“Nel Sud-Est, insieme al lago di Coipasa c’è la regione dei grandi deserti, dello sterile Salar incommensurabile. Qui visse tempo addietro fra la decadenza di Tiwanaco e la nascita dell’Impero Inca una razza misteriosa, diversa dalla quechua e dall’aymarà e della quale tutt’oggi si sa poco”.
Così comincia Vuelve Sebastiana (1953) di Jorge Ruiz, uno dei maggiori documentaristi della cinematografia boliviana, che con questo mediometraggio ottenne il primo premio nel festival internazionale del cinema documentale e sperimentale del SODRE a Montevideo. Questo film, girato in seno al popolo Chipaya, in pieno altipiano, in seguito a mesi di stretta convivenza fra il direttore e la gente chipaya, si caricherà di un carattere simbolico in quanto opera anticipatrice del Nuevo Cine Latinoamericano, corrente ispirata per altro al nostrano Neorealismo.
L’origine dei Chipaya si attestano approssimativamente intorno all’anno 2500 a.C., essendo questi discendenti dei primi coloni dell’altipiano e parte della nazione originaria Uru.
Nel centro d’interpretazione dell’arte tessile andina allestito con ProgettoMondo Mlal nel negozio dell’associazione Comart Tukuypaj, nella cornice del progetto HilandoCulturas, è stato esposto un poncho che si crede appartenga a questa comunità ancestrale e che fu tessuto come decorazione per la statua di un santo, a dimostrazione del sincretismo religioso fra Cattolicesimo e credenze preispaniche. Il colore predominante di questo poncho è il bianco, lo stesso delle distese di salnitro del Salar di Coipasa, mentre le linee azzurre rappresentano il fiume Lauca che sfocia nella laguna di Coipasa all’interno del Salar.
Ecco il documentario: