lunedì 11 agosto 2014

Sovranità alimentare in Bolivia

Una coltivazione di quinoa
Ultimamente si parla tanto di “sovranità alimentare”, qui in Bolivia come nel resto del mondo. Questa è diventata, dopo “agroecologia” o “sviluppo sostenibile”, l'ennesimo grande concetto alla moda per dire tutto e niente. Lo usano sindacati agricoli, Ong, movimenti sociali e ormai anche numerosi governi, in Europa come in America Latina o Africa; questo senza però preoccuparsi di condividere un termine che muta spesso significato a seconda di chi ne fa uso.
Questo problema affonda le sue radici nella complessità della sua evoluzione come concetto a partire dal 1996, quando compare per la prima volta.
Il concetto di “sovranità alimentare” viene definito dal sindacato contadino internazionale, “Via Campesina”, come “il diritto di ogni nazione di preservare la sua capacità di produrre i suoi alimenti di base nel rispetto della diversità di culture e di prodotti”.
Esso si pone in contrapposizione a quello di “sicurezza alimentare”, coniato nel World Food Summit del ‘96 per definire la situazione in cui “tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano le loro necessità e preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana” ed utilizzato anche di recente dalle Nazioni Unite per denunciare le possibili derive produttiviste e mercantiliste delle politiche agrarie nazionali causate dai trattati di libero commercio approvati di recente.
Come verrebbe garantita infatti la sicurezza alimentare? Forse vendendo ai Sud del mondo gli eccedenti dell'agricoltura sovvenzionata del Nord? Imponendo un modello produttivo e nutrizionale occidentale basato sullo sviluppo tecnologico ed economico? O invece lasciando autonomia organizzativa all'agricoltura famigliare e contadina in ogni regione, in base alla propria tradizione?
Se da un lato, infatti, il concetto di sicurezza alimentare pone la questione di garantire a tutti il diritto al cibo, dall’altro rischia di cadere nel modello “sviluppista”, secondo cui l’unica via possibile per garantirlo sia ricalcare archetipi di tipo occidentale.
Queste e altre questioni sono state discusse per più di un decennio all'interno di Via Campesina, allargando notevolmente la definizione per comprendere meglio la distribuzione, il consumo e le problematiche legate al Nord del mondo (abbandono delle terre, sovvenzioni, …), e arricchendola a tal punto da renderla tanto affascinante, quanto facilmente reinterpretabile a seconda della necessità.
In Bolivia, inoltre, questo concetto non è solo stato utilizzato dalle istituzioni che si occupano di cooperazione e dalle Ong, ma è entrato a far parte dello stesso corpus legislativo dello Stato Plurinazionale.
Sorvolando le possibili intenzioni propagandistiche di questa decisione del Governo boliviano, mi preme piuttosto sottolineare due effetti di questa scelta: l'enorme semplificazione del concetto, dovuta alla sua trasposizione in legge; l’incompatibilità tra questa legge e gli effetti generati da molte politiche boliviane che sembrano muoversi in direzione opposta.
Infatti, al di là dei discorsi pubblici incentrati sull'agricoltura comunitaria contadina, sui beni comuni e sull'obiettivo della sostenibilità, a giudicare dalle leggi che la regolano sembra invece che la sovranità alimentare in Bolivia si traduca semplicemente nella ricerca di una sorta di autarchia alimentare, gestita possibilmente da imprese nazionalizzate.
La vastità della proposta della Via Campesina viene quindi trasformata in un semplice obiettivo quantitativo che soppesa importazioni ed esportazioni, ponendo lo Stato nazionale come ago della bilancia.
E in ogni caso sembra che le politiche messe in atto fin ad ora non siano in grado di raggiungere questa meta. Mentre si stimola l'esportazione di prodotti tanto “coloniali” (caffè, cacao, soia..) quanto “tradizionali” (la quinoa su tutti), non diminuisce invece la quantità di beni alimentari importati.
Ecco quindi come di fronte a queste contraddizioni la sovranità alimentare, in Bolivia come altrove, resta un concetto astratto, che suona bene su carta ma è destinato poi a consumarsi in una realtà che non è pronta ad accoglierlo.

Marco Goldin
Casco Bianco a Cochabamba
ProgettoMondo Bolivia

venerdì 8 agosto 2014

La giustizia cresce


Passi da gigante in Bolivia. Il sistema di giustizia combia volto, viene approvata al Senato la riforma del Codice Niña, Niño y Adolescente (Codice dei Bambini e Adolescenti) e si aprono prospettive rivoluzionarie: un sistema penale specializzato per i giovani adolescenti.
Il vecchio Codice dispone una “responsabilità civile” per i minori di 16, prevedendo misure socio-educative come la pena per chi commette un delitto, mentre al di sopra dei 16 anni di età si ha la piena responsabilità penale e si è giudicati come adulti.
La novità sta nel fatto che il nuovo Codice prevede una “responsabilità penale attenuata” (art. 268 CNNA) per i minori dai 14 ai 18 anni che stabilisce “I.La responsabilità penale della o dell’adolescente sarà attenuata in quattro quinte parti rispetto alla massima pena corrispondente al delitto stabilita nella norma penale. II. Per i delitti la cui massima pena sarà tra i quindici (15) anni e i trenta (30) anni nella Legge Penale, la sanzione si deve compiere in un centro specializzato in privazione di libertà. III. Per i delitti la cui massima pena è inferiore a quindici (15) anni nella Legge Penale, si applicheranno misure socio-educative con restrizione di libertà o in libertà”.
La situazione attuale dei giovani e delle giovani dai 16 ai 18 anni giudicati in base al Codice Penale vigente è critica in quasi tutto il Paese. I ragazzi e le ragazze vengono detenuti in recinti penitenziari con gli adulti per mancanza di centri specializzati. Qalauma (a La Paz) e CENVICRUZ (a Santa Cruz) sono gli unici centri per detenuti adolescenti che operano nel Paese fino ad ora.
Con il nuovo Codice Niña, Niño y Adolescente d’ora in poi i minori di 18 anni non saranno più reclusi con gli adulti, e soprattutto la detenzione sarà, come deve essere, l’extrema ratio (Art. 287, 288, 289 CNNA) e verrà accompagnata da misure socio-educative che aiuteranno l’adolescente nello sviluppo psico-fisico ed emozionale.
La grande rivoluzione di questo Codice è la previsione, da parte della norma, di un TITOLO IV dedicato esculsivamente all’applicazione dei principi e dei meccanismi della Giustizia Restaurativa. Già applicata in altri Paesi dell’America Latina, come Perù, Ecuador e Colombia, la Giustizia Restaurativa è entrata in pieno diritto anche in Bolivia. Il dibattito si è aperto durante l’elaborazione del Progetto di Legge del Codice Niña, Niño y Adolescente, promosso dai componenti del Tavolo di Giustizia Penale Giovanile, tra cui ProgettoMondo.
Quindi sì, ci prendiamo un piccolo merito sulla rivoluzione che si sta realizzando nel Sistema di Giustizia, un sistema penale specializzato per adolescenti qualche anno fa era pura utopia mentre oggi è realtà.
Questo ci insegna a credere nei sogni e ad impegnarci nella realizzazione di quello che ci sembra impossibile. Qalauma è un modello in tutta la Bolivia, le parole degli stessi operatori di giustizia (Giudici e Pubblici Ministeri) descrivono il Centro come l’unica possibilità che i ragazzi hanno di riabilitarsi e reinserirsi nella società. Era un sogno, oggi è la realtà.
Il Nuovo Codice regala una gradissima opportunità di cambiamento, e ora sta a tutte le Istituzioni coinvolte impegnarsi per far sì che non resti solo un’altra bella legge inapplicata.
Il cambiamento è responsabilità di tutti.

Eleonora Banfi
Casco Bianco a La Paz
ProgettoMondo Bolivia


giovedì 7 agosto 2014

Lo Splendore di Nampula

Nampula, città di 471.717 abitanti, conosciuta come la capitale del Nord del Mozambico, ha registrato negli ultimi decenni un improvviso sviluppo, tanto demografico, quanto economico, commerciale e sociale.
Città dal clima tipicamente tropicale, dove la cultura dominante, quella Makhuwa, convive con altrettante peculiarità tradizionali; è stata di recente teatro di importanti svolte politiche.
Le elezioni municipali dello scorso anno hanno infatti visto il successo del Movimento Democratico del Mozambico (Mdm), che ha preso il posto del Fronte di Liberazione del Mozambico (Frelimo), al governo della provincia dal 1998.
Tra le iniziative avviate dalla nuova amministrazione c’è “Wayra wa Wamhula”, ovvero “Lo Splendore di Nampula”; proposta direttamente dal Presidente del Consiglio Municipale, Mahamudo Amurane. Suo obiettivo è garantire dignità e salute ai cittadini grazie a piani di raccolta dei rifiuti, che risaltino l’importanza di una città pulita e decorosa.
Il Presidente ha inoltre esortato tutti i 22 municipi della provincia ad aderire al programma, grazie a grandi campagne di propaganda dalle forti tinte patriottiche. “Tutti i cittadini sanno che Nampula – afferma Amurane – è la città più attraente ed attiva del paese dal punto di vista economico, perché ricca di risorse naturali e culturali che la rendono una meta interessante per i grandi investimenti”. Ha sollecitato quindi anche la popolazione a contribuire volontariamente versando 100 meticais (2,5 euro) in favore della causa e raccomandando ad ognuno di collaborare secondo le proprie possibilità (consigliando ad esempio agli imprenditori facoltosi di deporre una somma congrua).
La sua richiesta si appoggia su due punti: considerati il deplorevole stato di igiene e pulizia della città e l’elevato debito ereditato dal precedente Consiglio Municipale, secondo Makhuwa, è compito ora di tutti i cittadini risolvere il problema.
Si può allora pensare che il nuovo Presidente stia stimolando nei cittadini una forma molto sentita di cittadinanza attiva? Forse sì, ma non sono pochi i mozambicani che invece sono in disaccordo, in particolare in merito alle richieste di contributi volontari. Per capire questa loro posizione è necessario sapere che in Mozambico all’interno della bolletta della luce – pagata tra l’altro con un “contratto a pagamento anticipato” – sono automaticamente aggiunte due tasse: il canone della radio e la tassa per i rifiuti (che quindi viene già versata).
Considerato inoltre che si tratta di un Paese dove in una famiglia si possono trovare in genere dai 3 agli 8 figli, dove il lavoro non è né facile da trovare, né particolarmente remunerativo (con un Pil procapite nominale di 634$ nel 2012), si sente spesso chiedersi: “Come posso dare un contributo in denaro al governo? Loro di certo ne dispongono facilmente, non noi che lottiamo ogni giorno per la nostra sopravvivenza!”.
Da questa osservazione si può dedurre che, sebbene questa iniziativa abbia il merito di smuovere le coscienze della popolazione sui problemi dell’inquinamento urbano e ambientale, dall’altro si pone in modo chiaramente poco efficace di fronte ad una cittadinanza alla quale questo tipo di problemi giungono meno impellenti, certo meno di quelli quotidiani di guadagnarsi del cibo ed un tetto.
Restiamo in attesa di vedere se l’amministrazione di Nampula sarà capace di cogliere queste critiche e di riformulare dunque le proprie strategie.

Cristina Danna
Casco Bianco a Nampula
ProgettoMondo Mozambico

martedì 5 agosto 2014

Agricoltura famigliare

Sono passati ormai più di tre mesi dal mio arrivo in Bolivia, l'acclimatazione all'eterna primavera di Cochabamba è stata rapida e in poco tempo mi sono trovato immerso in tre progetti, nati dalla collaborazione tra ProgettoMondo e la Fundación Agrecol Andes: il mercato biologico Ecoferia, un sistema partecipativo di garanzia del biologico e un piano di supporto per gli orti famigliari sviluppatisi nei quartieri periferici della città.
Il filo che conduce queste iniziative è la promozione dell'agricoltura biologica e sostenibile nelle aree urbane e peri-urbane, con lo scopo di garantire diete più salutari e autosufficienza alimentare alle famiglie produttrici, grazie al progressivo ricongiungimento del ruolo del consumatore con quello del produttore.
Negli ultimi tempi si è sentito parlare molto di agricoltura urbana in Bolivia, come risposta concreta al problema della sicurezza alimentare, con il sostegno tanto di Ong quanto di istituzioni. Secondo i più ottimisti gli orti casalinghi, sviluppatisi più o meno autonomamente, potrebbero contribuire in maniera significativa all’indipendenza alimentare delle famiglie cittadine.
Personalmente, trovo questa visione tuttora un miraggio fuorviante e poco coerente con il vero volto della città, che per definizione è un agglomerato di persone non auto-sufficienti.
Il valore dell'agricoltura urbana, a mio avviso, sta piuttosto nel riportare nelle città, sempre più in cemento e plastica, la semplicità della coltivazione di una pianta; sta nel valore pedagogico (per bambini e adulti) del riavvicinarsi ai cicli stagionali, climatici ed ecologici; del conoscere l’importanza della propria alimentazione, parallelamente alla soddisfazione personale del far crescere e maturare i propri semi.
Un'ulteriore perplessità mi sorge osservando i frequentatori abituali dell'Ecoferia: una buona parte della clientela è costituita da stranieri, cooperanti e volontari di passaggio che si fanno coinvolgere e si impegnano nel progetto, ma generalmente solo per un tempo limitato. I restanti clienti invece sono soprattutto persone di età avanzata, chiaramente appartenenti alla classe medio-alta cochabambina.
Questa situazione non è sorprendente: la coscienza dell'importanza di un'alimentazione salutare e le preoccupazioni ecologiste sono infatti più presenti in Europa e America del Nord, così come tra le persone che vivono in una certa agiatezza e che hanno ricevuto un certo tipo di educazione. Il processo di riavvicinamento tra produttori e consumatori inizia quindi inevitabilmente da questo segmento di popolazione, ma il fulcro deve essere - e qui sta la vera sfida - nel coinvolgimento di un altro tipo di cliente, più locale, giovane e popolare.
Credo sia importante, inoltre, ricordare che in Bolivia il settore biologico è una nicchia di mercato molto limitata che, a parte per prodotti dietetici o molto specifici, non offre al produttore un valore aggiunto interessante. Tant’è che il grosso della produzione biologica boliviana (quinoa, cioccolato, caffè) viene esportato, mentre ciò che resta deve essere venduto pressoché allo stesso prezzo del cibo convenzionale.
All'Ecoferia ci troviamo quindi ad uno stadio iniziale, ideologico e propedeutico, che punta soprattutto ad educare i clienti e i produttori allo sviluppo di una filiera biologica in scala locale e rurale.
Alla fine sarà però fondamentale capire e discutere chiaramente che tipo di obiettivo si sta ricercando: se si intende con agricoltura biologica un semplice cambio tecnico e commerciale, o se si sta cercando di costruire un modello di sviluppo alternativo e sostenibile su ogni piano.

Marco Goldin
Casco Bianco a Cochabamba
ProgettoMondo Bolivia

Zero tolleranza alla violenza sulle donne

A Meknes, il 7 giugno 2014 si è tenuto il seminario conclusivo della campagna “Nessuna tolleranza verso la violenza sulle donne” organizzato dal collettivo la Forza delle Donne, formato da ProgettoMondo Mlal, la sezione di Meknes dell’Unione dell’Azione Femminista, con l’appoggio di Amnesty International Marocco.
La campagna è iniziata a Rabat con la conferenza stampa del 5 febbraio 2014, durante la quale è stato presentato il memorandum diretto al capo del governo Abdelilah Benkirane per portare alla sua attenzione le violenze subite da molte donne del Paese. Grazie al memorandum, il collettivo La Forza delle Donne ha chiesto che venissero effettuate delle riforme legislative, nel rispetto della Costituzione e degli obblighi internazionali assunti dal Marocco, in particolare la CEDAW (Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne). Le associazioni hanno anche richiesto l’assunzione di un impegno da parte delle forze politiche per un cambiamento che porti al pieno rispetto dei diritti delle donne in ogni ambito della loro vita: famigliare, educativo, sociale, politico e lavorativo.
Il seminario di chiusura, con gli interventi dei rappresentanti del collettivo e delle associazioni locali, ha evidenziato quanto sia urgente la situazione delle donne che sono vittime di violenza in Marocco e ha illustrato i risultati della campagna e del progetto “La Forza delle Donne” nel suo asse politico-sociale.
Grazie alle attività portate avanti dal collettivo, un pubblico sempre più vasto si è confrontato direttamente con questa tematica che in molte aree del Marocco rimane ancora un tabù. Sono state infatti raccolte diecimila firme per merito dell’impegno delle persone che hanno partecipato attivamente alla campagna nelle province di Khouribga, Meknès, Khemisset e Beni Mellal, Casablanca e Rabat.
Si tratta di un risultato molto importante che dimostra la progressiva sensibilizzazione sul tema e la consapevolezza raggiunta nell’esercizio della cittadinanza attiva da parte dei cittadini marocchini che, per la prima volta, attraverso le associazioni locali, anche in zone rurali, hanno organizzato una raccolta firme per chiedere un intervento politico e legislativo.
La raccolta firme è stata promossa anche tramite il sito www.petition.laforcedesfemmes.org dove sono stati pubblicati diversi materiali prodotti durante lo svolgimento del progetto: il memorandum, le storie di vita e i video delle donne vittime di violenza, tradotti in più lingue in modo da dare rilevanza internazionale alla campagna.
A fine giugno 2014 le firme raccolte verranno presentate al capo del governo che dovrà decidere come rispondere alle richieste dei diecimila cittadini firmatari.

Valentina Carrara
Casco Bianco
ProgettoMondo Marocco


lunedì 4 agosto 2014

Diario dal Guatemala

Anche quest'anno il progetto Kamlalaf, patrocinato dal Comune di Piacenza in collaborazione con ProgettoMondo Mlal, ha permesso ad un gruppo di giovani italiani di vivere un'esperienza di turismo responsabile in America Latina, più precisamente in Guatemala.
Accompagnati da Danila Pancotti di Mlal Piacenza: Giulia Bosi, Alessandro Ferrari, Samuele Verzi e Martina Visalli sono stati ospiti del Cemoc, il Centro Educativo di Montecristo, dove ha avuto inizio il loro percorso di turismo responsabile.
Raccontano così la loro esperienza:
Solo Oceano. Quando le nuvole si diradano, finalmente la città: Ciudad de Guatemala è una massa densa che si dilata e si comprime; di colpo un barranco, una pausa all’interno del mosaico che si stende a perdita d’occhio.
Su un pulmino ha inizio il nostro viaggio verso Chimaltenango. È ora di punta sulla Panamericana e ci fondiamo nella moltitudine di auto che lasciano la capitale: le persone ritornano a casa dentro il cassone di un pick-up, affollati dentro un vecchio autobus americano o semplicemente camminando al bordo della strada.
La nostra attenzione viene catturata da una miriade di cartelli ed insegne pubblicitarie, sempre troppo grandi per i piccoli edifici su cui si affacciano serrati, rubando ogni brandello di spazio libero, come a voler essere ciascuno il primo della fila sulla lunga linea della strada.
Salendo verso nord ovest la città lascia spazio alla foresta, così si snoda tra piccole baraccopoli dove, davanti alle case in lamiera, le donne si arrangiano vendendo una moltitudine di oggetti su banchi di fortuna.
La nostra attenzione cade sulle transenne e sui sacchi di sabbia disposti disordinatamente ai lati della strada e dietro, sulla vedetta dei militari. Il nostro accompagnatore ci spiega che il governo predispone posti di blocco armati per il controllo del narcotraffico, ma che in realtà il presidente militare ottiene, in questo modo, un controllo della popolazione più diffuso sul territorio.
A Chimaltenango ci allontaniamo dalla strada principale e percorriamo la carretera in direzione Montecristo. Il panorama cambia di nuovo: i piccoli villaggi rurali sono intervallati dai campi di mais, la gente si muove lenta in moto, a piedi o a cavallo sulla strada sconnessa che sale fino al villaggio situato tra le montagne.
Arrivati a destinazione ci troviamo di fronte alla porta di una piccola casa, ad accoglierci ci aspettano Stefano, Elisabetta e Consuelo, qui in Servizio Civile per ProgettoMondo. Ci sediamo a tavola con loro, ma le 24 ore passate in viaggio si fanno sentire ed è ora di riposarci. Per fortuna qui c’è silenzio ed è tutto tranquillo.
Il nostro primo giorno al Cemoc inizia di primo mattino in un breve momento di riflessione assieme ai ragazzi che ci porta a discutere di grandi temi quali pace e libertà; qui apprendiamo che i giovani del centro hanno dagli undici ai sedici anni e sono divisi in tre classi, così come accade nelle nostre scuole medie.
In seguito facciamo colazione e ci viene spiegato che è compito del centro educare i ragazzi a una è fondamentale prevenire la malnutrizione. La giornata prosegue quindi con le lezioni: notiamo quindi che le classi sono composte ciascuna da circa una trentina di ragazzi, con un rapporto equo tra maschi e femmine; ci viene spiegato che questo fattore non è scontato, anzi si tratta di una grande conquista che va contro la tendenza generale di escludere le donne dall’ambiente scolastico.
corretta alimentazione, poiché per una crescita realmente sana
Il piano di studi che seguono è altrettanto degno di nota, poiché oltre alle materie tradizionali come spagnolo, matematica, inglese, i ragazzi seguono anche un corso di Kaqchik, la loro lingua locale, e di Maribma, lo strumento musicale tipico guatemalteco: preservare la loro identità e la loro tradizione è considerato fondamentale.
Nel suo piano formativo il centro mette a disposizione anche dei laboratori di falegnameria, sartoria, cucina, agricoltura e lavorazione del ferro, affinché gli studenti abbiano l’opportunità di sperimentare più ambiti lavorativi e possano comprendere in cosa sono più portati, imparando così già un mestiere con cui possono fornire supporto economico alla propria famiglia.
All’interno del centro è presente anche un ambulatorio, dove due volte alla settimana è presente un dottore a disposizione dell’intera comunità.
Lo spirito del Centro si riassume nella frase “Educando en la verdad desde nuestra realidad”, che ci accoglie all’ingresso. La voglia di cambiamento e quella di rinnovamento sono i sentimenti che percepiamo in chi spera in questo progetto educativo, in chi avendo vissuto i tragici eventi storici del Guatemala, spera che la prossima rivoluzione cominci educando i più giovani a ricercare un futuro migliore: “Educare alla verità a partire dalla nostra realtà”.

