venerdì 20 agosto 2010

Mozambico: I diritti dei detenuti tra scuola e lavoro

Tre giorni per parlare di attività in carcere, reinserimento sociale e percorsi post detenzione di chi è, o è stato, recluso nelle carceri del nord del Mozambico.
Questo in sintesi il contenuto del seminario internazionale che il 30, il 31 agosto e il 2 settembre si svolgerà prima nella capitale, a Maputo, e poi a Nampula, sede di ProgettoMondo Mlal durante il programma di cooperazione “Diritti in Carcere” realizzato a partire dal 2006, per garantire le condizioni base di vivibilità in carcere e il reinserimento dell'ex carcerato. Obiettivo del seminario è proprio quello di riflettere e presentare alle autorità locali e italiane il lavoro svolto e i risultati raggiunti nel corso del progetto.
Percorsi difficili ma ricchi anche di soddisfazioni che, se hanno permesso, all’interno delle carceri interessate, la sperimentazione di attività di formazione scolastica, artistica e lavorativa, oltre che al miglioramento delle condizioni di salute generali dei reclusi, hanno visto anche all’esterno l’avvio di attività mirate al reinserimento sociale di chi è in uscita dalle strutture penitenziarie. Accompagnamenti e sostegno lavorativo quindi, ma anche creazione di vere e proprie nuove imprese produttive, come nel caso di un vivaio di piante ornamentali e di un ristorante in pieno centro città, che ora, con il nuovo progetto “Vita dentro”, verranno ulteriormente valorizzate e indirizzate ai più giovani e alle donne. Ed è poi dalle stesse radici che – grazie a una nuova collaborazione con l’Universidade Católica de Moçambique, partner del nuovo Progetto e tra i promotori del prossimo seminario a Nampula – è nata l’idea di dare vita a un Centro Universitario di Sviluppo Comunitario che abbia funzioni di Ricerca, Formazione e Specializzazione e che funga da polo permanente di formazione e aggiornamento professionale per le figure di animatore e di operatore penitenziari.
Oltre ai rappresentanti del Ministero della Giustizia del Mozambico e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria in Italia, parteciperanno alle 3 giornate di approfondimento il direttore della Casa di reclusione di Nampula e i responsabili locali dei servizi sociali: i più coinvolti nel processo di integrazione e reinserimento sociale di ex detenuti.
ProgettoMondo Mlal, con la vicepresidente dell’Organizzazione, Ivana Borsotto, il direttore Valentino Piazza, il responsabile per il Mozambico, Cristiano Bolzoni, il capoprogetto di “Diritti in Carcere”, Stefano Fontana, e i vari operatori sul campo, presenteranno al pubblico il lavoro svolto negli ultimi anni e le novità in programma per i prossimi 3 anni: il tutto per riflettere insieme e individuare ulteriori strategie utili a garantire una permanenza in carcere e un ritorno alla società i più dignitosi possibili a chi, per un motivo o per l’altro, si è trovato a dover fare i conti con la giustizia mozambicana.
Il Mozambico ha uno dei più bassi indici di sviluppo umano nel mondo (172° posto su 177 Paesi) e un tasso di povertà assoluta che colpisce oltre la metà della popolazione.
Più del 60% dei reclusi ha meno di 25 anni: ed è infatti la popolazione giovanile, maggiormente sottoposta ai continui stimoli che richiamano al benessere economico, a essere la più soggetta al rischio di devianza.
Inoltre la popolazione carceraria è un target particolarmente vulnerabile, esclusa dall'accesso ai beni primari quali: educazione, salute e alimentazione.
Le condizioni disumane in cui vivono la reclusione si traducono inevitabilmente in traumi che minano poi le capacità di reinserimento post detenzione.
Da qui l’importanza di intervenire per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei servizi offerti alla popolazione detenuta nei due istituti penali della regione settentrionale, con particolare attenzione alla popolazione giovanile, in un’ottica di partenariato tra attori non statali e istituti penitenziari nel settore dell’alimentazione, assistenza sanitaria di base, educazione e formazione professionale.

