Il Festival internazionale di maschere del Burkina Faso (FESTIMA), che ogni due anni si tiene nella cittadina di Dedougou, quest'anno festeggiava la sua ventesima edizione e anche per me rappresentava senz’altro un’occasione da non perdere! Anche se è stata una grande sfacchinata, culminata in 1.200 kilometri di viaggio in pullman. Sì, perché pur trovandosi a soli 300 chilometri da Dano, in Burkina non sono molti gli itinerari coperti dal pullman. Così devi arrivare fino in capitale, a Ouaga, e poi da lì farti altri 300 km fino a Dedougou. Risultato: 48 ore di viaggio di cui solo una dozzina utilizzate per godermi il festival. Ma ne è valsa la pena!
Festima è una biennale nata da un'idea dell'Associazione per la Salvaguardia della tradizione delle Maschere Africane (ASAMA) e in poco meno di una settimana attira migliaia di spettatori e figuranti provenienti da Senegal, Togo, Benin, Mali e Burkina Faso.
Ho avuto occasione di partecipare alla cerimonia di apertura, con tanto di parata degli ensemble, e mi sono ritrovata letteralmente immersa in un ambiente molto pittoresco in cui l'idea stessa che avevo di maschera (influenzata in particolare dalla tradizione veneziana) è stata smentita.
Qui le maschere sono completamente diverse rispetto a quelle a cui ero abituata. Niente porcellana, cere o merletti, ma personaggi in carne e ossa che, aiutandosi con due bastoni, ruotano su sè stessi o volteggiano come dervisci, mettendo in moto tutta la massa di frange di paglia di cui sono ricoperti.
Uno degli aspetti più curiosi delle sfilate nelle strade è la continua sfida tra una sorta di servizio d’ordine, costituito da ragazzi con la maglietta dello sponsor Airtel (la compagnia telefonica numero uno in Burkina) che agitavano bastoni di legno contro il pubblico che tentava di avvicinarsi alle maschere. Io stessa ho rischiato di prenderle seriamente almeno un paio di volte!
La kermesse si è poi spostata nello stadio comunale per una parte più istituzionale in cui intervengono le autorità locali e i giornalisti. Quindi, nel tardo pomeriggio, hanno fatto capolino le maschere in tessuto, dei curiosi ominidi di bianco vestiti che, secondo la tradizione africana, escono solo di notte. Le maschere hanno poi continuato a vagare per la cittadina fino a tarda ora, guidate soltanto dalla luce dei falò accessi dai cabaret.
L’idea di spettacolo che sottende l’intero Festival è molto diversa da ciò che ci aspetteremmo in Europa, dove le diverse compagnie di artisti si sarebbero alternate su un palco proponendo le proprie coreografie, cantate e ballate. In Africa lo show è invece considerato un momento di convivivialità in seno allo stesso gruppo di artisti. L'esibizione è cioè fine a se stessa e djembé, tamburi e balafon si fondono in una danza piuttosto improvvisata.
Le coreografie sembrano quasi prive di un filo logico–temporale, eppure non si può che rimanere incantati dalla sinuosità con cui i fisici inconfondibili africani si muovono a ritmo tribale. Tutto sembra essere regolato da entità intangibili.
È stata un'esperienza affascinante e mistica allo stesso tempo, un momento in cui mi sono sentita ancora una volta preda della calamita africana, fatta di tanta e autentica semplicità.
Certe sensazioni che puoi provare solo qui in Burkina ti coinvolgono al punto da privarti di qualsiasi sistema di difesa.
Elisa Chiara
Casco bianco ProgettoMondo Mlal
venerdì 4 marzo 2016
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento