi dove
si era intervenuti.
Con noi c’erano anche alcuni dei rappresentanti dei nostri
partner di progetto, l’associazione boliviana locale AIQ, (Asociación Integral Villa San Antonio de
Quitapiquiña) e la ONG britannica Soluciones
Prácticas.
Il progetto Qutapiquiña
è appoggiato in larga misura dall’Unione Europea che da anni finanzia progetti
di cooperazione in Bolivia e nel resto del mondo; infatti gli obbiettivi di Qutapiquiña
sono ampiamente complementari e ricalcano la filosofia d’intervento del progetto
bilaterale Ue-Bolivia PACSBIO, Programa
de Apoyo a la Conservación Sostenible de la Biodiversidad (Programma di
Appoggio alla Conservazione Sostenibile della Biodiversità). Quest’ultimo si trova nella cornice del Programa de Apoyo al Sistema Nacional de Áreas Protegidas (Programma
di Appoggio al Sistema Nazionale di Aree Protette) impegnato in 22 aree
protette nazionali, inclusa l’ANMIN-Apolobamba, che ha lo scopo di preservare
la biodiversità e migliorare le condizioni generali di vita delle popolazioni
locali.
Qutapiquiña che col suo obbiettivo generale dichiara per
l’appunto di voler aumentare il tenore di vita degli abitanti dell’area
protetta attraverso un uso responsabile delle popolazioni di vigogne e di tutte
le altre risorse naturali.
È interessante ricordare che l’UE ha stanziato solo per
PACSBIO 18 milioni di euro,
un notevole finanziamento che viene assegnato al Tesoro General de la Nación (TGN) dello stato boliviano in più
aliquote anziché in un’unica tranche, le quali vengono elargite, man mano che i
vari obbiettivi vengono raggiunti dal governo locale, nei vari settori di
progetto secondo il metodo del APS, Apoyo
Presupuestario Sectorial (Appoggio al Bilancio di Previsione
Settoriale). L’APS per lo meno in Bolivia, è stato usato fino ad adesso in
maniera molto fruttuosa dall’UE in vari ambiti, come nella lotta contro la
povertà attraverso generazione di
opportunità economiche per micro e medie imprese, nell’appoggio alla strategia
boliviana nella lotta al narcotraffico e nello sfruttamento sostenibile delle
risorse; solo nel periodo 2007-2013 infatti la cooperazione bilaterale europea
in Bolivia ha previsto 249 milioni di euro.
Tornando al progetto gli obbiettivi previsti sono quattro e
sono distribuiti fra i vari attori che partecipano alla loro realizzazione.
Il risultato numero uno è affidato a Soluciones Prácticas con la
collaborazione di AIQ ( Asociación Integral Villa San Antonio de Qutap`iqiña)
e prevede il potenziamento della gestione sostenibile delle risorse naturali
(suolo ed acqua) a favore delle popolazioni di vigogne e altri camelidi da
parte delle comunità locali che le gestiscono.
L’habitat più importante per la vigogna è infatti costituito
dai bofedales o vegas,
praterie umide che rappresentano da sole la prima fonte foraggera di questo
camelide e degli altri camelidi domestici, sebbene rappresentino solo il 5,4% di
tutta l’Area Protetta.
Julieta Vargas di Soluciones Prácticas ci porta davanti ad uno degli invasi artificiali che qui chiamano qutañas costruito, nell’ambito del progetto, nella parte alta del
comune di Pelechuco per trattenere le acque superficiali; esordisce parlandoci proprio dei bofedales che senza accorgercene
stiamo calpestando: questi appaiono come una distesa di morbidi cuscinetti
verdi che Julieta ci racconta essere derivati dall’affioramenti di falde
freatiche e da depressioni più o meno pianeggianti del terreno dove le acque
confluiscono. Queste praterie umide sono inoltre caratterizzate
da un sistema di drenaggio sia superficiale sia profondo dell’acqua che così
non ristagna, ma anzi, secondo le ricerche considerate da Soluciones Prácticas, addirittura verrebbe purificata.
Il
suolo di natura torbosa fa da base ad una massa fibrosa di radici, talli e
foglie di piante semi-acquatiche, vive o in distinto stato di decomposizione,
frammiste a fango e sabbia. Un ecosistema assai complesso e prezioso quindi che
avrebbe un ruolo importante anche nel trattenere molta della CO2 atmosferica.
Per
proteggere questo ambiente sono stati identificati otto bofedales da tutelare
sui quali sono stati effettuate ricerche biochimiche e geologiche sullo stato
delle acque e delle falde profonde e superficiali con l’appoggio della ONG americana
WCS; sono stati previsti dei cercos,
ossia recinzioni atte a proteggere fazzoletti di bofedales dagli alpaca
eccessivamente numerosi per i pascoli dell’altipiano. Oltre alle qutañas, sono
stati costruiti dei canali per permettere l’infiltrazione delle acque nel
terreno detti zanjas, che appunto
permettono all’acqua di trattenersi e nutrire i bofedales invece di scorrere
via a valle rapidamente.
L’obbiettivo
più importante di questo primo risultato è forse però quello di aver contribuito all’utilizzo di un sistema
satellitare, il SIG-ANMINA-M capace di distinguere le varie tipologie di
ambienti biotici ed abiotici, acque dolci, ghiacciai, bofedales etc. o persino la
presenza di miniere illegali tramite la rivelazione dello spostamento di
terreno; se da un lato il SIG è stato consegnato nelle mani del SERNAP
(Servizio Nacionale Aree Protette) al fine di controllare lo stato del
territorio dell’area protetta di Apolobamba, dall’altro si è riusciti a formare
molto a fatica quattro guardaparco attraverso laboratori specifici volti
all’apprendimento dell’utilizzo del software ArcGIS che raccoglie tutti i dati
GPS, generando di conseguenza un database sempre aggiornato sullo stato del
territorio.
Julieta ci spiega come in questi ultimi anni i
bofedales stiano in molti casi espandendosi a causa del maggior apporto di
acqua dovuto allo scioglimento dei ghiacciai causato dal cambiamento climatico che qui, a oltre 4000 m s.l.m. ,
è forse più evidente che altrove.
Altro
problema legato invece alla biodiversità e allo stato di salute delle praterie
umide sono i prodotti chimici derivati dall’estrazione dell’oro che qui viene
compiuta dalle cooperative minerarie o da piccoli privati, spesso senza norme
di smaltimento delle acque reflue che inevitabilmente finiscono per contaminare
le falde acquifere e di conseguenza i bofedales che da esse dipendono. Infatti
l’attività estrattiva dell’oro prevede, tra le altre cose, l’utilizzo di
mercurio,
il quale accumulandosi nel terreno sta letteralmente provocando la distruzione
del delicato habitat dei bofedales.
Sembra inverosimile, una stonatura clamorosa, il fatto che
in una riserva naturale sia lecita l’estrazione mineraria e soprattutto in una
maniera così incontrollata. Ancor di più se si pensa al fatto che quest’area
protetta nasce nel1972, mediante il Decreto Supremo (D.S.) N° 10070, proprio con
l’obbiettivo di proteggere la vigogna e di conseguenza preservare l’ambiente delle
terre alto andine che rappresentano l‘habitat naturale di questo camelide.
L’inghippo c’è e non è certo velato visto che si trova nel
nome stesso dell’area protetta, ANMIN-A (Área
Natural de Manejo Integrado Nacional Apolobamba), e
soprattutto nell’espressione “Manejo
Integrado” (gestione integrata).
Infatti lo stesso decreto di
creazione dell’ANMIN-A prevede la
possibilità di sfruttamento delle risorse naturali in accordo con l’articolo 64
de la Ley de Medio Ambiente Nº 1333 e
gli articoli 28, 31, 32 e 38 del Reglamento
General de Áreas Protegidas. Come se non bastasse l’articolo 89 del Código de Minería ammette, pur con alcune restrizioni per lo meno formali in
materia di sostenibilità ambientale, la possibilità di estrarre minerali dal
sottosuolo delle aree protette nazionali boliviane.
Per tutti coloro che invece conoscono meglio le vicende
ultime di questo paese andino tutto questo assunto non deve suonare poi così
strano viste le ultime dichiarazioni del governo boliviano, ossia di voler consentire, nonostante l’obbiezione di varie associazioni
ambientaliste e ONG, l’esplorazione e lo sfruttamento di nuovi pozzi
petroliferi e di gas naturale che rappresentano l’asse portante del paese, la
cui economia continua a basarsi sull’estrazione e sull’esportazione di materie
prime.
Ma torniamo alle impressioni della nostra Connie Chatterley:
come nel caso della sua Inghilterra anche qui ad Apolobamba l’estrazione
mineraria ha connotato da sempre il paesaggio e le attività umane anche se
oggigiorno non è più solo quella del mulo, piccone e setaccio ma della ruspa e
dell’escavatrice.
Ce lo conferma il naturalista francese Alcide Dessalines d'Orbigny (1826-1878) nel suo saggio Descripción
geográfica, histórica y estadística de Bolivia, dove riferendosi al territorio di
Pelechuco, uno dei centri più
importanti dell’altipiano, racconta: “Ella es una de
esas numerosas colonias cuya fundación, tanto entre los Incas como entre los
conquistadores, solo pudo ser determinada por la sed insaciable del oro”
(È una di quelle numerose colonie la cui fondazione, tra gli Inca come tra
i conquistadores, solo poté essere dovuta alla sete incontentabile di oro).
Ancora oggi la ricerca dell’ora è la principale fonte di
reddito di molti fra gli abitanti di questa regione, ed ancora oggi è motivo di
miseria per le popolazioni locali, benché il suo noto valore lasci pensare il
contrario.
Nel rifugio costruito dal progetto si preparano i proiettori
per spiegare con video e PowerPoint ai due referenti europei gli altri risultati
del progetto.