Qui il programma dettagliato del seminario:
30, il 31 agosto a Maputo e il 2 settembre a Nampula

mercoledì 18 agosto 2010

Arte e migrazione. Così "Il futuro sospeso" arriva a LightON Servolo

Foto, immagini, video e installazioni per parlare di migrazioni. Anche tramite il video documentario “Il futuro sospeso” prodotto da ProgettoMondo Mlal per dar voce ai giovani marocchini che sognano di emigrare in Europa. IL CAOS, promosso da San Servolo Servizi in collaborazione con la Provincia di Venezia, è un percorso artistico impostato per snodarsi nell’arco di tre anni su tre mostre, tutte destinate ad affrontare tematiche centrali della vita della nostra società: il lavoro, le migrazioni e i conflitti.
La trilogia si svolge nell’ambito di LightON San Servolo, il focus dedicato alla fotografia e alla video arte giunto quest’anno alla seconda tappa che, come detto, parla appunto di migrazioni.
Dal 28 agosto al 19 settembre - e con inaugurazione alle 18.30 del 27 – spazio quindi a sette artisti italiani e internazionali, oltre che al video documentario “Il futuro sospeso”, realizzato per ProgettoMondo Mlal dalla regista Annamaria Gallone e che, nel corso dell’esposizione, rappresenterà una finestra sul reale che la mostra intende aprire e con cui il pubblico è invitato a confrontarsi.
ProgettoMondo Mlal e i suoi partner in Marocco lavorano sul tema della migrazione clandestina con i giovani tra i 14 e i 20 anni (oggi il 50% della popolazione, di cui un quinto senza lavoro) per responsabilizzarli nella drammatica scelta di lasciare il proprio Paese e informarli sulle reali opportunità offerte dai luoghi che sognano di raggiungere.

Fermarli è difficile, ingiusto, impossibile. Il diritto di provare a cambiare il proprio destino è in tutti noi. Il futuro deve essere alla portata di tutti. Perché è impensabile concedere un futuro solo a un pezzo di mondo.
Nei lavori con i giovani marocchini è emerso immediatamente come il “progetto migratorio” si formi già con l’adolescenza e nella pre-adolescenza. Nelle interviste, realizzate nei primi mesi del 2009, i ragazzi lasciano chiaramente intendere quanto siano determinati nelle loro scelte.
Lo spot - girato a Beni Mellal e di cui qui sotto proponiamo il promo – pone al centro della questione il concetto di responsabilità, e si rivolge in particolare ai nostri giovani che, troppo spesso, per un eccesso di superficialità e di scarsa conoscenza, rischiano di ridurre chi arriva da altri Paesi alla sola condizione di clandestino.



Per saperne di più sul programma di LightON Servolo: www.sanservolo.provincia.venezia.it

lunedì 16 agosto 2010

A Casa Do Sol è festa

Farol de Itapoa, agosto 2010 - Ospitati da “Casa Encantada”, che è un riferimento per il turismo responsabile, abbiamo deciso di cercare di capire cosa c'è oltre i grattacieli che ci hanno fatto da sipario appena arrivati a Salvador. L'invito di Maria, la nostra ospite, è per una festa in un quartiere dove Casa Encantada, che fa parte di un programma di interscambio culturale e sociale e di solidarietà internazionale di ProgettoMondo Mlal, lavora ormai da circa quindici anni.
Un’area popolata da 500 mila anime che vivono come possono in un quartiere nato dall’occupazione della terra: si chiama n° 5, perché questi insediamenti vengono numerati, e sono senza nome! La storia del quotidiano assomiglia a quella di Scampia, compresi i morti ammazzati. Siamo ospiti per l'occasione di Casa do Sol, avamposto che cerca di fare cultura e aggregare giovani: nato come asilo e accoglimento di bambini, oggi accetta la sfida di preparare alcuni di loro a entrare all'Università, ma le attività sono davvero tante.
Arriviamo in una piazza nuova, attorniata da edifici piuttosto fatiscenti, ma ancora accettabili se messi a confronto con le nuove “invasiones”. Lo spazio è riempito dalla musica, il gruppo di persone più fitto è disposto a cerchio attorno ai giovani che entrano a turno sulla “scena”: ballerini, suonatori e attori.
Ci colpisce l'età dei ragazzi che va dai cinque, sei anni ai giovani adulti: la festa è loro, tutti assieme, ma ci sono anche molti adulti che partecipano con curiosità. Intorno alla piazza sono disseminati dei gazebo che ospitano un richiestissimo “laboratorio di pittura sul corpo”, un punto di vendita di dolci e bibite, un mercatino di vestiti, uno di oggetti prodotti dalle attività di Casa do Sol e del materiale didattico a disposizione dei bambini. Un punto di sosta è anche dedicato a far conoscere la possibilità di avere consulenze giuridiche o per la salute.
Noi “bianchi” ci possiamo contare, individuiamo Pina, la referente principale: chiacchiera con le signore presenti, a tratti ha una bambina in braccio, ma sono loro, i ragazzi, a gestire la festa. Quando poi visitiamo il Centro, capiamo quanto lavoro si stia facendo perché quel modo di stare assieme diventi un valore condiviso.

