Lima, 14 marzo 2013 - di Mario Mancini, ProgettoMondo Mlal. Primo Francesco, primo latinoamericano, primo gesuita. E per di più con un solo
polmone, l’altro asportato in gioventù per un problema respiratorio, figlio di
genitori italiani astigiani EMIGRANTI (immaginate un giorno un Papa Perez
italiano figlio di ecuadoregni, ma anche se fosse solo un Rodriguez sindaco di
Busto Arsizio) in Argentina, e tifoso della squadra del San Lorenzo de Almagro,
i “cuervos” , tra i 5 club “grandi” dell’Argentina, e quindi considerato
“santo” dalla culla.
In questi primi giorni di
elezione, pullulano sul web biografie e tutte coincidono su molti aspetti:
grande austerità, semplicità e rifiuto di qualsiasi forma di lusso, vicinanza
con gli ultimi, profonda esperienza pastorale; ma anche conservatore con i
progressisti – freddezza per la Teologia della liberazione, radicale
opposizione alle coppie gay-, e progressista con i conservatori – ultima omelia
contro l’ipocrisia dei sacerdoti che non battezzano i figli avuto fuori dal
matrimonio, come “gli ipocriti di oggi, quelli che clericalizzano la Chiesa,
quelli che allontanano il popolo di Dio dalla salvezza”.
E un grande punto
interrogativo mai pienamente risolto: il suo comportamento durante la dittatura
militare (1976-1983), quando era provinciale della Compagnia di Gesú (1973-1979).
Sul quotidiano argentino,
progressista “Pagina 12” ci sono alcuni articoli interessanti, soprattutto uno
di Horacio Verbitsky che lo definisce un “ersatz”, che in tedesco vuol dire qualcosa
di qualità inferiore, un succedaneo. Questo giornalista di investigazione ha
scritto vari libri sui rapporti tra Chiesa Cattolica e dittatura militare, tra
cui L' isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina,
in cui cita il caso di due gesuiti rapiti e torturati dai militari e poi
rilasciati che, secondo le accuse, furono “consegnati” da Bergoglio: un’accusa da
lui sempre respinta avendo sostenuto, al contrario, di essersi impegnato
addirittura con Videla e Massera per la loro liberazione.
Un altro articolo, sempre
apparso su Pagina12, riporta i commenti dei principali esponenti di organismi
di diritti umani e dell’associazione “Hijos” (Hijos por la Identidad y la
Justicia contra el Olvido y el Silencio), costituita dai cosiddetti “appropriati”
durante la dittatura, cioè dai bambini figli di detenute torturate e scomparse
che venivano assegnati a famiglie di militari - crudele e criminale adozione (consiglio
a questo proposito l’ottimo film “La historia oficial” del 1985), che ritengono
Bergoglio, se non propriamente un collaboratore, uno che non ha mai sufficientemente
condannato i “genocidi”. Certo, si tratta di un punto forte, ma nemmeno
Verbitzky considera Bergoglio un collaborazionista.
Bergoglio in questi anni è
stato pure un forte fustigatore del kirchnerismo - soprattutto per l’idea
antagonista della politica che ha caratterizzato i governi di Nestor e
Cristina, seppure convidesse l’anima sociale delle loro politiche, ma ha sempre
avuto una grande autorità morale data dalla sua sincera e quotidiana vicinanza
con i più poveri.
Ciò nonostante Francesco
è un segnale davvero forte in questo momento. In un’Italia sconvolta dallo
Tsunami del M5s - che non è che una rivolta morale contro la cattiva politica e
gli abusi dei potenti ai danni dei semplici cittadini- dove, nella più acuta
crisi economica dell’ultimo secolo, i pregiudicati sono stati i precari della
storia, l’elezione di un Papa austero (la sobrietà è di moda) rappresenta una
rivoluzione.
Una rivoluzione nella
forma e nel contenuto. Sicuramente sincero, perché cosí è sempre stato il suo
comportamento nei panni di un “normale” arcivescovo di Buenos Aires (tra le
diocesi più popolose del mondo), vive in un piccolo appartamento, non ha
autisti né segretarie, usa bus o metropolitana, predica nelle “villas” di Buenos Aires, restio a usare
paramenti cardinalizi o manifestazioni esteriori di potere, non frequenta ristoranti,
si cucina da solo.
Una persona “normale”,
come è del resto composta la stragrande maggioranza dell’umanità.
E in questa Chiesa, un
Conclave cardinalizio che nomina un argentino, gesuita, umile e anticuriale, che
accettando la sfida decide di chiamarsi FRANCESCO -gigante della Chiesa- dovrà
attendersi riforme o passi radicali verso una Chiesa “povera di spirito”, che apre
le porte della “Salvezza” come ha detto l’Arc. Bergoglio, che proprio come
Francesco ha dato un’indulgenza generale alla prima apparizione, per dire “vi,
e ci, sono rimessi tutti i peccati”.
Ricordiamo poi che il
Cardinale Bergoglio era stato il secondo più votato nel Conclave del 2005,
rappresentando, e facendo convergere quei voti di un altro gigante –Martini- che
nelle prime votazioni aveva rappresentato il gruppo “non conservatore”. Quindi,
un voto ritardato, una vittoria della minoranza del 2005, un’elezione rotativa
tra i due gruppi...non si sa: sicuramente un voto distante dalla Curia di Roma,
di profonda rottura con i segretismi, gli scandali, le contraddizioni di un
potere secolare che rappresenta forse l’ombra più cupa della Chiesa attuale.
Molti pontefici dal
momento dell’assunzione al trono di Pietro ricevono un sussulto, una
liberazione dai fardelli della vita precedente, ricevono un coraggio inusitato
a loro stessi per farsi artefici di profondi cambiamenti. Questo ci si attende
da un pre-destinato (anche se tutti i “papi” lo sono ecclesiologicamente), da
un Francesco.
Un Papa pastore come
tanti, pellegrino come tutti i cattolici, vuole essere il simbolo di questa
rivoluzione, sperando che non sia solo nella forma, sebbene importantissima
(croce di ferro invece che d’oro, auto normale), ma anche nel contenuto. E
chissà se un giorno ce lo ritroveremo, sui passi del cardinale Melville, nel
geniale Habemus Papam di Moretti, in metropolitana sulla Linea A, o addirittura
in curva Sud di un’improbabile Roma-San Lorenzo.
Bergoglio ha accettato la
sfida e l’ha aperta senza lasciare nessun dubbio su come vuole la sua Chiesa: povera,
quaresimale, pasquale e missionaria.
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