I ragazzi di Kamlalaf

Nat: conoscere il proprio ruolo

Lo scorso 6 giugno si è tenuta a Lima la tavola rotonda dal titolo “Participación de los Niños, Niñas y Adolescentes en las Políticas Municipales sobre Infancia”, organizzata nell’ambito del progetto triennale “Il Mestiere di Crescere”, realizzato in Perù, Colombia e Bolivia. Durante l’evento è stato presentato il bilancio sull’andamento del progetto stesso e sono stati analizzati i risultati raggiunti.
Cofinanziato dall’Unione Europea, “Il mestiere di crescere” ha l’obiettivo di garantire l’effettiva partecipazione di bambini, bambine e adolescenti negli spazi pubblici importanti a livello municipale, regionale e nazionale, organizzandoli in reti di studenti, affinché siano capaci di prendere decisioni sul tema dei diritti dell’infanzia.
Uno dei risultati più significativi del progetto è sicuramente l’istituzione dei CCONNA (Consejos Consultivos de Niños, Niñas y Adolescentes), organi di consulta che, come supporto per gli organi cittadini, forniscono a giovani e giovanissimi gli strumenti per esprimere le proprie opinioni in merito alle politiche che li riguardano.
Questa partecipazione attiva di bambini, bambine e adolescenti non ha preso piede solo a Lima, ma, grazie a “Il Mestiere di Crescere”, ha coinvolto anche le regioni di Ayacucho e Cajamarca.
Durante l’incontro Vilma Palomino – Assessore comunale di Ate-Vitarte, uno dei distretti di Lima coinvolti – ha raccontato emozionata di come è rimasta colpita dai ragazzi la prima volta che si sono presentati per chiedere il suo appoggio per la realizzazione del CCONNA e di come, da allora, li ha sostenuti incondizionatamente fino a raggiungere i risultati attuali.
Ciò che mi ha impressionato di più – afferma – è la tenacia, la spinta e il vigore con cui questi ragazzi hanno svolto le attività di partecipazione politica, dando vita a due importanti risultati, ovvero l’ideazione del “Presupuesto Partecipativo”, una quota destinata a investimenti in politiche per l’infanzia e l’adolescenza, e, chiaramente, la nascita stessa del CCONNA.
Altrettanto significativo è stato l’intervento di Alejandro Cussiánovich, ad oggi riconosciuto come uno dei massimi esperti sui temi di infanzia e adolescenza, nonché sull’incidenza politica avanzata dalle giovani generazioni.
Egli fa notare, infatti, che i grandi moti di coscienza che si stanno avviando in questi anni in America Latina sulla questione dei bambini e degli adolescenti lavoratori (Nat), stanno portando ad un riconoscimento di questa importante fetta della popolazione: tutti i ragazzi e bambini coinvolti in questo progetto, infatti, chiedono che i propri diritti di minori lavoratori siano riconosciuti in quei Paesi in cui tale condizione viene intenzionalmente occultata, se non all’opposto pubblicamente condannata, invece di essere considerata, come sarebbe opportuno, una realtà oggettiva che necessità di una tutela particolare e di un riconoscimento ufficiale.

Corinna Lennelli
Casco Bianco a Lima
ProgettoMondo Perù