Gabriella Bulian e Luciano Tonellato

venerdì 13 agosto 2010

Dona Anita si prepara a ballare

Ana è cuoca, e per due settimane al mese lavora ad AIPAI, una delle associazioni di contadini che collaborano con ProgettoMondo Mlal nel progetto “Vida Campesina”.
Quando si è presentata all’equipe lo ha fatto come Dona Anita, e da quel momento, visto che anche tutti gli altri lo facevano, l'ho sempre chiamata così.
Dona Anita è di Potosì, la città mineraria a 3 ore da Ckara Ckara. Si dice che i minerali che sono stati estratti qui nel periodo coloniale siano così tanti che con essi si sarebbe potuto costruire un ponte dalla Bolivia a Madrid.
Dona Anita ha meno di 35 anni, forse anche meno di 30. Non ha figli, e neppure marito. Le malelingue dicono abbia un fidanzato che non si decide a sposarla. Ma le persone che le vogliono bene dicono che in realtà sia lei che non lo vuole sposare.
A Dona Anita piacciono le soap opera romantiche, mentre cucina tiene sempre la televisione accesa per non perdersi una puntata.
Ogni volta che vado da lei mi aggiorna sugli ultimi avvenimenti, con la stessa lentezza con cui procedono le serie televisive. E quasi sempre mi pare che ripeta la stessa storia.
Il 29 e 30 agosto Dona Ana ballerà per le strade di Potosì per los Ch’utillos, festa dedicata a San Bartolomeo. La leggenda narra che il Diavolo abitasse una serie di grotte lungo la strada che porta alla città e che uccidesse chiunque passasse di lì. E solo l’intervento del Santo portò alla sconfitta del maligno e alla liberazione della strada, decretando così la fine dell’isolamento degli abitanti di Potosì.
Dona Anita ballerà un ballo tradizionale boliviano chiamato Caporales. Nel farlo rappresenterà il suo quartiere e, per questo, tutte le sere da due settimane e fino ai giorni della sfilata, si allena nella piazza della fontana a trecento metri da casa sua.
Più che per imparare i passi l'allenamento serve per acquistare resistenza. Ogni giorno dovrà infatti a ballare per più di sette ore consecutive.
A Dona Anita piace stare due settimane al mese a Ckara Ckara. Sono già quattro anni che lo fa e ormai si sente un poco a casa quando è qui. In paese tutti la conoscono, e la considerano una di loro.
Tutti i giorni, dopo aver finito di lavare i piatti del pranzo e prima di incominciare a preparare la zuppa della cena, esce sulla strada a chiacchierare con la proprietaria del negozietto di fronte e quella della cabina telefonica.
Dona Anita è simpatica, la conversazione a tavola quasi sempre la dirige lei. Fa sempre un sacco di battute e ride di gusto. A volte invece è triste. Lo si capisce perché rimane zitta e guarda solo nel piatto. Perché sia triste non si sa.