Juan Quispe Tito di AIQ spiega i risultati raggiunti
nell’obbiettivo 2 del progetto, ossia conseguire un migliore sfruttamento della
fibra di vigogna. Ci spiega che il primo passo per raggiungere questo
obbiettivo fu quello di approvare nel marzo 2013 un manuale di buone pratiche
per gestire le vigogne durante la cattura, immobilizzazione, tosatura e
liberazione, attività che altrimenti possono causare un forte stress all’animale
con conseguente possibile immunosoppressione che col tempo aumenterebbe
l’esposizione ad alcune patologie (v. appunti tesi). Successivamente dopo aver
abilitato alcuni guardaparco e vigilantes
comunales si è organizzato nel 2013 con il metodo del transetto lineare un
censo con lo scopo di aggiornare quello effettuato dallo stato nel 2009, da cui
è derivato che nell’ANMI-Apolobamba ci sono circa 12.000 vigogne con
un’oscillazione dell’andamento della popolazione di circa 1.500 individui
durante l’anno.
Anche se con molto fatica, a causa delle resistenze dei
locali verso questo metodo, è stata poi introdotta
la tosatura meccanica che permette di ridurre drasticamente il tempo in cui si
maneggiano gli animali e quindi lo stress. Per abilitare i comunarios alla
tosatura meccanica, che all’iniziano
temevano per una strana credenza essere causa di alopecia nelle vigogne, sono stati chiamati dei formatori dal
vicino Perù dove l’industria della lana è molto sviluppata, e per esercitarsi
sono state utilizzati alpaca domestici.
Sono stati realizzati dei monitoraggi ematologici e
parassitologici su vigogne ed alpaca per accertarsi della situazione delle
greggi mentre, per agevolare la cattura, sono state comprate reti per costruire
le così dette Mangas, ossia
recinzioni a forma d’imbuto dove le vigogne vengono radunate prima di essere
immobilizzate e tosate; così si è arrivati nel novembre 2015 a tosare il 45%
dell’attuale popolazione. La lana di vigogna ha un prezzo altissimo, fino a
430$ al kg. Il grande successo del progetto è stato anche quello di appoggiare
AIQ nel compiere i requisiti del CITES di rispetto del benessere dell’animale
durante la cattura/tosatura necessario per ottenere un codice di tracciabilità presso
il SENASAG (Servicio Nacional de Sanidad
Agropecuaria e Inocuidad Alimentaria), l’autorità sanitaria nazionale,
necessario per l’esportazione verso l’Europa, ed in particolare verso l’Italia
che è la maggiore trasformatrice di fibre di vigogna.
Si è inoltre conseguito l’obbiettivo di creare e registrare
il marchio Vicuña Bolivia, che resterà
nelle mani dell’associazione AIQ. Verso la metà del gennaio 2015, proprio in
vista del lancio dei nuovi capi prodotti in Italia per la prima volta in fibra
di vigogna boliviana, si è tenuta a La
Paz, in presenza dei ministeri boliviani interessati e di altre autorità
nazionali e internazionali, la
presentazione del marchio Vicuña Bolivia e del progetto in generale, per
spiegare il lungo percorso che ha portato in questi anni a raggiungere questi
obbiettivi.
La vigogna non è ovviamente l’unico destinatario del
progetto e il risultato 4 ce lo ricorda; a beneficiare del progetto ci sono
ovviamente le famiglie indigene originarie che vivono anche degli introiti
derivanti dalla fibra raccolta e che gestiscono il territorio dei 3 Municipios dove la vigogna vive e si
riproduce.
Verso questi soggetti sono stati organizzati laboratori per confrontarsi
sulla gestione dei rifiuti domestici (visto che manca un sistema di
smaltimento), delle acque fognarie, su come preservare le praterie native per i
propri animali domestici; A Pelechuco è stata scritta una Charta Organica del municipio e uno statuto volto a proteggere
bambini ed adolescenti dal maltrattamento; ottimi risultati sono stati
raggiunti a Curva, uno dei luoghi simbolo dell’antica cultura Kallawaya, dove si è avanzati insieme
alla municipalità lungo il difficile cammino verso lo stato di autonomia indigena del municipio, che conferirebbe
il riconoscimento ufficiale da parte del governo della specificità culturale e
territoriale.
I referenti dell’unione sembrano soddisfatti degli obiettivi
raggiunti, è questo rende orgogliosi tutti gli attori di questo progetto durato
più di tre anni che per buona parte hanno ricevuto i finanziamenti comunitari.
Per me è stato davvero un privilegio assistere all’audit del
progetto perché mi ha permesso di avere un riassunto di tutti i successi e le
difficoltà che tante persone hanno affrontato in questi anni; mi ha permesso di
avere un quadro più definito non solo di come si svolge ed evolve un progetto
di cooperazione ma anche della situazione Bolivia e di capire qualcosa in più
della sua gente.
Stefano Russo
Servizio Civile La Paz
ProgettoMondo Mlal Bolivia
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