lunedì 14 dicembre 2015

Haiti, il riso fa...buon sangue

«Coltivo la terra da quando ero bambino, un mestiere che ho ereditato da mio padre e dal padre di mio padre… Lavoravamo duramente, riuscendo a malapena a mangiare una volta al giorno. Siamo andati avanti così per anni, senza immaginare che si potesse vivere in un altro modo, e che la povertà potesse venir sconfitta», racconta Sonson, 49 anni, abitante di Bocozelle nella valle dell’Artibonite, 120 km a nord di Port-au-Prince, la capitale di Haiti.
Il Paese è divenuto tristemente “famoso” da quando, nel 2010, il terremoto ha mietuto 220.000 vittime e provocato danni per 14 miliardi di dollari. Oltre a questo, due uragani scoppiati nel 2012 hanno contribuito a distruggere l’intera produzione agricola, in particolare quella di riso, il piatto base dell’alimentazione locale. «A peggiorare la situazione, la concorrenza del riso statunitense favorito da una politica doganale che ha costretto l’ex presidente Aristide ad abbassare i dazi su questo cereale dal 22 al 3%», spiega Andrea Fabiani, che per tre anni ha lavorato ad Haiti per conto dell’associazione torinese CISV.
«Oggi il riso locale costa 900 gourde haitiani (circa 15 euro) al quintale, contro gli appena 400 gourde di quello importato dagli Stati Uniti. E per le famiglie povere - che vivono con 40 centesimi di euro al giorno a persona, e che costituiscono il 50% della popolazione - è più conveniente acquistare il riso straniero a scapito della produzione locale».
L’altro paradosso è che, senza importazioni, la produzione interna non basta a soddisfare i bisogni locali. «Per liberarsi dall’import e dagli aiuti esterni occorre perciò rilanciare e raddoppiare la produzione» dice Andrea. Un’utopia?
«Qui a Bocozelle, dove siamo attualmente 48.000 abitanti, siamo riusciti a raddoppiare la produzione di riso da 2,5 a 5 tonnellate per ettaro, nel giro di pochi mesi», racconta Sonson, membro della federazione Ojl 5 (“Occhi aperti” in creolo) con cui CISV collabora e che riunisce oltre 50 organizzazioni contadine.
«All’inizio non è stato tutto rose e fiori», spiega Andrea, «perché i risicoltori erano restii a modificare i metodi di lavoro tradizionali».
Adesso veniva loro richiesto di unire le proprie (piccole) parcelle di terra in un unico appezzamento, più facile e redditizio da lavorare; di seguire specifici corsi per migliorare le tecniche di coltivazione e gestione; e di utilizzare un nuovo sistema di credito in natura per ricevere concime e sementi in prestito dalla RACPABA (rete di associazioni e cooperative agricole dell’Artibonite), dando parte del riso prodotto come “restituzione” al termine del raccolto.
«Tutte queste novità all’inizio andavano ‘digerite’, perciò siamo partiti con una piccola sperimentazione su 4 ettari di terreno», racconta Andrea.
«Ma fin dal primo raccolto si sono ottenute rese di 5-6 tonnellate per ettaro, e questo ha convinto i contadini a proseguire, arrivando in poco tempo a 30 ettari di risaie coltivate». Un successo, conferma Antò, anche lui risicoltore di Bocozelle: «Avevo preso in affitto un lotto di terreno per coltivarlo, ma quando il proprietario ha visto che il suo vecchio appezzamento poteva produrre fino a 6 tonnellate di riso di buona qualità, ha subito voluto indietro la terra per coltivarsela da sé!».
Adesso CISV e i contadini dell’Artibonite sono arrivati a mettere a coltura 100 ettari di risaie, a beneficio di 1.600 famiglie. «Abbiamo iniziato a lavorare e a vivere meglio», dice Sonson. «E’ più facile procurarsi i mezzi che ci servono per il nostro lavoro (concime, sementi…), riusciamo a dare da mangiare regolarmente ai nostri bambini, e molti nei villaggi hanno iniziato a mandare i figli a scuola».
Molto però resta da fare: «Spesso manca l’acqua per irrigare, costruire canali è costoso e per bere si usa spesso l’acqua del fiume, ma fa male alla salute». «Occorre sviluppare ancora di più l’agricoltura» dice Andrea, «che è la base dell’alimentazione e dell’economia. Ed è l’unica via per aiutare gli haitiani a camminare di nuovo sulle proprie gambe, liberandosi dalla dipendenza dall’estero».
Stefania Garini, Cisv

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