Martino Bonato
casco bianco ProgettoMondo Mlal Bolivia

giovedì 12 agosto 2010

A Rio tra favelas, grattacieli e traffico di persone

Oggi è il giorno del rientro dal Brasile per i tre giovani piacentini che hanno aderito al progetto Kamlalaf, accompagnati dalla nostra volontaria Danila Pancotti, e dall’assessore al Futuro Giovanni Castagnetti. Ma prima di rimettere piede sul suolo italiano, da uno di loro, Filippo Ambrosini, arriva un’ultima riflessione sulla realtà di Rio: una città dai forti contrasti e dove i fenomeni di sfruttamento sono all’ordine del giorno.
“A Rio de Janeiro, la montagna è a ridosso del mare e la povertà della favela si alterna al benessere dei grattacieli. Ciò che colpisce, al primo impatto, è l’estremità degli opposti. Francesca e Sarah, volontarie di ProgettoMondo Mlal, sono le nostre guide nella scoperta della città e dei progetti sociali di cui si occupano (all’interno del programma “La strada delle bambine”, ndr).
La mattina del primo giorno l’abbiamo dedicata al consorzio “Trama”, nato nel 2004 da una cooperazione tra enti, che ha l’obiettivo di combattere la tratta di persone (minori e donne) a Rio. Grazie a Francesca e Sarah, abbiamo conosciuto alcuni degli operatori che lavorano per questo progetto, tra cui tre educatori impegnati in strada e nelle favelas, dove i fenomeni di sfruttamento sono all’ordine del giorno. Seduti in un’aula della loro sede, ci hanno spiegato come il traffico di persone coinvolga il turismo e lo sfruttamento sessuale (attività molto diffusa a Rio), ma anche il commercio di ragazzini calciatori, il traffico di organi, la "schiavitù" di lavoratori e i matrimoni forzati.
“Trama” opera in vari modi: gli operatori monitorano il fenomeno, stando vicino ai ragazzi e ragazze delle favelas che possono rivolgersi a loro se subiscono una forma di sfruttamento, ma avviano anche corsi di sensibilizzazione e informazione rivolti a insegnanti, infermieri e ai giovani stessi, cercando di far loro conoscere i propri diritti e di spingerli a lottare per la propria dignità. Gli educatori ci hanno anche parlato del problema droga nelle favelas, dove addirittura già i bambini di 7 o 8 anni fanno uso di crack, droga poco costosa che porta alla dipendenza sin dalla prima volta: anche questo va a vantaggio dei trafficanti di persone, che sono facilitati nelle loro azioni di sfruttamento dallo stato psicofisico dei ragazzi.
Per comprendere a fondo le problematiche cui gli operatori del progetto “Trama” ci hanno posto di fronte, bisogna capire le tematiche sociali di Rio de Janeiro e del Brasile, che sono completamente diverse dalle nostre. Questo ci ha portato a sottoporli a tantissime domande, ma il tempo corre ed è arrivato il momento di visitare una favela nei pressi di Rio.
Il solo camminare per la città, fra le sue disuguaglianze sociali e strutturali, mi ha dato emozioni forti e ne sono rimasto affascinato. Una volta giunti nella favela l´impatto é stato forte: misere case di mattoni arroccate l’una sull’altra, rifiuti ovunque e le fogne che strabordano quando piove, peggiorando ulteriormente le condizioni igieniche. Ci fa da guida un abitante della favela stessa, e mentre avanziamo incrociamo sguardi di persone e bambini dal cui viso traspare tutto il loro sentirsi abbandonati e arresi al ruolo di emarginati dalla società. È una sensazione che fa male.
Entriamo in una casetta che é sede dell´associazione dei moradores (abitanti), un gruppo di persone composto da alcuni dei residenti, che ha l’obiettivo di migliorare la situazione nella favela stando vicino alle famiglie, ma anche confrontandosi con le autorità locali affinché onorino i propri doveri e rispettino i diritti della comunità. Conosciamo tre dei dieci rappresentanti di questa associazione, che ci spiegano come si accollino i problemi dell´intera favela (più di 20mila persone), nonostante gli aderenti e associati siano poco più di una trentina.
Ci hanno illustrato la situazione attuale, ed é facile cogliere il loro sconforto per come le autorità locali stiano intervenendo con una serie di progetti inerenti le infrastrutture, imponendoli, senza consultare prima gli abitanti per capire quali siano gli effettivi bisogni primari della comunità. Nonostante ciò non si arrendono e questo ci trasmette speranza: vedere pochi prendersi sulle spalle i diritti di tanti, non per interesse personale ma per il bene della comunità è così raro oggi che quasi ci commuove. Dopo esserci complimentati per il loro lavoro, torniamo a Rio toccati nell´animo.
Questo primo giorno nella grande città, cui ne seguiranno altri allo stesso modo intensi e indimenticabili, ha lo stesso denominatore delle due settimane precedenti: la speranza. Grazie a questo viaggio in Brasile ho conosciuto tante persone che dedicano la loro vita all’impegno per migliorare il mondo, nonostante le mille difficoltà quotidiane. Questo mi carica di forza, per poterci provare pure io”.

Filippo Ambrosini

mercoledì 11 agosto 2010

Menzione speciale per "Ghorba. In terra straniera"

La parola araba “Ghorba” è intraducibile. Tipicamente maghrebina esprime un mix di sentimenti quali la nostalgia, l’esilio, la tristezza del migrante che vive lontano da casa, dalla sua terra e dal suo Paese.
Attraverso le storie di alcuni migranti, che oggi vivono in Italia, il video documentario "Ghorba. In terra straniera" prodotto nel 2009 da Suttvuess per ProgettoMondo Mlal, cerca di dare forma a questo termine, raccontando le difficoltà quotidiane, le aspettative e le opinioni che deve affrontare chi ha deciso di lasciare il proprio paese per vivere in quella che, anche dopo anni, continua a rimanere una “terra straniera”.
Realizzato da Claudio di Mambro, Luca Mandrile e Umberto Migliaccio, il video ha ricevuto una menzione speciale della giuria nella sezione Extra Large – Concorso nazionale Documentari – dell’Arcipelago Film Festival di Roma.



Nel 2005 ProgettoMondo Mlal ha avviato nella provincia di Beni Mellal in Marocco 2 progetti sul tema della migrazione. Le attività di educazione e informazione in questo caso coinvolgono il territorio maghrebino ma anche quello italiano, proprio con l’intento di affrontare la problematica sotto due diversi punti di vista: quello di chi parte ma anche quello di chi arriva. E perciò aspettative e realtà dei fatti; progetti di vita e vita poi concretamente vissuta. Tutto questo nell’ottica di promuovere e fare crescere una responsabilità della migrazione.



Leggi l'intervista di "Terra" a Luca Mandrile, uno dei registi del documentario:
www.terranews.it/news/2010/10/immigrazione-andata-e-ritorno

venerdì 6 agosto 2010

In Brasile, tra musica e desiderio di riscatto

Scrivono dal Brasile, per raccontare un Paese intriso di musica e desiderio di riscatto attraverso l'educazione. A farlo sono Filippo Ambrosini, Federica Lugani e Valentina Riscazzi, che stanno vivendo l'esperienza di Kamlalaf insieme a Danila Pancotti di ProgettoMondo Mlal e all'assessore al Futuro del Comune di Piacenza Giovanni Castagnetti.

"Ovunque tu vada in Brasile, c’è sempre musica. Musica ti segue: tra i vicoli del Pelorinho, centro storico di Salvador dai mille colori, per le strade della periferia, sulla spiaggia … ovunque lei ti segue. Dai baracchini che, sul far della sera, offrono birra e gamberetti, si espandono romantiche serenate, all’uscita da scuola i bambini ballano la samba suonando il pandeiro. A Salvador, appena può la gente canta, danza, crea musica con tutti gli espedienti possibili: si usano tamburi come il pandeiro, i bonghi e i djembè, ma anche bidoni di latta e vecchi campanacci tornano utili.
Così fanno per esempio, i ragazzi del progetto “Vivendo Apprendendo” del quartiere Portao, qui a Salvador. Uno dei tanti progetti di intervento sociale che stiamo conoscendo grazie a Loris e Maria di Casa Encantada, la casa per turisti responsabili dove alloggiamo in questi giorni.
I ragazzi di “Vivendo Apprendendo”, si ritrovano in una piazzetta del Portao, dove un tempo gli spacciatori mercanteggiavano alla luce del sole, e dove oggi un centro educativo rimane aperto tutte le sere, quale luogo di aggregazione. Sotto la costante guida di Zinho, educatore e maestro di capoeira, e di Nomio, insegnante di percussioni, diverse decine di ragazzi suonano tamburi costruiti con bidoni di latta e copertoni, oppure imparano l’antica arte della capoeira. Passatempo alternativo alla strada, dove ogni settimana giovani armati si scontrano per fame di droga, ma soprattutto, preziosa occasione per imparare a vivere valori umani fondamentali.
“Axèlata”, così si fa chiamare il gruppo di giovani musicisti, suona una musica decisa, forte e coinvolgente, un ritmo incalzante che ti prende, frutto di una meravigliosa sincronia di gesti. Così, anche nella capoeira, l’equilibrio sottile delle parti è sempre a dura prova: si mima una lotta attraverso una danza, anticipando e rispondendo con attenzione ai movimenti dell’altro, rispettando l’avversario e con lui portando a termine questa sfida fatta di gesti armonici e acrobazie. Arti come queste, insegnano il rispetto e l’ascolto reciproco, diventano opportunità per crescere come veri cittadini nel rispetto della legalità e della dignità di ciascuno. Zinho aspetta i ragazzi tutte le sere, è sempre in allerta ad ogni segnale di crisi o stanchezza; li incoraggia e li sostiene accettando la sfida educativa che questo impegno rappresenta per lui e per la comunità.
L’educazione in senso popolare, quale compito irrinunciabile per la comunità, traspare dalle figure educative che incontriamo nel nostro viaggio, emerge come forza ancora viva qui in Brasile. Si educa a divenire cittadini consapevoli nonostante la povertà, si educa ai diritti, e ad accogliere le tante diversità che popolano il paese. Ne abbiamo avuto prova noi stessi assistendo al gemellaggio nato tra i ragazzi di Axèlata e quelli del Movimento Sem Terra: percussioni in aperta campagna, conoscenza della teoria guida del movimento e danza, in uno continuo scambio culturale, come Brasile insegna.
Lo scambio, è proprio la chiave per leggere il senso del nostro viaggiare: ovunque andiamo, impariamo qualcosa di nuovo e, a nostra volta, cerchiamo di lasciare un segno. Così è capitato anche con i ragazzi di Casa do Sol, un altro progetto visitato nel corso del nostro viaggio. La Casa, nata diversi anni fa per opera di un missionario italiano, Padre Luis Litner, è un asilo e un centro educativo del quartiere Cojazeira V. Altra periferia, altre problematiche, ma sempre comunque i segni di una bellezza che sa resistere di fronte alle brutture dell’uomo. Giovanissimi educatori, con una normalità che stupisce, gestiscono volontariamente il doposcuola dei bambini. Insieme a loro giocano e si divertono, nonostante la povertà e la violenza che li circonda li costringerebbe a crescere in fretta. Un altro bell’esempio di questo Brasile che non smette di stupirci, e di insegnarci che la gioia sa abitare anche i palazzoni popolari diroccati. Che è proprio nella strada, ai margini, dove tutto può diventare possibile".

Filippo, Federica, Valentina

giovedì 5 agosto 2010

Bella Vista incontra Piacenza. Un senso di condivisione piena

Dopo quelle dei giovani piacentini che stanno vivendo l’esperienza del progetto Kamlalaf in Brasile, arrivano le riflessioni anche dell'assessore al Futuro Giovanni Castagnetti che li accompagna nel viaggio insieme alla nostra volontaria Danila Pancotti.
Scrive l’assessore:

