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Buona lettura!
“Nessuno possiede una risposta onesta, né un’azione coerente che garantisca una reale speranza per i quasi 300 milioni di esseri umani - in gran parte sconsolatamente poveri - che costituiscono la popolazione dell’America Latina; i quali nel giro di 25 anni saranno 600 milioni e hanno diritto a una vita materiale, alla cultura e alla civiltà.
Il silenzio sarebbe, dunque, il comportamento più dignitoso di fronte al gesto del Che e di coloro che caddero con lui per difendere le sue idee con coraggio: perché l’impresa che questo pugno di uomini realizzò, guidato dal nobile ideale di liberare un continente, resterà come la prova più grande di quello che la volontà, l’eroismo e la grandezza umana possono conseguire.
Un esempio che illuminerà le coscienze e condurrà la lotta dei popoli dell’America Latina, perché il grido eroico del Che arriverà alle orecchie attente dei poveri e degli sfruttati per i quali diede la sua vita e molte braccia si alzeranno per impugnare le armi e ottenere la definitiva liberazione.”
Fidel Castro
(Prefazione a "Diario del Che in Bolivia")
Un viaggio nel viaggio. Sucre - La Higuera (tragitto più lineare per raggiungere il luogo dove "han matado al Che") sono 600 km, 300 dei quali di sterrato duro, senza cartelli stradali, senza distanze chilometriche, attraverso zone disabitate.Ci abbiamo messo 15 ore di auto, 5 in più del previsto. Lungo i finestrini scorrono vallate, vallate e vallate con paesaggi da far west e temperature torride. Il pensiero, inconfessabile per entrambi, era: "se ci si ferma la macchina (sul cui stato di manutenzione non potevamo certo garantire) ci ritrovano morti di sete tra una settimana”. Dunque il massimo delle energie era investito nel tifo per la nostra auto, momento per momento, ma ci siamo sforzati anche di goderci questi paesaggi sconfinati dove l'uomo non è ancora "arrivato" del tutto.
Al bivio decisivo, prima di girare per La Higuera, abbiamo proseguito per Pucara perché, in questi casi, tocca fare i conti (e farli con precisione) con i litri di benzina.
A Pucara doveva esserci il rifornimento ma, arrivati in Paese, ci hanno informato che le scorte erano terminate da giorni: ciò significava rimanere lì, per giorni, in attesa dei rifornimenti.
Per fortuna un signore ci ha suggerito di provare con il gommista che probabilmente aveva qualche litro di riserva e per fortuna il gommista ce l'ha venduto.
Torniamo al bivio e prendiamo per La Higuera. Si capisce che si sta cercando di rendere “commerciale” anche il posto della morte del Che: la strada è stata infatti ribattezzata “Ruta del Che”. Ma molti non ce la fanno. Arrivare qui è semplicemente massacrante.
La Higuera è composta da poche case, immerse nel silenzio del frinire delle cicale sotto il sole, in un caldo asfissiante. Così doveva essere quel 9 ottobre del 1967, quando un colpo di pistola ordinato dalla Cia metteva fine alla vita di Ernesto Guevara, detto "El Che", e faceva nascere un mito.
L'angolo della scuola elementare in cui sarebbe avvenuta l'esecuzione appare macchiato di scuro e all’interno dell’edificio c'è fresco. Oggi, anche per la penuria di bambini ormai migrati in città, è diventato un "museo" dove con pochi cartelloni si racconta la sua storia e che raccoglie molte fototessere di quei pochi che vengono fino qui per testimoniare il loro attaccamento al mito del Comandante.
Nessuno ha deposto fiori perché la vegetazione circostante è formata da arbusti e i fiori acquistati in città non reggerebbero il viaggio.
Alberto strappa il frontespizio della sua copia del "Diario del Che in Bolivia" e lo usiamo per scriverci un messaggio con i nomi nostri e di chi ha chiesto di far arrivare fin qui un segno.
Quando è morto, il Che aveva 39 anni. La nostra età. Ci impressiona confrontare le nostre vite alla sua. Ci impressiona anche pensare a un argentino che lascia onori e seguaci per morire insieme a un gruppo di compagni di Paesi diversi qui, in mezzo alle montagne boliviane, cercando di riscattare un continente senza sostegno né solidarietà… Questa la grandezza del Che e del suo manipolo.
Rimaniamo a La Higuera solo 30 minuti, perché il ritorno sarà lunghissimo. Nei 150 km di sterrato e poi negli altri 150 di asfalto diamo passaggi a diversi boliviani che, come da usanza locale, sono sul bordo della strada con il pollice alzato: una mamma con due bambini e la nonna, un campesino di 69 anni, un 25enne.
Nessuno di loro conosce la figura del Che. Nemmeno il 69enne che al tempo c'era, e che da 69 anni guarda alla luna per piantare patate, nemmeno il 25enne che, deposta la vanga, ha trovato impiego in una ditta che costruisce strade.
Alberto Vaona e Dimitri Avesani
Cicloblogger
Pedalande 2014
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