Mi trovo solo nella stanza del nostro hostal in quel di La Paz, e ripenso all’incontro con Riccardo Giavarini, cooperante del ProgettoMondo Mlal che da oltre trent’anni vive in territorio sudamericano.
In una sala gelida e poco illuminata all’interno dell’ufficio del ProgettoMondo Mlal, Riccardo – che per il suo impegno è stato premiato dal presidente Napolitano nel 2011 – ci ha narrato (a me e al resto dei giovani piacentini arrivati in Bolivia con l’organizzazione veronese) la sua esperienza in terra boliviana, le difficoltà, le scelte e le piccole soddisfazioni che scaldano il cuore e ti fanno andare avanti, insieme a un’incrollabile fede religiosa. Riccardo, nonostante i tanti anni trascorsi in questo contraddittorio Paese, piange quando il suo racconto si sofferma sulle ragazzine di El Alto(periferia di La Paz, ormai municipio a sé stante), costrette a prostituirsi per portare a casa qualche moneta, costrette a prostituirsi per soddisfare gli istinti animali di auctotoni o gringos, dove la polizia non interviene per porre fine all’efferata situazione, ma anzi alimenta il giro cercando di guadagnarci su, tanto per arrotondare il magro stipendio. Sono lacrime di rabbia, impotenza, dolore. Sono lacrime di uomo che come tanti altri nel suo settore non ha mai giorni di riposo, non ha molto tempo da dedicare alla famiglia, non ha ore per staccare la spina e isolarsi; di chi vive sempre tra gli sconfitti, tra gli esclusi di una già povera e ostile società.
L’incontro è ricco di contenuti, la mente fa fatica a elaborare il tutto, sollecitata da mille imput ed emozioni. A un certo punto, Riccardo si alza, chiede scusa, deve andare: i volontari di Qalauma( primo centro in Bolivia di reinserimento nella società per giovani tra i 16 e i 21 anni) necessitano di un passaggio per ritornare alle proprie case. Tocca a lui. Sono le 18.30 di un sabato come molti. Anche oggi finirà di lavorare a notte inoltrata.
Sempre all’interno di una stanza fredda(le basse temperature nelle case sono una costante), Aurelio Danna, coordinatore Paese e anche figura di riferimento del progetto Qutapiquina, e il giovane casco bianco Vanni tirano le somme del nostro viaggio, soffermandosi su alcuni punti e complimentandosi con il gruppo che, modestia a parte, si è in effetti comportato nei migliori dei modi tra le varie vicissitudini del viaggio. Ma la positiva sententia è dovuta soprattutto all’attenzione rivolta ai vari progetti ideati e scritti dal ProgettoMondo Mlal, e alle varie storie che tra una strada sterrata e l’altra abbiamo avuto il privilegio di incontrare.
La discussione e l’analisi si sofferma soprattutto sull’ultima settimana, divisa tra Cordigliera di Apolobamba e Lago Titicaca. Due spazi, due territori completamente diversi che anche temporalmente sembrano lontanissimi e invece vissuti intensamente nel giro di pochi giorni.
Mai al di sotto dei 4800 metri, la zona andina da noi esplorata sembra un degno set per un film o un romanzo d’avventura: zona di minatori e di frontiere, di contrabbando e di assalti, di lotta e di contesa tra Bolivia e Perù. Piccole comunità abitano questi sconfinati e affascinanti luoghi, dove il cielo sembra sempre più vicino e le condizioni climatiche possono cambiare da un secondo all’altro. In lontananza si vedono alpaca, a un’altitudine minore qualche vigogna.
Da queste parti, ProgettoMondo Mlal ha avviato infatti un progetto innovativo, con il sostegno dell’Unione Europea, che unisce alla tutela del territorio la possibilità per determinate comunità di avviare un’attività economica sostenibile e responsabile, basata sulla produzione di fibra appunto di vigogna e alpaca.
Un lavoro meticoloso, difficile, che non tutti sanno fare. Le comunità della zona si contendono l’entrata nel progetto, ma le selezione è ardua. Il tutto è partito da soli sei mesi, Aurelio e Vanni insieme ai compagni locali hanno ancora molta strada da percorrere. In un futuro magari non troppo lontano si pensa a un centro polifunzionale, non solo di raccolta della fibra “eschilata” (termine castigliano per indicare la tosatura dei camelidi), ma anche di realizzazione di prodotti finiti, ora venduti solamente nelle singole e sperdute comunità.
Dimenticavo: tra un acquisto e l’altro di bellissime mantelle e sciarpe lavorate rigorosamente a mano, abbiamo raggiunto i 5030 metri d’altitudine. Tutto documentato, anche i respiri affannosi.
Ore 6.30 del mattino. Il sole spunta e con una luce pura che non ricordavo nemmeno più, inonda il lago Titicaca e le vette della cordigliera che in lontananza si scrutano. La splendida visione ripaga della fatica del viaggio, del percorso compiuto per arrivare a questo grande bacino chiuso, il più alto del mondo a quasi 4000 metri. Vanni ride nel ricordare la seconda ruota bucata dopo il Salar, la benzina che forse c’è, ma è più probabile che non ci sia, la dubbia sicurezza di piccole barchette stipate di turisti che portano all’Isla del Sol, al centro del lago, la fatica di noi viaggiatori (ci tengo a specificare, non siamo stati normali turisti!) che alla fine della giornata andiamo a letto alle 21 spaccate, distrutti da camminate per noi fino a quel momento impensabili. L’alba ha cancellato ogni stanchezza, più o meno. Non racconterò della festa del “campesino” che ha visto sfilare gli alunni del collegio dell’isola con abiti stupendi, sgargianti, tradizionali; non racconterò nemmeno del paesaggio mozzafiato da cui gli occhi non riuscivano più a staccarsi o delle meraviglie archeologiche risalenti agli Inca; tutto è concentrato nella personalità e nel volto di don Esteban, la nostra guida, nei suoi racconti, nei suoi gesti, nelle sue convinzioni e nelle sue lotte. Nella propria comunità (ce ne sono tre sull’isola), i turisti sono visti con un po’ di diffidenza, se non proprio con ostilità: vengono qui, si accampano gratuitamente, lasciano rifiuti vari, non aiutano la gente del posto oppure arrivano e immediatamente ripartono, stretti da tempi incombenti dettati da agenzie di viaggio estere che propongono visite lampo senza approfondire alcunché di questo mistico e sacro luogo andino. Come dargli torto.
Questo turismo, ci spiega il professor Esteban, archeologo e antropologo, ha lacerato le comunità, le ha divise; due hanno sposato la tipologia sopra delineata. Il turismo dei grandi numeri e del non rispetto del luogo. La nostra guida sta portando avanti con ProgettoMondo Mlal un faticoso percorso di accettazione all’interno della sua comunità di un modo diverso di fare turismo, rispettoso dei costumi e delle abitudini, in cui il visitatore si prenda il tempo necessario per scoprire e conoscere, in cui ci si veste adeguatamente data la sacralità del luogo e si offre parte del proprio soggiorno per dare una mano agli abitanti, indaffarati nelle attività fondamentali come la pesca e l’agricoltura.
Esteban ci ammalia con le parole, le sue storie, e in lui troviamo sincera essenzialità, amore per la comunità e tutta la bellezza dell’Isla del Sol.
La stanza è sempre fredda, riemergono ricordi e visioni vissute da poco, ma che sembrano molto indietro nella linea del tempo. Ci attendiamo una sorpresa, magari il dono di altri giorni nella terra del Presidente Evo perché c’è ancora troppo da vedere e da scoprire. Ma non è così, anche se quello che diamo alla Bolivia, più che un adios, è un arrivederci.
Alberto Rossi, giovane viaggiatore piacentino che, insieme a Federico Maccagni, Emanuele Mazzocchi, Cecilia Tirelli e Giulia Antozzi, è arrivato in Bolivia con la storica volontaria di ProgettoMondo Mlal, Danila Pancotti nell’ambito del progetto Kamlalaf patrocinato dal Comune di Piacenza per promuovere percorsi formativi che portino i giovani a confrontarsi con sé e gli altri.
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giovedì 16 agosto 2012
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