"Il nostro viaggio continua, tra mille sorprese e scoperte. Loris, la nostra preziosa guida in questa avventura, ha programmato tre giorni lontano da Casa Encantada, presso la comunità Sem Terra “Bella Vista” vicino a Santo Amaro, una cittadina nell’entroterra di Salvador.
Alla partenza non potevamo saperlo, ma questi tre giorni si sarebbero rivelati un’esperienza straordinaria. La comunità prende origine dalla lotta per la riforma agraria, che prevede l’attuazione di un preciso articolo della Costituzione (n° 184): i terreni dei latifondisti lasciati improduttivi possono essere occupati per dare sostentamento a coloro che ne hanno bisogno. Bella Vista nasce così: con l’occupazione di un vasto territorio da parte di persone che volevano affrancarsi dalla povertà delle favelas e vivere in modo dignitoso.
Dodici anni fa, circa 500 famiglie occuparono il terreno rimanendo accampate in ripari di fortuna (tende o baracche di plastica) per più di due anni, finché l’area non fu loro concessa e l’accampamento si trasformò, così, in insediamento vero e proprio. Bella Vista oggi conta un gruppo di 30 famiglie che vivono in modo comunitario, con una parte del terreno destinata a ciascun nucleo, e una parte lasciata in comune. Gli abitanti hanno realizzato una scuola, hanno fatto portare la luce e le fognature, hanno costruito un pozzo per l’acqua e un forno dove si prepara la farina di mandioca, il principale sostentamento insieme ad arachidi e frutta e verdura di ogni tipo.
Sarebbe molto lungo descrivere nei particolari tutto il movimento e come vive la gente nella quotidianità, ma desidero soffermarmi su quello che ha comportato, per noi viaggiatori, venire a Bella Vista: un senso di condivisione piena, immergendoci nella vita di queste persone e, insieme a loro, entrando nei loro ritmi di vita. Abbiamo dormito nelle loro case, mangiato insieme, vissuto la vita dei campi e percepito l’importanza che riveste la scuola, partecipando la mattina alle lezioni dei bambini e la sera a quelle per adulti.
Il nostro viaggio è stato impreziosito dalla scoperta del territorio naturale con cui si debbono confrontare le persone del luogo. Siamo stati accompagnati per una giornata intera in un percorso fantastico nella foresta, tra scorci mozzafiato e sentieri impervi. Abbiamo camminato, ma anche cavalcato, usando quindi il loro mezzo di trasporto più usuale, per raggiungere un’altra comunità chiamata “L’Assentamento (ovvero “L’insediamento”) 5 maggio”, che dista alcun chilometri.
Sono stati tre giorni di stretto contatto e coinvolgimento, nei quali ci siamo sentiti davvero parte di questa comunità, perché abbiamo ricevuto e dato con naturalezza. Rispettosi gli uni degli altri, nella consapevolezza delle diversità ma, soprattutto, dalla ricchezza che si ottiene incontrando le persone e percorrendo un po’ di cammino insieme. Valentina, Filippo e Federica sono davvero ragazzi speciali, e con estrema naturalezza sono entrati in sintonia con lo spirito del viaggio. Di sicuro torneranno a casa con molte cose nella loro valigia: visi di uomini e donne, luoghi stupendi, saluti di persone prima sconosciute e poi familiari, tavole imbandite di case dalla porta sempre aperta, letti a volte non proprio confortevoli, ma lasciati liberi dai proprietari con grande disponibilità, cieli che buttano acqua improvvisamente, ma osservati con gli occhi di chi vede dietro le nubi il sereno.
Torneranno a casa, e io con loro, con la voglia di trasmettere le cose viste, vissute e sperimentate, con la disponibilità appresa giorno dopo giorno in questo viaggio brasiliano. Esperienze come quella che stiamo facendo si vivono appieno se si ha accanto una guida che è in grado di condurti alla conoscenza del luogo e così, in queste ultime ma non meno importanti righe, vorrei ringraziare già da ora Danila Pancotti, la nostra guida e nostro capo carismatico. Entusiasta, disponibile, sensibile, attenta alle esigenze di ognuno di noi e desiderosa di farci vivere appieno le tante sfaccettature di questa terra che tanto le è cara".

Giovani piacentini... raccontano il Brasile!

Dal Brasile arrivano le riflessioni del gruppo di partecipanti al progetto Kamlalaf, che nei primi giorni ha visitato il Centro interculturale “Casa Encantada” a Salvador de Bahia, mirato a offrire un’esperienza di turismo responsabile e interscambio tra ospiti e realtà sociali del territorio. Una realtà che rispetta i principi fatti propri dall’Associazione nazionale Turismo Responsabile (Aitr) di cui ProgettoMondo Mlal è socio fondatore.
I piacentini hanno anche avuto modo di incontrare una comunità di “Sem Terra, cui i ragazzi di un centro di aggregazione di Salvador insegnano danze, capoeira e percussioni.
Di seguito le loro riflessioni:

“Inizia il vero viaggio, quello per cui siamo partiti e al quale abbiamo dedicato sogni e pensieri. Per la prima volta si aprono gli occhi sul sole alto e sull’aria chiara e limpida, si ascoltano i sapori e i primi odori.
Entriamo dal portone di Casa Encantada e si apre una piccola oasi con tanto di palme da cocco. Un gazebo al centro, un corridoio che si apre sulle stanze e gli “scacciaspiriti” che fanno il loro mestiere, rimandano a casa i brutti pensieri insieme al suono di una chitarra. Mille colori si aprono sulla spiaggia e sull’oceano, di un azzurro sfumato capace, in poche ore, di mutare e inghiottire gli scogli.
E’ il Brasile che appare con le sue carenze e i suoi problemi, ma è così accogliente da farti sentire subito bene, sin dalla prima sera, tra un beju (una piadina di farina di manioca) e una polpettina di carne ripiena, annaffiate da birra e guaranà.
Brasile posto di mondo, di turismo e immigrazione, a volte per scelta e a volte per forza. Uomini che non rinnegano le proprie tradizioni, anzi, si impegnano a trasmetterle ai giovani che non conoscono la fatica che hanno fatto i loro padri. Questa stanchezza diventa parte del rito.
Loris, che insieme a Maria gestisce “Casa Encantada”, ci accompagna presso la chiesa animista che si trasforma per l’occasione in centro aggregativo e culturale del quartiere. Lì due maestri volontari insegnano Capoeira ai bambini, riprendendo le tradizioni e il ritmo della lontana terra natia, l’Africa, e con questa danza trasmettono il rispetto per se stessi e gli altri. Ci insegnano anche a ballare e a sentire il ritmo.
Ci prendono per mano per farci sentire parte della loro comunitá. Così conosciamo meglio il progetto “Casa Encantada”, che permette di sostenere la comunità di adulti e bambini che vogliono costruire un nuovo modo di stare insieme, in cui tutti vengono accolti.
Se dovessimo esprimere un giudizio, diremmo che il Brasile è come un’oasi verde scolpita dalla mano dell´uomo, a volte buono a volte cattivo, come una pioggia che cade copiosa al ritmo di tamburi e corde di chitarre lontane. Brasile che si mostra pieno di colori e di vita, e che colpisce gli occhi e le membra tra lo schiaffo di un´onda e il suono di una capoeira. Ma non è giusto giudicare, allora preferiamo rivolgerci alla vostra immaginazione e farvi provare e sentire quello che ci stupisce ogni giorno e che cercheremo di trasmettervi al nostro ritorno”.

martedì 3 agosto 2010

Acqua, diritto umano in tutto il mondo. A dirlo è l'ONU

Acqua, diritto fondamentale dell’uomo. E a stabilirlo oggi è la stessa Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Dopo quindici anni di dibattiti, il 29 luglio è stato così sancito una volta per tutte che avere accesso all’acqua potabile e a sistemi sanitari degni rappresenta un vero e proprio diritto umano.
Con 122 voti a favore, nessun contrario e 41 astenuti, quella a cui si è arrivati è una risoluzione che ha già fatto il giro del mondo, accolta ovunque con favore. E nel documento, che era già stato presentato in Bolivia in forma non vincolante, adesso – oltre ad affermare che "l'accesso a un'acqua potabile pulita e di qualità, e a installazioni sanitarie di base, è un diritto dell'uomo, indispensabile per il godimento pieno del diritto alla vita" - si invitano gli Stati e le organizzazioni internazionali ad adoperarsi per fornire aiuti finanziari e tecnologici ai Paesi in via di sviluppo, esortandoli ad "aumentare gli sforzi affinché tutti nel mondo abbiano accesso all'acqua pulita e a installazioni mediche di base".
L'inserimento nella dichiarazione dei diritti umani è un passo decisivo per affrontare la questione sempre più urgente della mancanza di risorse idriche sufficienti per centinaia di milioni di persone. Secondo le stime dell'Onu, ogni anno un milione e mezzo di bambini sotto i cinque anni muore per malattie legate alla carenza d'acqua o di strutture igieniche. E nel testo della risoluzione si afferma che 884 milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile e 2,6 miliardi vivono in condizioni igienico-sanitarie insufficienti.
Lo sa bene ProgettoMondo Mlal che da anni è impegnata in progetti di cooperazione allo sviluppo che ruotano intorno alla questione acqua. Come “la forza dell’acqua”, realizzato in Guatemala per ridurre la denutrizione cronica e promuovere la sovranità alimentare degli indigeni Mam residenti nel comune di Comitancillo. O il programma nato per contribuire a ridurre i livelli di povertà estrema e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni indigene del dipartimento di Potosì, in Bolivia.
La stessa terra in cui è nato Josè, protagonista del fotoracconto in cui l’acqua è quella del fiume Tumusla, che scorre a 2.500 metri di altezza nelle valli boliviane. E con essa il piccolo Josè ha un rapporto fatto di amicizia e di gioco, ma anche di lavoro, fatica e persino un pizzico di paura. Perché l'acqua è sì insostituibile fonte di vita, forza e salute, ma se l'uomo non ne ha massima cura può diventare fonte di malattia e di pericoli, e persino un ostacolo insuperabile.